L'incipit della settimana

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domenica 8 aprile 2012

Avrebbe voluto non crederci

Andrea contemplava la strada deserta attraverso i vetri della finestra.
Era proprio soddisfatto della scelta. La sua nuova casa gli piaceva proprio tanto, e lo si poteva notare dal sorriso che gli si formava sulle labbra, non appena allungava lo sguardo verso il fondo della via, fino all’incrocio che si poteva scorgere nei giorni più limpidi.

Era da molto tempo che sognava quel momento, quella svolta, che finalmente era arrivata, sottoforma di una nuova casa, di una nuova città, di una nuova vita.

Aveva dovuto superare difficoltà economiche che l’avevano costretto fino a pochi giorni prima a rimanere rinchiuso tra quattro mura che ormai odiava, in compagnia di persone con cui condivideva solamente l’aria che respirava, nient’altro.
Aveva anche lasciato un lavoro che lo stava consumando. Era riuscito a trovarne un altro, in un negozio del centro, con orari più che accettabili, che gli permettevano di condurre una vita sociale più “normale” di quella precedente.
Era sicuramente più sereno.

Aveva avuto poco tempo per visitare la città fino a quel momento, ma non aveva fretta. Intanto spulciava piano piano le viuzze del suo quartiere, alzandosi sulle punte quando passava vicino alle recinzioni più alte, per osservare i giardini dei suoi nuovi vicini, alcuni molto curati, altri meno.

Quel giorno, mentre guardava dalla finestra, si immaginava le prime conoscenze che avrebbe fatto: al lavoro, al corso di pittura, a teatro, ai concerti. Fantasticava sulla simpatia dei ragazzi e sulla bellezza delle ragazze. Le ragazze, appunto. “Chissà”, pensava, “se finalmente conoscerò quella giusta!”, adesso che avrebbe avuto molto più tempo da dedicarle, per cercare di costruire una relazione stabile, di cui sentiva ogni giorno più forte il bisogno.

Era anche contento dei coinquilini che gli erano capitati. Il ragazzo con cui divideva la stanza, Cesare, studiava medicina. Era tranquillo, non parlava molto, ma dava l’idea di essere un tipo intelligente, o almeno sopra la media. Degli altri due coinquilini, uno lavorava full time in un museo di storia dall’altra parte della città, e l’altra era una ragazza che non aveva ancora avuto modo di conoscere. Di lei sapeva solo il nome, Marta, e che sarebbe arrivata un giorno di quella settimana.

Fuori dalla finestra si vedeva il vento che soffiava e piegava le fronde degli alberi davanti alla casa.

Andrea stava pensando di chiedere a Cesare cosa avrebbe fatto quella sera, sentendo una certa voglia di festeggiare quel nuovo inizio con una buona dose di alcool. Gli avrebbe scritto un messaggio, dal momento che non era ancora tornato, ma intanto rimaneva incollato al vetro a scrutare le poche persone che passeggiavano lungo il marciapiede sottostante.

Si soffermò un attimo di più su una ragazza che si stava avvicinando lentamente con una borsetta in mano. Notò il passo particolarmente elegante, che schivava con agilità i rami e le foglie ammucchiati per terra, e per un attimo distolse lo sguardo. Collegò quel passo a un ricordo che non riuscì a recuperare dalla sua memoria, e riprese ad osservare la ragazza. Indossava un vestito che contro la luce del sole pareva tutto bianco, quasi panna, che le finiva all’altezza delle ginocchia. Era parecchio alta. Aveva capelli corti e chiari, che come il vestito rilucevano al sole in piccoli lampi dorati. Distolse ancora una volta lo sguardo per pensare. C’era un altro ricordo che quei capelli richiamavano, un qualcosa di lontano, ma ancora troppo vago e non decifrabile. Andrea rituffò gli occhi giù per la strada.
La ragazza si stava avvicinando. A quell’altezza Andrea riusciva a distinguere il colore delle scarpe e della borsetta. Il profilo del viso e del corpo, le linee dei seni e delle cosce si stagliavano sempre più chiaramente in controluce. Andrea per l’ennesima volta stette per ritirare lo sguardo e concentrarsi su quel ricordo insistente che gli arrivava da lontano, ma ci rinunciò.
La ragazza, arrivata all’altezza della casa, dall’altra parte della strada, la attraversò, voltandosi in direzione della finestra e di Andrea. Aveva mosso i primi passi sull’asfalto.

Andrea volle non crederci.

Marta.

Erano passati tre anni, ma il dolore era quello di sempre.

Marta salì il gradino del marciapiede, fece due passi verso il portone e tirò fuori la chiave.
Prima di entrare infilò la mano nella buca delle lettere per controllare la posta. Sulla cassetta il nome di Andrea era stato da poco aggiunto a penna, a fianco del suo. Afferrò una busta e chiuse dietro di sé la porta.
Andrea dopo pochi secondi sentì il rumore della chiave nella serratura, appena oltre la porta della sua stanza.

Andrea avrebbe voluto non crederci.