L'incipit della settimana

ELABORATO TESTUALE DI TOT PAROLE: "L'antico vaso andava salvato"
STRINGA AUDIOVISUALE DIGITALE PROVENIENTE DA QUALCHE SERVER: "Youtube"
RETTANGOL CARTPLASTIC CONN'IMMAGIN STAMPAT QUAS BEN:"Perdita di tempo"
Ctrl+c, Ctrl+v, STAMP-E-PORT-LE-FOGL:"Glutammati sto sodio"

lunedì 24 ottobre 2011

Sindrome di Münchhausen

Dopo aver sputato a terra, con le mani nelle tasche, alzò lo sguardo maledicendo i genitori che avevano avuto la crudeltà di concepirlo. Mise la mano sulla testa ed iniziò a grattarsi compulsivamente. Sentì la sensazione di piccoli insettini che si muovevano fra i suoi capelli castani e lentamente si insinuavano al di sotto della pelle. Estrasse una piccola rubrica dalla tasca posteriore dei pantaloni, infilò una mano sotto il maglione ad afferrare la penna a sfera che si trovava nel taschino della camicia. Il taccuino era rivestito da un sottile strato di pelle nera, dalle pagine ingiallite uscivano due nastrini di stoffa blu. Con il dito indice puntò la lettera “P” e con il pollice strinse l'etichetta aprendo il libricino proprio al punto stabilito. Arrivò con la penna al primo spazio libero e segnò: “Pidocchi”. Paolo chiuse il tutto e lo riposizionò al proprio posto.

“Cento” pensò “numero tondo. Cento differenti patologie in un solo corpo umano. Sono sicuro che negli Stati Uniti i medici farebbero la fila per potermi studiare!”. Lesse la targa dorata con inciso il nome “Dott.ssa Sandrini Francesca” e schiacciò il pulsante dorato aprendo il cancello.

In piedi nella stanza d'aspetto un uomo con l'impermeabile grigio e un paio di giganteschi baffi sul volto pareva reggere il peso del muro e quindi di tutto lo stabile con la spalla. Il folle ipocondriaco gli si avvicinò strisciando i piedi ed iniziò orgoglioso:

“Cosa è venuto qui a fare? Non sembra malato! Sono sicuro che è qui per qualche stupido gocciolamento di naso oppure per un colpetto di tosse di troppo. Lo sa che dovrei passarle davanti di diritto? Guardi qui, guardi queste occhiaie. Insonnia. Dia un'occhiata alla mia pelle. Psoriasi. Oggi potrei elencargliene altre novantotto diverse. La famiglia del farmacista quasi la mantengo io.” estrasse una pillola dalla tasca “vede questo? È il settimo farmaco di oggi, e sono solo le nove del mattino!”. Volutamente tossì sputacchiando il signore che pareva non mettere attenzione alle parole che sentiva. Con un gesto della mano fece segno al malatino di passargli pure davanti.

Paolo, svicolando davanti al signore pensò “Funziona sempre!”

L'uomo, piegò il foglio che teneva in mano, il tono di quella lettera suonava come una condanna a morte. La fredda scritta diceva: “Terminale”.

La Festa


Dopo aver sputato a terra, con le mani nelle tasche, alzò lo sguardo ed iniziò ad annotare quello che dicevano.

"Il Pava fa la merda. La Giulia urla se no non la ascoltano. Il Corra ha ragione, Venturi ha torto. La smetti?!? E’ convinto capiamo questo, ti chiamo a buso. No la maraja (lesa) deve capirsi. Eran tutti di merda, dai perché se l’è cioccata con me? Bravo stravede non hai visto mi fai passare per un coglione. Per carità Disarò è una bella figa me la farei. Io non ho capito un cazzo c’hai ragione Cosa? Ha parlato eccome perché qui c’era la piega. Eh, chiaro che se non lo vedi non è uno sbaglio. Cioè, ma perché vai dal macellaio e gli spacchi la faccia a crudo, cosa ne sai te della nostra vita? Se bisogna star qua a sentire ste robe! Vado a casa. Ma dai non puoi far finta di esser qua ed essere uno del Chievo? Non parli di un nome. Ma non si può finir così ogni serata. Si, si stupidi! Ora capisci perché ho altro da fare?non è che mi diverta tanto. Non c’è più? Scaglio bottiglie io? Sai che ci si può fare la lavanda al buco del culo? Il Tiello cade. La pulizia del buco del culo? Ti devo fare alla Expendables? Ti puoi pulire il buco del culo. Brutto stronzo, scusami. Sei La merda. Vuol dire. No. Tu ti ricordi Knoxville che è vestito da Babbo Natale? Cane per poco che non lo sbrana. Un cazzo. L’han fatto anche i tuoi. Ma chi? Boh? Va beh te gh’è reson. Perché una vita sola cosa succede? Non è male vedere il Verona. Ti fai pulire il culo te? Tu che sei l’unico che mi può capire. Disarò è un giornalista. Vedrai domani chi è che viene a prenderti a casa. Quand’è che c’è West-ham Millwall? Non è che i miei han fatto la pulizia del culo!! Tu stai sbavando porca puttana. E nessuno è mai stato al sud del Po! Alla fine rimango qua. Profondo rosso dio bello. Non si possono scrivere citazioni. Uno a zero, entro un attimo. Siete ancora in Piazza Isolo? La maraja incendiata goal di tacco!!! Scommettiamo l’onore! Vaffanculo cento euro! Mi lancia la moneta, butei ho fumato mi son messo alla tastiera. Spostati, voglio provare la tega narghilè. Non ce la può fare con quella da due! Hai rovinato lo scherzone della serata. Un quarto d’ora dopo, pubblico infervorato".

Lunedì 24

Cin Cin

Dopo aver sputato a terra, con le mani nelle tasche, alzò lo sguardo.

Non c’era nulla, anzi… c’era il nulla. Forse la frustrazione che lo consumava da mesi s’era portata via tutto. C’era solo buio, una piattaforma nera, una lastra scura, una tenebra spalmata su tutte le dimensioni e in tutte le direzioni. Gli trema il labbro, diventa viola, si gonfia e si crepa. Ma perché? Dov’è il taglio? Com’è successo? E perché tutto è sparito e non si vede più nulla? Gli si gelano i gomiti, che strano, proprio loro, i gomiti, freddissimi, blu ghiaccio. Anche le ginocchia. Si spaccheranno?

Il terrore se lo mangia a morsi, il disgraziato. Un liquido rosso scuro sta riempiendo il suo corpo, ormai diventato una strana scultura di vetro. Il fluido sale piano piano, è all’altezza delle cosce, e lui, che vorrebbe indagarne la natura e scoprirne gli odori e i sapori, prova a piegarsi invano, scoprendo di essere impossibilitato alla mobilità e inebetito dall’adrenalina e dalla paura.

Il suo corpo trasparente è ormai quasi interamente riempito del rubino mistero. Giunge ora sopra il mento. Con piacere, riesce almeno a muovere la lingua e sfiorare appena il liquido che sta per sfondargli la faccia. Finalmente scopre di cosa si tratta. È vino rosso! E buono anche! Questo è un vino importante, farà più di 14 gradi!!

Trema, in preda al panico, stranamente eccitato, per la prima volta dopo tanto tempo. Riflette in un attimo breve e intenso; lucido e vitreo, capisce.

“Sono diventato un decanter! O lo sono sempre stato e solo ora l’ho capito!! Che stile, che onore!! Eh si, dev’essere proprio così - pensava la scultura di vetro – mi sono lasciato prendere un attimo dal panico, tutto qua…”. Era chiaro in effetti. Tutti gli oggetti erano così familiari adesso. Cugine tazzine, amiche posate, amanti calici. Il vino stava per rubargli l’aria e riempirgli il cranio della sua totale presenza. Febbricitante di gioia, impazzito per l’incontenibile euforia della scoperta, pazzo d’amor proprio, il disgraziato salutava la realtà come l’aveva conosciuta fino a quel momento. Cavalcando esuberante gli ultimi attimi di vita umana, pensava a quanto piacere avrebbe recato a chi si fosse servito di lui.

Quanta utilità, finalmente. Questo ha un senso. Un fine specifico. “Servo a questo, a dare ossigeno al vino che contengo...”.

Delirante come un miracolato, iniziò allora a soffiare, senza inalare più aria nuova, così che il vino fosse pronto per la degustazione, e soffiò fino alla fine, soffiò finchè potè.

giovedì 13 ottobre 2011

La pigrizia del domani

Tredici settimane senza sistemare l'auto è il tempo tecnico con il quale tutta l'inutile spazzatura accumulata sedimenta alla vista. Quasi potrebbe sempre essere stata lì, ad occupare centimetro dopo centimetro il risicato spazio dell'abitacolo. Biglietti del parcheggio, pacchetti di sigarette vuoti, bottiglie di plastica sparpagliate sul sedile posteriore. Alessandro aprì la portiera, che cigolando gli fece ricordare tutti i piccoli difetti che giorno dopo giorno si erano accumulati e che rendevano il suo mezzo di trasporto costruito in serie, unico.

"Questa macchina comincia proprio a fare schifo! Ogni volta dico che dovrei tenerla ordinata ma poi non ci riesco. Sembra quasi che lo faccia apposta!"

Si tolse la giacca, avvolse le maniche della camicia come gesto inequivocabile della voglia di sistemarla. Quella sarebbe stata la volta buona.

Adesivo "Busker ad honorem"

"Taci, stupido ritrovato tecnologico!" con un veloce gesto delle dita Silvia era andata a zittire la voce monotona e petulante della donna che dallo speaker del cellulare ricordava "Appena possibile, effettuare un'inversione a U". Il cartello recante la scritta “Mantova” allontanò la speranza di arrivare a casa in breve tempo. Non a tutti però importava, due delle tre passeggere del sedile posteriore si erano accasciate una sulla testa dell'altra in una completa fase REM. Chiara era illuminata solo dalla fioca luce del telefono sul quale stava componendo un lungo messaggio.
“Ed ora? Che strada prendiamo?” disse l'ormai stanco ed assonnato guidatore. Il buio intorno a loro non permetteva la vista di punti di riferimento, l'unico loro appiglio erano i cartelli stradali e il sopraccitato fallace navigatore.
“Non chiederlo a me, questa adesso dice che il segnale GPS è assente!” disse Silvia, intenta a cercare una posizione ideale in cui il telefono ritrovasse il segnale e quindi la strada appena persa.
“Questi sono proprio i momenti in cui ti servirebbe un bel razzo segnalatore” pensò Alessandro alla guida “accosti, lo spari per aria e aspetti che qualcuno prima o poi ti venga a prendere...”
“Ecco, ecco, vai piano.” - interruppe il pensiero la ragazza - “fermati, che leggiamo bene il cartello.”
L'auto si fermò dolcemente, con i fari abbaglianti puntati sull'enorme cartello che tanto faceva rimpiangere il vecchio e caro “Tutte le direzioni”.
Alessandro si guardò il petto, sul quale aveva ancora attaccato l'adesivo della manifestazione musicale che aveva lasciato nella città di Ferrara. Lo staccò e prima che la colla si impolverasse, lo appiccicò proprio sopra il vano porta oggetti.

Sacco a pelo

“Bastaaaa!” la voce squillante di Filippo l'aveva svegliato. Alessandro non si trovava a proprio agio a dormire sulla nuda terra, coperto solo dal sacco a pelo. Il suo non proprio discreto russare aveva fatto svegliare quasi tutti i residenti di quel piccolo accampamento poco distante da un paesino montanaro. Se questo può essere una giustificazione, la simpatica gita è stata per lui piena di “prime volte”. Prima volta in campeggio, prima volta a dormire sotto le stelle, prima volta in un sacco a pelo. La sistemazione era stata accuratamente sperimentata a casa, mentre veniva irriso da tutti i familiari. Si alzò in piedi, raccolse le sue cose e si bardò in quel sacco, ormai sudicio e sporco di terra.
“Ed ecco il sonno che se ne va...” disse sottovoce, imbracciando un libro e cercando la comoda collocazione per poterlo leggere. Si adagiò su una pietra a ridosso del torrente che si muoveva silenzioso ai lati del bosco, ed aprì il libro. Mentre scorreva lentamente le parole stampante buttava l'occhio su cosa stava accadendo intorno a lui. Alcuni si svegliavano apprestandosi a smontare la tenda, Filippo che era stato disturbato dal russare era tornato a dormire, nelle altre tende la calma era piatta, non volava una mosca. Chiuse il libro e si alzò, per ricongiungersi agli amici da poco svegliati. Alzò la mano sotto il sacco a pelo in gesto di saluto, si limitò solo a dire “Augh!”

Le storie sono andate veramente così, o almeno è così che Alessandro le vuole ricordare. Ogni piccolo oggetto che poteva sembrare disordinato in realtà aveva un ordine preciso nei suoi ricordi. Svolse le maniche della camicia e con precisione infilò i piccoli bottoncini dei polsi nelle loro asole. Chiuse con uno scatto la portiera dell'auto guardando il vortice caotico che lasciava all'interno.

"Oggi non ne ho voglia. Lo farò domani!"


Questo racconto lo dedico a tutti noi, alle avventure che ci hanno dato l'opportunità di conoscerci. Se avessi dovuto descrivere realmente tutto quello che ad oggi occupa la mia auto starei scrivendo un libro alla Pippo Vespa (interminabile :) ). I molti che quindi non sono citati nel racconto non se la prendano, lo farò domani!

Edit:
Ah, 97.22%.
35 racconti su 36 presenze. :)

martedì 11 ottobre 2011

7. POCO RUMORE, PER NULLA

Dopo dieci minuti di pioggia, l’aria si fece più rarefatta benché il cielo restasse di un plumbeo ondoso. Si stava facendo tardi, e i lampioni avevano già fatto il loro stiracchiante capolino striando il selciato bagnato di riflessi arancioni. Erano le 8, la sera arrivava. Tardi, diavolo che tardi. Una disavventura dopo l’altra, anche l’acqua ci mancava, dieci miseri minuti ma che pesavano sulla sua gagliarda tabella di marcia, tutta un po’ affidata ai casi e alle coincidenze, e mentre lui continuava ad arrestare il suo percorso per un motivo o per l’altro, le lancette del suo orologio sembravano correre come schegge. Mai affidarsi al caso, a Venezia. Non esistono coincidenze se non per l’intercessione del santo del campiello in cui ti trovi, che sgranchisce le sue dita marmoree benedicenti giusto per ricordare il perché che anche lui s’è guadagnato un posto nel calendario. Non esiste caso, nessuno te la manda buona a Venezia, gli imprevisti sono mille e uno o l’altro ti capitano per forza. Seppoi ci aggiungi l’ansia emotiva, il risultato è che Eva sarà già uscita a quell’ora, e senza più batteria nel cellulare non la si può contattare.

Non resta che continuare a correre verso casa sua pregando di non perdersi tra calli e callette, un giro attorno al pozzo chiuso, non prendere il primo arco ma il secondo, angolo stretto a destra, poi oltre il campiello, all’affresco della madonna a sinistra, dritto, dritto sicuro adesso..! Chissenefrega se tutto questo sobbalzare sta riducendo il sacchetto del regalo un colabrodo, e la superficie plasticata striata da linee stropicciate più scure come i capillari di una foglia di vite. L’attenzione è tutta sui particolari delle strade, il naso in su cercando appigli visivi per orientarsi. Non c’è che la memoria eidetica per muoversi a Venezia. E la impari solo dopo esserti perso una decina di volte facendo la stessa strada nella stessa direzione, ma oggi no, non bisogna perdersi. Un attimo d’indecisione ma è già passato, se ti fermi a pensare sei già fottuto mentre se ti lasci condurre dal sesto senso ti andrà bene. Altra regola illogica che vige in questo spazio senza tempo.

Eccola la strada, una calle talmente stretta da bersi il sole a qualunque ora del giorno, una calle cieca di ombra e di silenzi. Quante volte c’è entrato, inoltrandosi come in una gola selvaggia tra liane di fili del bucato e inquietanti urla di preistorici volatili lontani. Come una litania, solo coi suoi passi; sempre col naso in su, a sperar di rubare qualche segreto dei fantasmi che ne abitano le pareti scoscese e irregolari. Non si vedeva quasi nessuno comparire alle pareti, solo panni di volta in volta diversi stesi sopra la sua testa a parlare delle vite di quegli esseri invisibili.

Ecco la porta, le tre fila di scuri verdi, d’un legno mangiato dall’umido e dall’usura. La terza da sinistra, all’ultimo piano: la finestra della sua stanza. Suona e nessuno risponde. Suona ancora fingendo di ignorare la rabbia della delusione. La lascia scorrere nei muscoli indolenziti dalla corsa rigida, impacciata per la paura di scivolare sulle lastre del selciato che con la pioggia si trasformano in ghiaccio. Non risponde comunque, ‘ecco ho fatto tardi’ si dice. Potrebbe andarla a cercarla, si dice alzando ancora il volto alla finestra. Respira l’aria. Sa di umido, è come se esaltasse il salmastro perenne dell’aria con una nota diversa, una nota profumata. Rarefatta, appunto. Sa di buono, sa di qualcosa che ti abbraccia completamente. Degli umori del fondo lagunare che si uniscono con gli umori dell’aria, in uno sposalizio immemorabile. Venezia diviene prigioniera delle Acque quando piove, non più loro signora. La pioggia le toglie i colori, e la riveste di bagliori sinistri come più le donano.

Adesso non ha più voglia di andarla a cercare, non ha senso perché a Venezia non trovi mai ciò che cerchi. Le cose ti vengono incontro quando meno te le aspetti. Ti torturano di presenze, ti assalgono di continuità, permeano tutto, le cose sono tutte lì, si rigirano uno spazio minuscolo fatto di arterie che si ritrovano sempre, come in un sistema circolatorio. Eppure è un labirinto pieno di angoli ciechi dove i ragazzetti vanno a far l’amore con le prime morose, pieno nidi di confidenze e chiocciare di donne, pieno di sentieri paralleli che chi vuoi incontrare può, malauguratamente, scegliere di percorrere.

Quando è caduta la conversazione non aveva fatto a tempo a dirgli nulla, solo sbiascicava di quell’appuntamento verso le 8. Ed eccolo lì, con ancora nelle orecchie il tono monotono e distaccato della voce di lei, come abituata alle litanie senza risoluzione del loro rapporto interrotto; lì come un fesso, con l’entusiasmo dell’eroe romantico ridotto alla delusione di un bambino, la sua grandezza da Gilgamesh scoppiatagli addosso come un gavettone di idiozia. Faceva freddo per restarsene così, anche se ci saranno stati almeno 19 gradi. Gli faceva freddo, stare lì così. Ricominciò a far dondolare il suo sventurato pacchettino, e riprese la strada di casa.

Cammina nel silenzio e nella solitudine ritornando sugli esatti passi dell’andata, ripercorrendo le scorciatoie isolate che permettono di tagliare la geometria della città insinuandosi nella sua cartografia celata, quella che si insinua sotto passaggi angusti e sali-e-scendi senza sosta da ponticelli invisibili sulle comuni mappe. Il buio della sera ormai cancella i profili dei cielo e lo rende la specchio oleoso dei canali scuri, stagni. Le lanterne della sera, di un giallo opaco, avvolgono i contorni delle barche sonnecchianti stendendo le loro ombre sui muri vicini. Le acque dei canali lambiscono il passo, stanotte ci sarà l’alta marea. Per questo fa così caldo a ottobre inoltrato.

Silenzio. Gli scalpiccii lontani che fanno compagnia al viandante solitario non sono che il maligno scherzo che gli spiriti di Venezia inventano con l’eco dei suoi stessi passi. Non si è mai soli, per queste calli. Lo sa bene chi si muove a notte fonda per la città, attraversando campielli addormentati, inoltrandosi in un mondo sospeso per sempre nel limbo di una veglia. Non dorme, Venezia. Qualcosa è sempre vigile, e osserva dagli angoli, tra le fessure buie delle inferriate, dall’alto di un fico che fa capolino coi ventagli delle sue foglie dall’alto di un muro di cinta. Solo i gatti si fanno vedere, deambulando svogliati e fermandosi un secondo a scrutare il visitatore inquieto che attraversa con un disagio forzatamente governato quel regno di presenze in cui loro s’aggirano con streghesca naturalezza.

Si ferma come se avesse sentito qualcosa, o visto qualcuno nel cono d’ombra di quel portone. L’occhio indugia per scoprire una vecchia boa rossastra e il resto di una giacca abbandonata su una sedia. Un gioco di luci flebili e ombre ingannerebbe la ragione di chiunque, figurarsi quella di un giovane amante facile preda della regina Mab. Già non capisce più se è veglio o sta sognando. Non sa se siano i suoi pensieri agitati a sussurrargli visioni illusorie, eppure lui è certo che qualcosa attorno sorrida della sua sfortuna.

Un italiano a Pechino

Libertà, euforia e rinascita: era l'atmosfera che si respirava a Pechino dopo la fine delle olimpiadi. Migliaia di persone si erano riversate chiassose per la strada come per il capodanno cinese, i bambini correvano liberi in tutte le vie bloccate al traffico grazie alle manifestazioni sportive. A Walter poco importava di questo, bloccato alla scrivania del suo ufficio proprio sopra la via principale della città. Prese un grosso faldone rosso, lo mise davanti a sé e lo aprì. Appoggiò una mano alla fronte corrucciata e scosse la testa lentamente, in segno di rifiuto. Guardò l'orologio, anche quel giorno sarebbe rimasto in ufficio fino a tardi. Chissà come se la stava passando Piero, unico italiano dell'azienda oltre a lui. Erano l'effetto migliore della delocalizzazione in materia di laminati plastici. Senza famiglia, quindi esportabili. Walter chiuse il faldone, si alzò e si diresse verso l'amico intento a riportare dati in tabelle.

“Per quanto ne hai ancora?” gli disse.
“Guarda, non me lo chiedere, sto navigando in un mare di guai.” rispose Piero.

Walter non aveva mai visto Piero così preoccupato, quasi sicuramente stava lavorando a qualcosa di importante.

“Ascolta, anch'io ne avrò per molto ancora. Prima o poi mi troveranno ammuffito di fronte al mio computer. Che ne dici se facessimo una pausa?”

Piero si stiracchiò, allungando le braccia, sentendo scricchiolare la sedia e le ossa. Stropicciò gli occhi e guardò tentato l'amico in piedi di fronte a lui.

“Che diavolo, andiamo! Tanto rimarrò qui tutta la notte comunque!”

Aveva la mania di bloccare il computer tutte le volte che si allontanava dalla postazione, così lo fece. Una veloce combinazione di tasti ed era schizzato in piedi. All'inizio nessuno dei due fumava né beveva caffè. Poi, per concedersi delle pause erano passati dal bicchiere d'acqua del boccione in corridoio, al caffè americano in tazza grande, alla sigaretta sul balconcino, infine al caffè più bicchiere d'acqua più sigaretta lunga sul balconcino. Ultimamente avevano aggiunto una nuova insolita attività alla loro pausa, che dai tempi di Eduardo De Filippo non era così in voga.

“Ci divertiamo un po'?” disse Piero che lentamente si muoveva in direzione della brocca di caffè

“Prima o poi ci scopriranno...” disse sottovoce Walter, dimenticando che nessuno li capiva quando parlavano italiano. Aggiunse: “Al diavolo! Facciamolo.”

Si misero sul balconcino ed iniziarono a scrutare le persone che spegnevano le sigarette e si apprestavano ad entrare. Scelsero quello che più aveva la stupidità stampata sul volto, occhialoni da secchione e sorriso finto, di circostanza. Walter girò la testa verso Piero ed annuì. Piero a quel punto fece come a prendere la rincorsa con la lingua, che piazzò velocemente in mezzo alle labbra. Soffiò forte ed emise il classico suono che tanto ricorda una flatulenza. Accompagnò la pernacchia con il gesto delle corna. Il cinese, stupito, si fermò e si girò verso i due, visibilmente divertiti.

Walter usò il suo inglese incespicante per spiegare che, in Italia, quel gesto è utilizzato per augurare il buon proseguimento della giornata e dell'attività lavorativa. Aspirò forte dalla sigaretta con fare sicuro, come a dimostrare la verità delle sue parole.

Il cinese a quel punto rispose imitando il gesto, inaspettatamente molto bene, asciugandosi poi il filo di bava che gli era colato dalla bocca.

Disse, mostrando il badge spillato alla camicia, riportante il nome “Yan Di Girolamo”:

“Oh, gli italiani si fanno riconoscere proprio dappertutto!”

martedì 4 ottobre 2011

le falene

Come falene alle lanterne
il fuoco vi ha richiamato
il ronzio era implacabile
tredici falene
non poteva essere altrimenti,
tutte nella notte
tutte alla stessa via, alla stessa lanterna
tredici settimane senza
nè ipocrisie, nè pretese
dove l'imperfezione è padrona
e bellissima amante
dove la diversità ci sfiora le orecchie
con idee sbarazzine
tredici proggeti diversi
e un piccolo sogno, unico
di essere umbevuti tutti dalla lanterna
di non rimanerne scottati
la quattordicesima son io
condannata da un doppio amore
lascio le vostre dita senza perderne lo sguardo
vi relego in tredici settimane d'estate
e vi riporto a me con un grazie, sincero.
mai son stata più felice di esser una falena anch'io.