L'incipit della settimana

ELABORATO TESTUALE DI TOT PAROLE: "L'antico vaso andava salvato"
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martedì 26 aprile 2011

Claustrofobia

Fecero la pessima scelta di trovarsi nel bosco a notte fonda per trovare l'ispirazione necessaria a scrivere la loro storia. Avevano trovato un posto proprio sopra la loro città, in montagna. Poco distante vi era un piccolo cimitero nel quale un centinaio di lapidi uscivano dalla fredda terra. Accesero un fuoco e si sedettero, con il portatile sulle gambe pronti a scrivere. Quel posto era perfetto per scrivere una storia terrificante, il buio li attanagliava e un vicino torrente rumoreggiava, suggestionandoli. Iniziarono però a sentirsi molto spaventati solo quando, nel silenzio assoluto della natura, una voce umana iniziò a riecheggiare per la valle. Inizialmente pensarono fosse il vento che soffiava fra le fronde degli alberi, poi il verso di qualche strano animale, infine capirono. Quella voce diceva “aiuto”. Si alzarono di scatto, presero le torce elettriche ed iniziarono a seguire quella voce. Portava direttamente al cimitero.

Si era svegliato in un piccola scatola buia che lo conteneva completamente, l'aria iniziava a mancargli e stringeva fra le mani una targa dorata con il suo nome inciso, John. I suoi recenti problemi di salute l'avevano portato ad essere ricoverato per più di un mese in una clinica, in preda a numerosi infarti. Quando capì che cosa fosse successo ebbe un crampo al cuore, quella situazione è la peggiore nella quale ogni uomo si possa mai trovare nella sua vita: una prematura sepoltura. Iniziò fortemente ad agitarsi e a dimenarsi. Purtroppo però capì subito che la bara si trovava due metri sottoterra. Prese la targhetta che stringeva fra le mani, ed iniziò a sfregarla sulle pareti di quella sua ultima dimora mortale. Le forze lo stavano per abbandonare quando, con gli ultimi attimi di respiro possibili iniziò a gridare un verso di aiuto disperato mentre ormai tentava di scavare la bara di legno massello con le unghie.

I ragazzi, con la torcia in mano, erano arrivati ormai al cimitero cercando di capire dove quella voce li portasse. Erano riusciti ad identificare che proveniva da sotto la terra, dove una lapide semi anonima portava inciso “John”. Uno di loro disse “Un badile, presto!”. Quella voce li terrorizzava a tal punto che alcuni di loro erano bloccati, fermi a fissare nel vuoto. Scavarono velocemente, con tutte le forze che avevano, alcuni con i badili di fortuna altri addirittura con le mani e più si avvicinavano e più la voce diventava forte. Arrivati a vedere la bara, presero un piccolo piccone ed iniziarono a romperla. La voce ora era fortissima. Quando riuscirono ad aprirla e vederne il contenuto rimasero agghiacciati. All'interno trovarono uno scheletro ormai completamente decomposto che reggeva fra le mani una targa dorata.

“John Doe. Verona, 24 aprile 1851.”

Le torce in quel momento si ruppero e loro non tornarono mai più da quella montagna.

lunedì 25 aprile 2011

Adam, Sally e Jerry

Fecero la pessima scelta di trovarsi nel bosco a notte fonda: Adam, Sally e Jerry.
Adam e Jerry erano fratelli, 8 anni il primo e 7 il secondo. Sally invece era la loro vicina di casa coetanea di Jerry. Questi tre sbarbatelli avevano deciso per quella sera di evadere dalle loro case e di infilarsi nel bosco oltre il campo di pannocchie che circondava la loro casa.
In paese si diceva che il bosco fosse se non avvolto da un maleficio, quantomeno un posto da evitare ed ambiguo.
Ora immaginate questo bosco come un tavolo apparecchiato… la fitta pineta è la tovaglia, forchette, lame e cucchiai sono il sottobosco, la notte e la nebbia.
Le portate ora: Adam, primogenito spavaldo, segretamente innamorata della figlioletta del vicino.
Sally: giovane ragazzina annoiata e smaliziata.
Jerry: fratellino di Adam, timido e silenzioso.

Eccoli li, Che attraversano il campo di mais armati di torce.

-Adam, credi a queste storie sul bosco?

-Siamo qui per scoprirlo…

-e tu Gerry? Ci credi?

- No…no. Non credo.
- Secondo me te la fai sotto!
- Stai zitta. A queste cose qui, di fantasmi non ci credo mica.
- Silenzio adesso! Da ora voglio silenzio…chiaro.
- Chiaro
- Va bene.

I tre lasciano il campo di mais ed entrano nel bosco. I fasci di luce delle loro torce si muovono con frenesia…e vengono spezzati dal tronchi dei pini, neri e infinti.

- Jerry, Sally, spegnete le torce.
- Va bene.
- Col cavolo Adam che la spengo. C’è un buio qui!
- Spegnila cagasotto!!
- Ti ho detto di no!

Adam allora con uno scatto si lancia sul fratello. Mira alla sua torcia. Ma Jerry, più che abituato alla prepotenza del fratello fa un veloce passo indietro, negando così la sua unica fonte di luce alle grinfie del fratello ma non riuscendo ad evitare di inciampare su un qualcosa, forse un sasso, forse un tronco…

Jerry si sente cadere. In meno di un secondo arriva l’impatto della schiena con il terreno…la botta e li davanti a se la sommità degli alti pini, illuminanti dalla sua torcia…che sta girando nel vuoto…pericolosamente libera dalla sua mano…e tragicamente diretta verso il suolo. Fa un giro…illumina il suolo, illumina i pini…un metro da terra. Fa un altro giro, illumina i pini illumina il suolo, 10 centimetri da terra… clack.
Rumore di vetri rotti. Clack. Niente più luce. Clack sente Jerry. Lo sente come se si fosse spezzato la spina dorsale.
“merda” Pensa, sdraiato per terra.
E intanto intorno a lui il buio si è fatto nero.
E intanto intorno a lui risate, vicine.
E intanto intorno a lui risate, lontane.
E intanto intorno a lui risate, lontanissime.

Monta la paura.

A 100 metri da lui..La vede; una luce si è accesa..sarà suo fratello…sarà uno scherzo.
La luce si spegne.

-Hey! Dai Adam…potevo farmi male scemo! Si è rotta la torcia del nonno dai non fate gli stupidi..

Monta il terrore. E se non fosse uno scherzo? Dove sono? Sono svenuto? Dove vado? Dov’era la luce? Dove Adam???

-Dai Adam…ti prego.

Il respiro di Jerry si fa affannoso. Ha paura. Di ogni suo singolo passo. Un passo che avvicina o un passo che allontana?

Monta l’angoscia.

Il respiro affannoso diviene pianto…Jerry cammina nel bosco le lacrime scorrono impotenti sulle sue guance. Non può ragionare, non può nemmeno capire da quanto sta camminando…pochi secondi diventano delle ore. E se dovessi morire qui stanotte in questo bosco?

Il panico.

- Dai scemo!! Siamo qui!!che femminnuccia! Ti sei pure messo a piangere!
A 2-300 metri di distanza si accendono due luci..
- Adam sei uno scemo!! Uno scemo scemo scemo!!!
Ribatte Jerry ancora con la voce rotta dal pianto…
- Adam stupido, Adesso vado a casa e glielo dico alla mamma!!

Ma ecco che da dietro un rumore di passi veloci si avvicina a Jerry, un forte braccio lo cinge al collo e una voce sospirata gli sussurra
all’orecchio:

TU NON VAI DA NESSUNA PARTE.

Nemmeno il tempo di urlare che sparì.

Per sempre.

mercoledì 20 aprile 2011

Acca. Acca. Acca.

Il sottoscritto racconto barra plot barra copione barra estrapolazione di 4.24 minuti vitali, vede come protagonisti e autori: g., m—art et el Brigno.

Per la città. Per altre destinazioni.

Risate.

G- Ho capito che non verrà mai questa cosa

B- No ..c’era.. Allora..ognuno dice.. ognuno dice..

M- ..la sua versione

B- Cioè ma qualsiasi versione però..

M- Si

B- Cioè tu cosa..partendo dall’incipit..

G- Allora l’incipit è..per..la città..

B- ..e per tutte le altre destinazioni

G- Secondo me potrebbe essere..tipo..una cartolina..cioè impersonificarsi in una cartolina..cioè..non so..immagina che ci sia un’immagine di una tipa, bionda, super tettona, con il tanga a livelli ascellari ..che parla..che dice qui inizia il mio viaggio..inizi il trip immaginando di essere la tipa stampata sulla cartolina..

M- Figo!

B- mmm

Risate

Risate

Risate

G- O se No..

M-..potrebbe essere un tipo..bell’impostato ..che finisce il suo percorso di studi ordinario..eeeeee..a lui la frase che c’è scritta sulla cassetta delle poste per la città o per tutte le altre destinazioni..lo mette in crisi..

G- Ma scusa quanti anni ha questo tipo?

M- E’ appena laureato

G- E’ appena laureato..quindi potrebbe essere uno di noi!

M- Tipo uno che fa giurisprudenza ..e ..tipo.. È incazzato come una belva perché non sa decidere se voler fare la sua carriera in città …

G- O se No..potrebbe essere un tipo che abbia più relazioni..una in città e una nelle altre direzioni e decide di eliminarne una..cioè..di lasciarne una..

M- E la lettera finale la lascia all’ultimo perché è scritta uguale ..la stessa lettera.. Con due destinazioni diverse ..che lui si gioca in quei pochi istanti di fronte alla cassetta se eliminarne una o l’altra dalla sua vita..

B- Ma poi che cazzo vuol dire altre direzioni ? Uno se vuole può direzionarla alla luna?

G- o spedire una lettera a dio?

Risate

B- Oppure..anche..si potrebbe fare che questo ragazzo deve spedire una lettera importantissima..che è questione di vita o di morte..c’ha talmente paura che non arrivi che non sa decidere dove mandarla e se la tiene per sé..

M- Che idea di merda!

Risate

Risate

Risate

Risate

Risate

G- Oppure che ne so..c’è uno che si fa un sacco di aspettative ..e alla fine viene fuori che è una bolletta..che so..una multa della municipale..

M- Cioè..sketch finale? Si ma scusa..cosa c’entra con la città e tutte le altre destinazioni?

G- Alla fine sempre di posta si tratta … oppure..cioè..comunque..c’è un tipo che da fuoco alla cassetta perché ti impone alla scelta..ovvero che tu per forza devi decidere tra una cosa e l’altra ..non hai altre soluzioni..

M- Si ma se c’è scritto per la città e per tutte le altre destinazioni vuol dire che non è il contenuto della lettera in sé, ma dove spedirla.. Se mantenerla vicina a te oppure mandarla lontana , che potrebbe essere per esempio una lettera di ammissione di un lavoro..

B- Oppure uno che si manda una lettera a sé stesso, e se la manda in una città che vorrebbe andare, metti che fra 10 anni arriva in quella città gli arriva la lettera scritta a se stesso..

M- Ma a che indirizzo però?

B- Beh beh.. te lo inventi nel racconto.. Vero..

M- E’ figo però che se la invia da solo.. Come per ricordarsi..

B- Tipo fai in modo che quella lettera arriva dopo 10 anni.. E tu nel racconto decidi cosa fare..

M- Oppure uno che perde la memoria continuamente e l’unica cosa che ha.. È un foglietto in tasca con..

G- Ma lo sai che c’è un film?

M- Ah si?

G- Memento.. Al posto di fare così.. che perde la memoria..si tatuava le frasi sul corpo

M- No ma.. Lui ha un foglietto con il suo indirizzo

G- Si che se lo tiene per sé ed è l’unica cosa certa

M- Però lui non si ricorda se l’indirizzo scritto era Verona città questa città oppure Verona vuol dire tutte le altre destinazioni.. E quindi è indeciso..e spacca la cassetta della posta..

B- Rutto

G- E accende un fiammifero e da fuoco a tutto

M- oppure un’altra figata è quella che nella lettera c’è la confessione di un omicidio, la butta dentro e poi si costruisce con un filo una.. no no, ti ricordi il film? C’è un tipo che deve assolutamente conoscere il significato di una lettera che è stata imbucata prima da un altro soggetto.. E quindi lo spia.. Vede dove butta la lettera, la deve fare uscire.. Cosa fa?? Che cos’è che tutto galleggia per la legge di Archimede? Butta dell’acqua dentro fino a far risalire tutta l’acqua e prende la lettera,, cosi evita la commissione di un omicidio..

.

Pausa

.

.

G- Fine

M- Fine

lunedì 18 aprile 2011

Per la città e per tutte le altre destinazioni...

Per la città e per tutte le altre destinazioni...


Li chiamavano i fiori di Bach,e se passavi con un sorriso ne ricevevi uno.

Non importava se fosse davvero per lui o se nascesse da un pensiero lontano, un sorriso valeva un fiore e uno sguardo perso o indifferente il suo silenzio.

Lo chiamavano Bach perchè era sua la musica che lo accompagnava sempre e grazie allo stereo che teneva costantemente con se riempiva le piazze e le strade di note e profumi.

Di giorno Bach viveva dove lo portavano i sorrisi della gente, ogni volta che ne coglieva uno prendeva un fiore dal suo cestino e lo porgeva a chi per un attimo gli aveva mostrato dove girare.

Di notte prendeva l'ultimo treno che lo portasse vicino ad un campo e lì raccoglieva quelli per il giorno dopo, in silenzio.

C'era chi lo definiva un pazzo, un barbone o uno spostato, c'era chi si spaventava alla sua vicinanza e chi gettava i suoi fiori un metro dopo averli ricevuti.

Ma fra tutti loro c'era lei, Margherita, la figlia del farmacista di piazza Garibaldi.

Anche lei non era ben vista da tutti in città. Era stata la tipica ragazzina isolata, schiva e un po' manesca. Non erano poche le persone con cui era venuta alle mani per i più stupidi motivi, e di certo il suo sorriso lo avevano visto in pochi nascosto sotto quel broncio e quei lunghi capelli crespi L'unica momento in cui tutto questo scompariva era quando passava Bach.

Appena sentiva in lontananza le note del suo stereo correva fuori dal retro del negozio, e mentre il padre le urlava di tornare subito in dietro lei andava da lui e per il tempo che restava nella piazza lo seguiva, in silenzio.

Margherita era incredibilmente affascinata da quell'uomo, ma non aveva mai il coraggio di parlargli, si limitava a stargli accanto lungo il suo tragitto e a sorridergli ogni volta che lui si avvicinava a qualcuno per donargli uno dei suoi fiori. Anche Bach non le aveva mai parlato, anzi, a dire il vero nessuno l'aveva mai sentito parlare, e in paese si pensava che non potesse neppure farlo. Ma nonostante questo si vedeva che era felice della presenza di Margherita, e quelle rare volte che per volere del padre non la vedeva uscire dalla farmacia se ne andava da un'altra parte, quasi a dimostrare che senza di lei quella piazza non aveva senso di essere attraversata.

Poi arrivò l'inverno, un inverno molto più freddo i tutti gli altri prima e Margherita si ammalò. Bach passò ogni giorno davanti alla sua farmacia, alzava anche il volume della musica per paura che lei non lo avesse sentito, ma per troppi giorni non ricevette risposta, se non quella del padre che lo cacciava malamente infastidito dalla sua insistente presenza. Più volte provò ad avvicinarsi alla farmacia ma l'unica cosa che vedeva quando attaccava il suo naso al vetro freddo e annebbiato della finestra era lo sguardo glaciale del padre che gli urlava di andarsene perchè spaventava i clienti.

Bach non aveva il coraggio di parlargli, in fondo non l'aveva mai fatto con nessuno, e cominciava a credere anche lui di non esserne capace. L'unico modo che aveva per comunicare erano i suoi fiori , ed era l'unico modo per vederla sorridere.

Provò a lasciarglieli fuori dalla finestre, ma si congelarono.

Li appoggiò sul tappetino dell'ingresso ma sistematicamente qualche signora impellicciata e incurante li pestava andando a comprarsi l'ennesimo analgesico per un mal di testa inesistente.

Provò anche ad entrare per darli direttamente al padre ma la paura di dover parlare e di poter essere cacciato lo terrorizzava, e non riusciva ad andare oltre lo zerbino.

Passarono i giorni e di Margherita ancora nessuna notizia. Bach avrebbe tanto voluto starle vicino, sapeva di essere l'unico a cui lei per anni aveva permesso di scoprire come fosse un suo sorriso rendeva ancora più difficile non sapere come fare per contraccambiare. Sentiva le signore al bar sparlare di lei e dire che si sapeva che prima o poi il signore l'avrebbe punita per il suo comportamento. Un giorno vide pure il dottor Pezzi allontanarsi dalla farmacia a braccetto con sua moglie e lo sentì dire: “ah, pover uomo, dopo la moglie anche questa non ci voleva....lui e quel disastro di figlia meriterebbero un po' di serenità!”.

Bach non poteva più stare con le mani in mano, doveva fare qualcosa per lei...e mentre faceva questo tipo di pensieri camminando senza meta e con lo sguardo basso e triste non si accorse di andare addosso ad uno signore e di riflesso sbatté contro ad una scatola di alluminio rossa con due bocchette in alto. Alzò o sguardo e cercò di capire cosa fosse, e quando lesse cosa c'era scritto capì, e seppe subito cosa fare. n

Prese tutti gli spiccioli che gli erano rimasti in tasca, corse verso la prima cartoleria aperta e si fece dare tutte le buste più economiche che poteva comprare. Poi corse al bar dove aveva visto le signore di prima, si butto dalla cabina telefonica affianco alla porta del bagno, prese l'elenco dei numeri e ordinò un te. Si sedette al tavolo più nascosto e con la penna che aveva chiesto al barista iniziò a scrivere.

Gladioli Marco viale della Repubblica 3, Siena

Rosa Sabrina via Reno 3 Poggibonsi

Gardenia Lucino via Sallustio 5 Siena

Calla Roberto via primo maggio 13 Monteriggioni

Tulipano Giacomo via Trieste 5 Asciano...Scrisse i loro nomi e indirizzi sulle buste, e li divise in due gruppi. Quando ebbe finito le buste tornò dalla scatola rossa e le spedì: quelle per la città in un buco e nell'altro quelle per tutte le altre destinazioni.

Poi sorrise e se ne andò.

Passarono quasi due settimane, il padre di Margherita era più felice perché lei sembrava migliorare e in più pensava che finalmente qual barbone non si faceva vedere da un po'.

Un giorno però, mentre Margherita stava nel suo letto a leggere felice di non dover parlare con nessuno entrò suo padre in stanza, e un po' sorpreso le portò un mazzo di gladioli con una busta affianco, le chiese se sapeva di chi potessero essere ma lei lo cacciò fuori urlando e con le mani fredde e sudate allo stesso tempo aprì la busta. Sul fondo un po' tutto ripiegato c'era un fazzolettino del bar con una scritta blu un po' tremolante che diceva:

“Cara margherita, a quanto pare non posso portarteli di persona, spero che i nostri nuovi amici fiori ci riescano per me. Ti aspetto in piazza. Bach”.

La lettera

“Per la città e per tutte le altre destinazioni”. In piedi davanti alla cassetta postale, pensava che quella frase rappresentasse al meglio i suoi ultimi anni. Per la città, quando gli veniva concesso, dormendo su un materasso di cartoni abitava vicino alla stazione. Per le altre destinazioni, dove lo portava il cuore, perennemente senza una fissa dimora. Il suo aspetto trasandato destava preoccupazione nei passanti che lo evitavano quando camminava per la strada. Nessuno mai si era fermato a sentire la sua storia, perché si fosse ridotto a vivere di stenti o perché si trascinasse in giro uno zaino pieno di carta straccia, buona soltanto per la spazzatura. Mario, 49 anni, barba incolta e odore marcato di chi per lavarsi aveva fatto ricorso alle fontanelle pubbliche nell'ultimo anno. Davanti alla cassetta postale stringeva nelle mani una lettera, sporca e sgualcita, diretta alla sua ex moglie.

Luigi, 25 anni, sbarbato di recente e dall'odore di pulito era un giovane laureato in Filosofia all'Università di Bologna, pieno di aspettative per il futuro che vedeva roseo. Viveva in una bella casa indipendente, con il giardino e tutto il resto. Si era svegliato di buon umore, aveva preso un caffè e stampato curriculum da spedire ad alcune case editrici. Ordinatamente li aveva riposti in una cartellina ed era uscito di casa. Nel tabaccaio sull'angolo aveva comprato buste e francobolli, si era seduto poi su una panchina e aveva cominciato a scrivere. Come gli avevano spiegato una lettera di accompagnamento scritta a mano destava più curiosità nei responsabili alla selezione del personale, in quanto ormai molto rara. Aveva imbustato tutto, aveva appiccicato i francobolli ed era pronto per spedire quelle lettere.

Come queste due storie si incroceranno forse sarà ormai chiaro nella testa del mio lettore, quello che però non lo sarà ancora è dove queste due storie si spingeranno, per dare vita ad un inaspettato finale.

Luigi si stava recando verso la cassetta postale, con le lettere perfettamente imbustate sotto il braccio. Nel frattempo Mario, che era rimasto fermo con la lettera in mano piangeva. Luigi, visto quell'uomo piangere disse: “Ha bisogno?”. Mario lentamente voltò la testa verso il ragazzo, era la prima volta da mesi che qualcuno gli rivolgeva la parola. Non disse niente, si limitò ad annuire per poi scoppiare in un pianto fragoroso. Si sedettero al bar, e dopo essersi ripreso Mario raccontò tutta la sua storia. Di come avesse perso il lavoro e di conseguenza la sua famiglia. Sua moglie l'aveva cacciato di casa, lì aveva lasciato un bambino di sette anni e una bambina di dieci. Iniziò quindi a vivere per strada raccogliendo gli articoli di giornale sui manager dell'azienda che l'aveva licenziato. Se li portava tutti in un piccolo zaino fradicio che teneva sempre sulle spalle. Luigi disse: “Verrò a trovarti anche domenica prossima, mi piacerebbe proprio scrivere un libro su di te”. Si salutarono. Mario sapeva che non l'avrebbe mai più rivisto. Tornò alla cassetta postale ed imbucò la lettera.

“Verona, 17 aprile 2011.
Mia cara, sono stato un fallito nella mia vita, saluta i bambini.
Vi voglio bene, Mario”

Mario a quel punto estrasse una pistola, e gridò verso un uomo incravattato appena uscito da un portone. L'uomo spaventato iniziò ad urlare, tutte le persone gridavano terrorizzate. Mario gli si avvicinò con la pistola puntata, l'uomo dalla fretta di voler scappare inciampò e cadde. Lo guardò diritto negli occhi e disse “Guarda che cosa mi hai fatto”. Recitò una breve preghiera poi rivolse l'arma verso di sé. BANG.

Maneggiare con filosofia: cani uomini e uomini cani

“Per la città e per le altre destinazioni?”
“Beccati questo!!” Il vecchio Rodolfo, cane da caccia in età avanzata innaffia la gamba destra di una vecchia e rossa cassetta della posta con una gettata di liquido ormonale.
“ahhh finalmente!! Saranno 20 minuti che me la tengo! Non ce la facevo più orcouomo!”
Farla prima no?
Certo che no caro manipolo di lettori. Dovete capire che in quanto cane da caccia Rodolfo ha avuto una carriera di tutto rispetto: con i soli fagiani da lui catturati ci si potrebbe sfamare l’intero circolino per 4 anni di incontri.
Rodolfo inoltre era rispettato da tutti i canidi del quartiere. Nessuno si sarebbe mai permesso di schizzare dove solitamente schizzava lui. Non c’erano alani e/o mastini in grado di tenergli testa. Nossignore.
Code tra le gambe, orecchie basse e sguardo sotto terra, quando Rodolfo sfilava sul marciapiede.

Invidiato dai cani, temuto dai gatti e amato alla follia dalle cagnette, che lo sognavano nel periodo del calore mentre entrava nelle loro cucce elegante come solo lui era.

Ma ora?? Ora le cose sono cambiate per Rodolfo. E’ vecchio. Cammina storto come un vecchio uomo ubriaco alle 4 del mattino I suoi occhi sono ingialliti e spenti. I cani del quartiere, quelli giovani, sembrano quasi fregarsene del vecchio Rodolfo. L’atro giorno un pincher ha schizzato sul suo castagno. Un mastino napoletano gli ha abbaiato contro. Una pastorella tedesca gli ha dato la coda.
Solo di quando in quando dai più vecchi cani della zona, più che altro per le ricorrenze, vi è qualche ossequio per il vecchio cacciatore.
E quindi, capirete da voi il motivo di tale corsa verso la cassetta: è la sua roccaforte. La sua Città del Vaticano unico resto del glorioso Stato Pontificio dopo la breccia di Porta Pia adoprata da Garibaldini segugi della nuova generazione.
Quindi eccolo li,accompagnato dal suo padrone, mentre sgancia fiumi di ormoni odorosi sulla sua Little Big Horn personale. La sua fetta di terreno da difendere con i denti. Da innaffiare tutti i giorni con tutto il fluido che il suo corpo gli concede. Fino alla fine! Il suo odore resterà anche dopo la sua morte! Dio Umano!!

Dall’altra parte della strada la signora Trinca è affacciata alla finestra. Non è la prima volta che nota come quel cane sia maniacalmente attaccato a quella cassetta delle lettere.
Quindi rivolge al suo caro consorte le seguenti parole:” Caro, guarda quel cagnaccio vecchio e bavoso…! Ogni giorno lo vedo inzozzare di fetida urina la cassetta delle lettere…è disgustoso!”
“ah si, è il cane del vecchio Branzetti. Sai cosa ho saputo su quel vecchio tramite la sorella di Mario che conosce uno che lavora per la casa editrice Sherman? Che il Branzetti aveva avuto un discreto successo come scrittore di romanzi negli anni ’50…con un paio di titoli credo…La classica meteora nulla di più. Beh lo straordinario è che dal ’59 ogni mese fa recapitare alla casa editrice una copia del suo diciamo “NUOVO” romanzo affinchè venga visionato per un’eventuale pubblicazione! Deve essere matto quel vecchio!”
E’ qui una bella risata dei Trinca.
Che dire a questo punto? 2 cose: una per tranquillizzarvi e una per riportarvi con i piedi per terra.
La prima: mancano ancora poche righe alla fine del mio racconto. La seconda è la morale: cani o uomini tutti abbiamo paura di essere dimenticati! Che fare? Abbattersi? Certo che no!
E’ lecito quindi cercare in tutti modi di essere ricordati? Forse. Vedete un po’ voi. Solo non rovinatevi la vita dietro a queste cose.
Da parte mia vi lascio questo racconto, nella speranza che vi piaccia e che serva magari (chissà) a far si che qualcuno un domani si ricordi del Vecchio Pippo B. .

lunedì 11 aprile 2011

Par na bona pearà ghe vol pan vecio, la miola de bò, brodo bon e che la pipa al manco do ore, pe na bunna fugassa ghe vô egua, farinna, sa e tantu öiu

Quando a tre anni parti da casa per trasferirti in un altra città non te ne accorgi... ritorni da lui solo per le feste e non capisci davvero quanto possa essere dentro di te.

Genova per te sembra essere solo un luogo di passaggio, una parentesi divertente con un letto a castello e una brandina dove stare per qualche notte di nuovo tutti insieme, ad attendere calze ripiene di caramelle e focaccia con il latte e cioccolato.

I ricordi sanno di arrosto, ravioli e regali, e appena arriva il sole ti sembra di sentire i piccoli sassolini della spiaggia spostarsi lentamente tra le dita dei piedi e delle mani.

I viaggi in macchina sono fatti per dormire, e quasi come se stessi uscendo (o entrando?) in un sogno ti ritrovi con un porto alla tua destra e le case colorate arroccate sulla sinistra.

E ti senti a casa...


Torni a Verona, qui tutto ha altri suoni, altri odori e altri colori... e la cosa più strana è sentire che anche loro fanno parte di te.

I sanpietrini del centro sono una scacchiera immensa su cui giocare a evitare le scanalature, e quando a diciotto anni ti si incastra il primo tacco tra due di loro per un attimo ti fermi e ripensi a quanto ti faceva ridere sobbalzarci sopra con la 500 della mamma.

Poco più in là c'è sempre lo stesso cortile che ha fatto da sfondo a otto anni di scherzi, pianti e scambi di segreti e merendine...per poi lasciarti molti dei volti e delle voci che ancora oggi ricerchi e tieni stretti a te.


Poi arriva un pomeriggio particolare, uno di quelli in cui senti che avresti bisogno di silenzio, solitudine e tranquillità.

Pensi a cosa potrebbe farti stare meglio, a chi vorresti lì accanto a te e per quanto possa essere affollato e inflazionato pensi ancora che castel San Pietro sia uno dei posti più belli che tu abbia mai visto.

Così ti ritrovi a cercare ciò che hai perso tra i tetti delle case e nelle anse regolarmente tagliate dell'Adige giù di sotto....ed ecco che arrivano i ricordi.

I tuoi sensi non ti servono più per recuperarne l'immagine...ormai la strada per raggiungerlo è dentro di te.

Tocchi la vernice scrostata delle persiane e osservi il rigagnolo di sapone che rapido porta via con sé la notte.

Senti il profumo di caffè salire dalle discese di marmo e ardesia.

Segui con lo sguardo le lenzuola muoversi al lento ritmo del vento e quando ti chiedi come facciano ad essere così musicali lo vedi...

Un metronomo blu e bianco che sbircia tra i tetti fioriti e le gru.

Il suo movimento ti culla anche a distanza, regolarizza il flusso dei tuoi pensieri e ti fa sentire che ogni cosa è come i sassi del suo fondale...possono spostarsi e rotolare senza meta, ma quando si fermano trovano sempre un posto per loro.


D'estate il mare sembra essere di tutti,

in inverno è di chi lo canta

ma in momenti come questi è mio...

I MOSTRUOSI ESSERI DEGLI ABISSI

Embarassado dal mio ritardo cronico, carico orora il racconto dell'incipit ormai passato della domenica del 27 marzo scorso. Esperimento provato di fretta (scritto in un'oreta) di racconto in due, da me (Tobia Poltronieri) ed Ana Blagojevic. Un po' di righe a testa e via.




Forse non tutti sanno che un modo di dire serbo per definire una persona che sta mostrando un comportamento fuori dalle linee e tendenzialmente pazzo è chiamato "zenska glavo", che tradotto letteralmente significa testa di donna o anche mente femminile.

Pensare a queste cose riempie il cervello d’informazioni curiose, ma in fin dei conti poco utili. Però allora dovrei eliminare molti interessi, ad esempio l’arte è utile? La mitologia è utile? La Bibbia è utile?

Riemergendo dall’acqua Rachim si levò il boccaglio e tirò una bella boccata d’aria.

La piscina centrale di Trimarzuolo era incrostata di alghe verdi su tutto il fondale.

Un’altra piscina da disinfestare. Un’altra città isolata da raggiungere. Altro cloro malsano da inalare.

Il fatto che quel giorno compisse gli anni non gli importava molto. Quello era il suo compleanno segreto. Il suo compleanno fittizio era il 25 maggio. Quando la sua seconda famiglia (ignara di quella posizione in classifica) lo festeggiava con gioia. E quell’anno avrebbero avuto un motivo in più per esagerare nei festeggiamenti. Compiva 60 anni.

L’età cominciava a pesare nelle lunghe distanze geografiche che doveva percorrere per risolvere i suoi piccoli pasticci amorosi.


“Rachim caro! Vieni dentro, ti prego. Ho ancora bisogno di te”


Dal terrazzo del primo piano la signora Ravani lo chiamò. Rachim non ne poteva più. Quel giorno avevano fatto l’amore già sei volte e quella cinquantenne stava esigendo un po’ troppo dal suo disinfestatore. Così il nostro sventurato e ormai stanco amico, uscito di fretta dall’acqua prese il suo asciugamano e la saccoccia con gli strumenti da lavoro e imboccò la stradina sterrata che portava giù al mare.

Il palmo dei suoi piedi nudi, assai calloso, non soffriva minimamente il ghiaino appuntito del sentiero. La signora continuava a chiamarlo con la sua voce stridula e l’insopportabile accento bergamasco. Nonostante ciò Rachim non accelerava il passo. La voce della signora era sempre più insistente. Rachim giunse davanti al portone della villa, a pochi metri dal bagnasciuga.


“O eccoti, mio prode guerriero. Vieni su che ti ho preparato un bel pranzetto!”


La signora dal poggiolo rientrò in casa.


Rachim pensò alla pasta scotta che gli faceva tutti giorni e alla sua macedonia acida. Si girò verso il mare. Guardò l’orizzonte. Avanzò piano piano verso l’acqua e s’immerse senza far rumore.


Indossati gli occhialini che aveva in tasca lasciò scivolare il corpo leggero nella fluida sostanza salata, immaginando di vagare in abissi marini dove alghe e mostruosi esseri vivevano nel silenzio.

@ Al Cavazz.

‘Par na bona pearà ghe vol pan vecio, la miola de bò, brodo bon e che la pipa almanco do ore’.

Era lì, incisa in caratteri polverosi sulla parete calcarea dell’umida grotta nei pressi della zona di Al Cavazz, bella ineludibile inequivocabile:

‘Par na bona pearà ghe vol pan vecio, la miola de bò, brodo bon e che la pipa almanco do ore’.

Erano stati mesi di duro e faticoso lavoro, tutti i giorni dal sorgere del sole alla sua scomparsa, ed ora ecco il segno, la dimostrazione, l’oro che trova il suo setaccio. Conscio della scoperta sensazionale Abdel Aziz, mollò gli strumenti e corse immediatamente dalla professoressa Basma, che stava su un tavolo da campeggio a studiare monitor afosi.

-Professoressa Basma! Venga! E’ incredibile…forse ci siamo!- ansimò correndo il giovane ricercatore Abdel.

Abdel prese la mano della professoressa, forse una delle mani più esperte nel campo dell’archeologia specializzata in Venetismo.

Trascinata di fronte al reperto rupestre l’illustre studiosa ebbe quasi un mancamento: anni di studi, rincorse di fatica, convinzione e tenacia avevano portato al sigillo celebrativo probabili e emozionanti edizioni. La scoperta era sensazionale. Ovvio dovuti studi e doverose analisi avrebbero stabilito l’effettiva validità e potenziale di tale reperto, ma le premesse non potevano parlare lingua più positiva.

La teoria, ad oggi ancora molto precaria, che la parte settentrionale della penisola Al Italiz fosse abitata da un popolo semibarbaro chiamato ‘i veneti’ incontrava la prima pietra miliare. Le credenze della professoressa Basma avrebbero suggellato un matrimonio con la storia.

E così fu. Il team specializzato della professoressa operò ancora nelle grotte di Al Cavazz portando alla luce elementi e componenti per la ricostruzione dei modus vivendi dei cosidetti Veneti. Seguirono innumerevoli analisi di laboratori specializzati, prove e controprove. Poi i dibattiti, le consulte e infine il libro della professoressa Basma: Ei butei del Veneto. Il lavoro della studiosa traduceva l’alfabeto veneto in tutte le sue particolarità, dai toni alla fonetica. La stele di roseta erano i cosidetti ‘consigli del Tony’: infatti oltre al citato ‘Par na bona pearà ghe vol pan vecio, la miola de bò, brodo bon e che la pipa almanco do ore’, nella grotta si susseguì l’incontro di frasi e aforismi firmati da un tale Tony, probabilmente uno dei capitribù più in vista del popolo barbaro. Aforismi erano del tipo:

‘Galina vecia fa bom brodo’

‘Gheto la ciave’

‘Va ia’

E altri ancora.

Le spiegazioni e le lucidazioni, poi, passavano dall’alfabeto ad una breve ricostruzione storica del vissuto del popolo veneto.

La professoressa, nella sua biblica opera, pose però incomprensioni su un graffito ritrovato: si scervellava, si chiedeva, si interrogava sul perchè, sul significato della rappresentazione trovata nelle grotte di Al Cavazz. C’era un mare. Nel mare una barca piena piena di persone, dalla parte destra facce smunte, guerra, disperazione. Dall’altra camicie verdi e fucili.

Il cuoco

“Par na bona pearà ghe vol pan vecio, la miola de bò, brodo bon e che la pipa almanco do ore.” Certo. Anch'io sono un cuoco, ma non cucino pietanze. Io cucino sogni. Non i sogni intesi come le speranze, ma proprio i sogni veri, quelli che fate di notte mentre dormite. Come le ricette, alcuni sogni sono molto semplici da realizzare altri invece molto complessi. Quando un cuoco sbaglia gli ingredienti una pietanza è immangiabile, quando invece li sbaglio io avete un incubo. Non avete ancora capito di che cosa sto parlando? Beh, allora vi faccio un esempio. Immaginate di essere a letto. Potete chiudere gli occhi se vi aiuta.

Un uomo passeggia per un lungo viale alberato, la sottile brezza di primavera e un flebile raggio di sole gli accarezzano il viso. Molte persone senza volto sono intente a fare jogging. Lo scroscio di un piccolo torrente gli regala pace. L'uomo si volta e vede una donna, che pare gli stesse parlando da lungo tempo. Lui non sente distintamente le sue parole ma comprende comunque ciò che lei gli sta dicendo. Ad un tratto sente l'irrefrenabile desiderio di toccarle i capelli, corti e lisci, ma non riesce a sentirne la consistenza. L'uomo sbatte le palpebre ed è a casa, seduto ad un tavolo davanti ad un caffè, solo. Cerca su di uno scaffale un libro da leggere. Ne prende uno di cui lo impressiona il titolo “Esperienze sfocate. Spiegazione razionale della mancanza di dettagli nella vita quotidiana”. La voglia di leggere quel libro monta sempre di più in lui. Si siede ad una poltrona ed apre il libro. A quel punto suonano alla porta. Il suo vicino di casa lo intrattiene in quella che pare una lunga discussione che lui non ascolta. Sta pensando al libro ora. Liquidato il vicino di casa, si risiede alla poltrona e riapre il libro. Lo sfoglia velocemente notando che quel libro è vuoto, ovvero vi sono circa trecento pagine completamente bianche. Ma lui sa che lì sopra troverà delle informazioni. Ad un certo punto trova una pagina bianca con una piccola scritta al centro di essa. Avvicina gli occhi al libro e...

Vi chiederete come questo sogno vada a finire, ma i sogni non danno spiegazioni. Vi svegliate la mattina con l'impressione di aver vissuto un'esperienza che non riuscite a ricordare perfettamente. I sogni infatti sono come una buona pietanza: il loro sapore vi rimane solo un attimo sotto il palato per poi scivolare via.

Pearà

“Par na bona pearà ghe vol pan vecio, la miola de bò, brodo bon e che la pipa almanco do ore”

Pablo 8 anni, scrisse sul suo quaderno la ricetta che la nonna Ada gli stava dettando al telefono.
Pablo era un ragazzo metà messicano e metà italiano.

Quella preziosissima ricetta gli sarebbe servita per una giornata molto speciale che si sarebbe svolta l’indomani a scuola.

Salutata la nonna, corse a chiamare la mamma con il suo quaderno verde stretto al petto. Aveva la sua ricetta tutta italiana per la festa delle culture. Domani l’avrebbe letta davanti alla sua classe. Avrebbe stupito tutti parlando italiano!

“Ma questa pearà sarà poi buona??”
Chissà. Per ora aveva un nome così buffo. E questo gli bastava. “Pearà! Ahahah!”

“Par na bona pearà ghe vol pan vecio, la miola de bò, brodo bon e che la pipa almanco do ore”

Pablo, 29 anni, lesse dal suo quaderno la ricetta che la nonna Ada gli aveva dettato al telefono 21 anni prima. Pablo era un dottorando in Architettura all’università di Madrid. Metà italiano e metà messicano.

Quella ricetta, l’aveva già letta molto tempo prima davanti ai suoi compagni delle elementari.
La stava leggendo ora. Al funerale di sua nonna. La nonna che tanto aveva amato, la sua cara nonna italiana…
La lesse direttamente da dove l’aveva scritta due decenni prima con una calligrafia incerta da bambino..Sul suo quadernino che una volta era di un verde acceso. Ora, invece, è di un giallino decisamente spento… e con qualche orecchio sulle pagine.

“Quella Pearà…quel sapore salato, quell’aspetto orribile, accompagnato da quelle fettine di manzo dalla consistenza del cartone e dal sapore nullo…”
E quel nome…così cantilenante…così intonato con il modo di parlare di sua nonna.. “pearà! Solo sentire quel nome gli riportava alla mente la sua nonnina..”

“Par na bona pearà ghe vol pan vecio, la miola de bò, brodo bon e che la pipa almanco do ore”

Pablo, 56 anni, lesse dal suo vecchio diario d’infanzia la ricetta della pearà di sua nonna..direttamente dal quadernino, ormai deteriorato, ingiallito e senza più copertina, su cui l’aveva scritta da fanciullo.
Pablo era un professore di urbanistica al politecnico di Milano.
Metà messicano e metà italiano.

L’attimo propizio si era presentato durante una cena con un suo collega di Verona, il quale gli aveva portato per l’occasione un teglia di carne lessata e pearà.
Pablo aveva quindi ritenuto opportuno leggere al suo compagno di lavoro quel vecchio scritto che già aveva letto più di quarant’anni prima ai suoi compagni delle elementari e nel 1992 al funerale della sua compianta nonna.

“Quella pearà…dal sapore semplice, che l’esperienza della tradizione ha saputo esaltare con l’aggiunta di abbondante pepe e quella carne, ottenuta dai tagli di manzo meno nobili, preziosamente povera. Un piatto decisamente di basso profilo. Povero e poco invitante. Un piatto sconosciuto fuori dalle mura di Verona… Un piatto che sparisce nel mare dei sapori nazionali di pregevole qualità.
Ma quel sapore. Il sapore del ricordo di nonna Ada. C’era lei in quel colore poco invitante. C’era lui in quella carne dalla consistenza del cartone. Le sue origini. Quello che è ora, quello che è stato. La storia, sua, della nonna e di un intero modo di vivere.

E’ quel nome: Pearà. Buffo e cantilenante. Come la nonna.

Domani mattina.
Domani mattina sarebbe partito per Verona. Domani mattina sarebbe andato a trovare la nonna con un fiore, un fiore da porre sulla sua tomba.

mercoledì 6 aprile 2011

Che fregatura

CHE FREGATURA...


12 febbraio 2005, Compleanno di Marta che per i suoi cinque anni ha ordinato alla mamma le cotolette quando...


“Paolo!!! Ma che razza di frullino ti hanno dato con i punti!!? ci ho tritato il pane secco e si è già rotto! E ora come le faccio la panatura!? Non è possibile...mi hai preso l'ennesima fregatura! Basta...ora non si prende più nulla eh! Chiaro?? Paolo!? Ma mi stai sentendo??? Paolo!!??”

“Siiii...cosa c'è? Perchè urli!!! ero al telefono con quelli del supermercato.... non hanno trovato nessun portafoglio, a quanto pare me l'hanno fregato!! ”

“Beh poi farai la denuncia ora il problema è che non riesco a grattare il pane! E cosa mangiamo??? aria fritta?”

Marta rimase sulla porta ad occhi spalancati, non aveva capito nulla, ma una cosa era certa: le sue cotolette erano in pericolo!

“Io non la voglio l'aria per il mio compleanno!”

“Marta è un modo di dire”

“Non ci credo! cos'è questa fregatura?”

“E' un modo di dire anche questo Marta....” e alzando gradualmente la voce per farsi sentire dal marito aggiunse “una fregatura è quando qualcuno ti da qualcosa al posto di qualcos'altro, com'è successo con questo inutile frullino che ha preso papà! Così ti ritrovi con qualcosa che non volevi, che non sai dove mettere e che per altro non ti serve neanche...”

Arrivò il papà in cucina e Marta col dito puntato e lo sguardo inquisitorio disse:

“Tu! Perchè hai fregato la mamma???”

“Ah no eh! Questa poi, Marta, io non ho fatto proprio nulla...anzi si, il papà è stato un ora in coda al bancone dei premi del supermercato, ho parlato due ore con la simpaticissima signora Fregoli del perchè non arriva mai il tostapane, ho ascoltato per l'ennesima volta le lamentele della cassiera perchè il tizio del furgone dei premi sta seduto al bar invece di rifornire il negozio e tutto questo per farmi dare una cosa che TUA mamma mi ha chiesto con il risultato che mi hanno fregato pure il portafoglio!”

“Ah, quindi ora ne hai due!”

“Di cosa?”

“Di portafogli”

“No Marta se me l'hanno fregato direi proprio che vuol dire che ora non ce l'ho più! No?'”

“Ma come? Hanno fregato la mamma e ora c'è un frullino in più no?!”

“Si ma...”

“Ma cosa!? allora anche tu hai u portafoglio in più, no? Cosa ti lamenti? Forse non ci sono i soldi dentro? Guarda che forse non hai abbastanza punti!”

“Oh santo cielo Marta ci manca solo questa adesso! Ricapitoliamo, a me hanno fregato il portafoglio, quindi me l'hanno rubato!tutto questo mentre prendevo questo simpatico frullino che ora non serve a nessuno perchè è la quindicesima fregatura che prendiamo con i punti come l'apri bottiglia a forma di pesce, l'utilissimo set per fare la bourguignon che tanto fa schifo a tutti e lo shaker che non usare nessuno! Così ora oltre ad aver preso l'ennesimo pacco ci teniamo una cosa che non funziona, io ho perso tempo e ne perderò ancora di più per andare a fare la denuncia! Chiaro?? Oh vacca cane..”

“Paolo!”

“Eh scusa ma qui mi state portando all'esaurimento!”

“Cosa centrano le vacche e i cani adesso?!”

“E un modo di dire, Marta”

“Cominciano a non piacermi questi modi di dire, dove sono le mie cotolette!? E poi io non ho capito...ma perchè se la mamma ha una cosa in più che non sai dove mettere e tu una cosa in meno che non sai dov'è avete preso entrambi questa fregatura nell'ennesimo pacco?? non mi pare un occasione...la davano con i punti? E poi scusa...ma ”

“Basta Marta! Mi farai venire un diavolo per capello con tutti questi perchè!”

“Non è possibile ieri la catechista ha detto che il diavolo è solo uno e Lucia ha detto che suo papà dice che non c'è neppure quello...”

“Ma cosa centra ora Lucia?? E' un modo di dire Marta! E' come quando la nonna dice che le fai venire il latte alle ginocchia e vedere i sorci verdi con i compiti....chiaro?! Giulia, tu e tua figlia mi farete impazzire prima o poi....”

“Ah no mio caro! Non oggi, sei tu che hai sbagliato! Potevi controllare quando ti hanno dato il premio e smetterla di andare in giro col portafoglio in tasca! Così ora la fregatura te la prendi tu e o pensi a un altra cena o provi ad aggiustare questo coso! E non osare mai più a rigirami la frittata!”

“Ma chi la rigira la tua fritt...”


Un rumore interruppe Paolo e Giulia che si girarono di scatto insieme e videro Marta salire sulla sedia e guardandoli entrami con il dito puntato un tono serio e imperativo disse:

“Ora basta lo dico io! A me la frittata fa schifo! E a me non frega nessuno! Io vado a scuola adesso, e lo so che il latte è in frigo e non nelle ginocchia, i topi sono grigi e non verdi, i cani non hanno nulla a che fare con le vacche perchè uno sta in casa e uno nella stalla e io che oggi compio gli ho diritto a un regalo, e voglio le mie cotolette! Quindi tu vai a prendere il pane già grattato e intanto tu prepari la patatine! E di ogni possibile scusa non me ne frega n fico secco!!”

“Marta!!”

“Ma si, dai...è solo un modo di dire”.


lunedì 4 aprile 2011

Che fregatura, tutte le parole sono una fregatura,

che compito difficile sceglierle!

Udito

musicalità

determinazione

intonazione

gestualità.

La mia cassa d’attrezzi è fatta di esili parole…

Cosi poco effervescenti;

senza bolle.

qual poeta potrò mai essere?

Di che potrò decantare?

Attraverso questo lessico bambinesco?

Quali mai possibili adepti potrò vantare?

Sono un magro poeta,

a digiuno di parole.

Molte lune appese al cielo passano

il mio sillabario è di polvere.

Le ossa del mio alfabeto emergono dalla pelle.

Sono lucide.

Flussi di parole, per di più nei casi di aggressione sentimentale.

Da un lato.

Dall’altro il silenzio, nessuna parola adatta, combaciante al pensiero.

Bilanciare la densità di ogni parola,

collocarla nella frase correttamente,

ritmare il tono della voce emittente..

rendere tutto più lento, più inseribile nelle orecchie.

Scelta delle parole:

mestiere arcigno, elitario

schizofrenico.

Poeta che trasudi musica,

poeta stregone rigonfio di alchimie,

poeta che codifichi materia grigia,

presuntuoso osservatore,

Insegnami tu l’eleganza nella scelta delle parole!

Gli spilli dell’anima, dove li cogli?

Dietro a pupille

o sotto le ciglia?

Se potessi parlare

“Che fregatura” fu la prima cosa che pensai mentre un uomo completamente vestito di verde mi schiaffeggiava. Ero ricoperto da un sottile strato viscoso, infreddolito e piangevo. Di tutta fretta passai di mano in mano a uomini e donne che mi hanno ripulito, riposto per alcuni secondi su una bilancia e vestito. Ero portato a destra e sinistra così velocemente che non ebbi neanche il tempo di capire cosa stava succedendo. Ad un certo punto la vidi, la donna con la quale avevo passato per molto tempo un rapporto di simbiosi. Allora ancora non sapevo che il suo nome speciale che solo io avrei potuto usare fosse “mamma”.
Voi starete già pensando che è un pessimo momento per nascere, che oggi il mondo è scosso da gravi instabilità economiche, politiche e sociali. Voi starete già pensando che proprio pochi giorni fa l'ambiente ha subito un duro colpo e che nuove guerre si apprestano a mutare la vita di milioni di persone. Io non mi sono posto di questi problemi. Indipendentemente dalla mia volontà, sono nato. Alcuni di voi ripongono in me modeste aspettative, come quelle di diventare un bravo studente, una brava persona o di seguire con costanza i dettami della dottrina cattolica. Altri invece su di me hanno aspettative molto più grandi. “I giovani sono il nostro futuro” dicono. Se fossi nato in qualche paese africano probabilmente starei lottando di stenti per sopravvivere a qualche malattia infettiva che voi, il presente ed il passato, non avete fatto nulla per debellare. Ma io sono il futuro. Se potessi parlare in questo momento vi direi che io, il futuro, tenterò di venire incontro alle vostre aspettative. Sicuramente commetterò degli errori, ma oggi che sono nato porto già i vostri sulle spalle.

domenica 3 aprile 2011

Che lo spettacolo abbia inizio

"Che fregatura il sangue. Con il suo odore, con il suo colore.
Che fregatura anche la sua purezza.

Che fregatura la polvere. La sorella frivola della terra. Con il suo non odore, con il suo non colore.

Che fregatura quando si mescoleranno. Sangue e polvere. Si uniranno in una danza. La non consistenza della polvere con la viscosità del sangue.
E’ colore, è odore, di battaglia.

La polvere. Non sarà sollevata dalla delicata danza dei miei calzari. Sarà la rude corsa del mio avversario a scatenarla.

Il sangue. Il sangue righerà la pelle prima; il terreno poi. Non saranno le mie carni a gemere, a stridere a gridare. Saranno le violente membra del mio nemico che si accascerà al suolo… Stoccato, ferito, morente.

E io lì. Fiero, imponente, glorioso."

Manuel Rodríguez Sánchez, meglio conosciuto come Manolete, fa gesto ai suoi escuderos di liberare il toro.

"Che lo spettacolo abbia inizio."