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domenica 1 maggio 2011

Primo maggio, festa dei lavoratori

Il corteo puzzava di starnuto di cavallo che puzza di fieno vecchio. La banda suonava disorganizzata note discordanti. Centinaia di bandiere rosse sventolavano per l'aria tersa della città. Uomini e donne sedute ai bar agli angoli delle strade guardavano con disgusto quel mare di persone che camminavano unite, noncuranti del loro aspetto contadino e del loro fare non proprio galante. Fra loro c'erano sempre i soliti, coloro che manifestavano per il lavoro che non avevano più, altri per il lavoro degradante che avevano ma che non riusciva a sostentare la propria famiglia. Poi c'era Pietro, giovane borghese che si macchiava gli abiti, si sporcava le unghie di terra e restava senza farsi la barba per una settimana solo per stare insieme a loro. Ogni anno il primo maggio cercava di incontrare lei, Sara, operaia in una conceria della città, sempre talmente impegnata da turni di lavoro massacranti e dalla cura della madre malata che l'unico giorno di svago e libertà se lo concedeva per sfilare insieme alle sue colleghe, per chiedere un futuro migliore. Quest'anno le avrebbe parlato. Quest'anno le avrebbe confessato che per trecentosessantaquattro giorni all'anno pensava a lei, alla sua aria stanca ma sicura, ai suoi capelli lisci, lunghi ma sempre raccolti. Ogni anno, il primo maggio, si avvicinava a lei e puntava ad avere una conversazione casuale, del tipo “Meno male che oggi c'è il sole!” oppure “Oh, mi scusi. Le ho pestato un piede?”, ma alla fine la tensione lo bloccava, guardava altrove e le si allontanava. Quest'anno però si fece coraggio, tentò di rendere ancora più squallide le vesti dalle quali era coperto e le si avvicinò facendo finta di urtarla accidentalmente.

“Oh, mi scusi! Buongiorno” le disse
“Buongiorno” disse lei
“Che bella giornata! Ma io non l'ho mai vista... È nuova di queste parti?” disse, tentando di avere un atteggiamento sicuro ma notando che già le mani gli sudavano.
“No, io abito qui ma difficilmente mi intrattengo all'aria aperta, sa, il lavoro, la famiglia...”
“Ah, mi scusi, non mi sono presentato. Che villano! Comunque mi chiamo Pietro.” disse asciugandosi le mani sul retro dei pantaloni.
“Sara, molto piacere di conoscerla.” e stringendogli la mano disse “A guardarla mi sembra che lei un lavoro lo abbia ancora. Cosa fa?”

Lui non poteva dirle che suo padre era un noto latifondista della città e che la sua unica esperienza lavorativa era quella di tenergli la contabilità. Quindi doveva inventare qualcosa, la prima stupidaggine che gli potesse venire in mente, qualcosa di umile ma allo stesso tempo di credibile.

“Guardi, ultimamente sto aiutando mio cugino con la raccolta del grano” disse, sperando che lei non gli avrebbe fatto domande perché, sinceramente, di grano e di raccolte non sapeva nulla.
“Ah, pensavo che il grano si iniziasse a raccogliere alla fine di giugno, ma forse mi starò sbagliando. Sa, io lavoro in una conceria, non me ne intendo di agricoltura.”
Lui quindi, tentando di ridimensionare la menzogna disse “in realtà nemmeno io, faccio solo quello che mi viene detto” e lei “Lo so, anch'io subisco gli ordini di qualche padrone, caporeparto o chi per esso. Non sopporto più quelli che danno solo ordini e che vivono col frutto del nostro sudore.”

Pietro, colpito dalla frase della ragazza, in quanto anche lui viveva grazie al sudore di qualche operaio si sentì colpito nel vivo e disse “Secondo me, comunque è giusto che qualcuno si assuma la responsabilità del lavoro altrui e per questo deve essere giustamente retribuito, ma parliamo d'altro...”. Sara invece ribatté con fermezza “Di che cos'altro dovremmo parlare? È il primo maggio e questo è un corteo di lavoratori arrabbiati” e aggiunse “in più come si può dire che è giusto che qualcuno rubi il frutto di chi lavora?”. Pietro a questo punto si trovava spiazzato, non pensava che quella ragazza potesse avere idee così distorte del lavoro. Cosa avrebbero dovuto fare quindi i lavoratori? Organizzarsi in maniera autonoma per lavorare la terra? Che fesseria, sarebbe una lotta continua a chi ha il pezzo di terra più grosso, un bagno di sangue. A quel punto decise che era giunta l'ora di far cadere la maschera del contadino e raccontarle la verità.

“Guardi, io in realtà mi chiamo Pietro Brunelleschi, figlio del famoso latifondista. Mi vede vestito così solo perché erano alcuni anni che avevo notato la sua bellezza e volevo avvicinarla. Se mi dà la possibilità di offrirle qualcosa di fresco al bar le potrei parlare delle proprietà della mia famiglia e di quanto sia facile per me farle interrompere il lavoro alla fabbrica per una vita di agio, con me.”

Lei a quel punto lo fissò dritto negli occhi e con aria di disprezzo disse: “Guardi questa gente. La sua famiglia ha sfruttato queste persone per anni e continua a farlo. Lavorerei ottanta ore in fabbrica tutte le settimane per tutta la vita, piuttosto di passare un'ora con lei.”

Pietro, allontanandosi stizzito dal rifiuto disse sottovoce: “Godetevi la vostra festa servi che domani è di nuovo la festa dei padroni.”

8 commenti:

  1. bello ma.....

    l'ultima frase è di una potenza assurda!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
    spacca tutto Pajaaaaaaa

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  2. Bravo paja primo...però infine, bravi tutti!

    :)

    ;)

    :D

    Lol!

    Non sapevo che il 2 maggio fosse la festa dei padroni.


    Spacca il racconto padron Sandro.

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  3. voglio essere padrone del mio tempo

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  4. paja + corteo = rosso.
    scatenate l'inferno della lotta continua.
    nomi al nome. date dell'infinito passato.
    paja: sei il solito comunista.

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  5. paja sociale, paja rappresentante, paja presidente.

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  6. Questo racconto è una rivisitazione in chiave semi moderna della favola di Esopo "La volpe e l'uva".
    (Pippo Vespa docet)

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  7. uno innamorato da sempre di un immagine, che ha dentro di se, poi scontratosi con la realtà getta questa immagine con odio...

    è un tema che scotta pajaaaaa

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