L'incipit della settimana

ELABORATO TESTUALE DI TOT PAROLE: "L'antico vaso andava salvato"
STRINGA AUDIOVISUALE DIGITALE PROVENIENTE DA QUALCHE SERVER: "Youtube"
RETTANGOL CARTPLASTIC CONN'IMMAGIN STAMPAT QUAS BEN:"Perdita di tempo"
Ctrl+c, Ctrl+v, STAMP-E-PORT-LE-FOGL:"Glutammati sto sodio"

lunedì 30 maggio 2011

la mosca

Erano sette, non di più. Sette giorni e poi sarebbe finita la scuola. Nove maledetti mesi di lezioni, compiti a casa, compiti in classe ed interrogazioni, ma anche di risate, ricreazioni e corse dalla paninara. Prime due ore, italiano. L'ho sempre odiato italiano, ma per i tre mesi successivi non l'avrei neanche nominato, magra consolazione pensando che comunque ci sarebbe stato anche in quinta. Entra la prof "Oggi voglio farvi un regalo" una stupida mosca sbatte continuamente contro il vetro della finestra "Ho visto che ci sono un paio di voti ancora da definire" Cazzo la mia è proprio un media schifosa in questi casi, nei temi sempre 5, 5 1/2, nelle interrogazioni 6, 6- Non promette nulla di buono."Allora interroghiamo Brighenti e......Rigo" Schivata, per un pelo. Non vorrei proprio essere il Brighe, la silvia gli farà fare proprio una figura di merda. Quella stupida mosca continua a sbattere contro quella stupida finestra, che stupide le mosche. Fuori c'è un via vai di gente, non avevo mai notato che ci fosse un mercato sotto la scuola. Strano. "Però potremmo interrogare anche Disarò" Come? non l'ha detto davvero, vero?!? Sono fottuto. Cristo, non ho speranze, non so neanche a che punto del programma siamo, lo odio l'italiano. Perchè dovrei trovare dei significati nascosti negli scritti di qualche depresso sociopatico che non aveva nulla da fare se non sfogarsi scrivendo?! "Dai Disarò, parlami delle opere di Kant" Kant?Cosa c'entra Kant?! Cerco di dirle che non sono preparato per filosofia, neanche in italiano per quello, ma non è questo il punto, d'altronde come potrtei sapere qualcosa di filosofia con Scarpina come insegnante....le parole però non escono dalla gola, come se avessi la bocca piena di pane. Per fortuna bussano alla porta ed entra qualcuno...mamma?? cosa ci fa qui mia madre? "Davide ti ho portato i vestiti, non ti sei accorto di esere uscito di casa nudo?" Beh non sono proprio nudo, ho addosso le mutande, ma come avevo fatto a non accorgermene? Tra le risate generali mia madre continua a chiamarmi "Davide!!! Davide!!!" Mi sveglio di soprassalto "Alzati dai, non vorrai fer tardi il primo giorno di scuola vero?!?" Stupidi sogni, ho davanti un altro fottuto anno di italiano.


domenica 29 maggio 2011

Racconto postato in forzato silenzio...

Erano sette, non uno di più...ma non si sa mai.
Carla li guardava dall'alto del suo metro e sessanta e sorrideva dolcemente... Era bella, bellissima anzi, ma purtroppo era difficile poterlo vedere sotto quel ciuffo di capelli sporchi caduto malamente su quella guancia ancora macchiata di cipria dalla sera prima... Era molto più giovane di quanto tutti pensassero, ma le fatiche e i dolori degli ultimi anni l'avevano resa il ritratto perfetto dell'immagine triste e solitaria che portava al mercato tutte le mattine...
Solo la sera sembrava ringiovanire quando per poco più di mezzora accoglieva tra le sue braccia i sorrisi e i pensieri di chi la prendeva per mano.
Paolo era il più grande, dodici anni ma se ne sentiva come minimo quindici! Si metteva sempre a capo tavola perchè come diceva sempre: l'uomo di casa deve poter guardare e controllare tutti! Come fa il Re dall'alto del suo castello" poi prendeva il coltello tra due dita e faceva finta di fumare accavallando le gambe e tenendo il mento alto verso il cielo...
Accanto a lui c'era Laura, undici anni, arrivata poco dopo di lui con una grossa voglia rossa a forma di cuore al centro del collo, romantica e silenziosa, com'era sua madre quando seppe del suo arrivo...diceva sempre a tutti che lei era il frutto dell'unico amore della sua vita e Laura tutta orgogliosa portava con se il segno dell'ultimo bacio di suo padre come fosse il ciondolo di una collana...
Sulla sedia affianco c'era Angela, due anni in meno ma il doppio della carica in corpo. Mai un nome fu meno azzeccato per una bambina.. capelli rossi e tante lentiggini quante le idee pazze e pestifere da metteva in atto ogni volta che poteva. L'ultima era stata quella di intingere nell'inchiostro nero le punte della spazzola della mamma, così quando quella sera arrivò il momento di prepararsi per andare a lavorare si trovò una meches nera giusto su quel ciuffo biondo spento che le cadeva davanti, e che tanto piaceva al proprietario del negozio davanti casa...
Benchè le dicesse sempre di odiarla ogni sera e benchè le nascondesse il rossetto negli angoli più remoti della casa il bersaglio preferito di Angela non era la mamma, ma i gemelli..
Giulio e Francesco arrivarono giusto un anno dopo di lei, e oltre ad essere un peso troppo grosso da reggere in un colpo solo erano anche fastidiosamente opposti a lei... così scuri in viso e nei capelli... li chiamava sputi di tabacco! e come ripeteva sempre non c'era nulla che lei odiasse di più di quando gli uomini sputano tabacco!
Erano due gocce d'acqua tra loro e a detta della mamma anche del papà...avevano ricci neri fittissimi e due occhi grandi e scuri come la pece. Le vecchie signore del paese li chiamavano i figli del diavolo...ma per la loro mamma erano i più dolci e teneri cioccolatini che avesse mai assaggiato. Quando la sera gli dava la buonanotte per salutarli faceva sempre finta di dargli un morso sul pancino, poi alzava gli occhi, sorrideva insieme a loro e diceva:"aspettatemi per colazione che voglio iniziare la giornata con bacio al cioccolato!"
Dopo di loro passarono un paio di anni in cui non ci fu nessuno...Carla era stata male era dovuta restare a casa senza poter lavorare. Una delle prime mattine in cui riuscì di nuovo ad uscire di casa andò al bar di sotto con Angela e lì incontrò suo padre. Era appena tornato dall'Irlanda e le assomigliava sempre di più. Sembrava pieno di gioia e di speranze e anche se la malattia l'aveva resa una donna molto più magra e spenta di qualche anno prima lui sembrò rinnamorarsene subito. Guardò verso la piccola Angela che per la prima volta sfoggiò un sorriso mai visto prima e sul momento sembrò pure che lui volesse restare con loro più della solita mezzora. Carla pensò che forse avrebbe potuto essere di nuovo felice... che avrebbe accettato anche tutti gli altri e che non sarebbero più stati soli! Ma quando quella sera accompagnandola a casa lui vide i gemelli correrle in braccio, impazzi. Le diede della schifosa, scappò al bar di sotto e tornò solo per smaltire la sbornia e sfogare tutto il suo odio e la sua rabbia un ultima volta, per non tornare piu...
Dopo sette mesi arrivò Ultimo, rosso anche lui come Angela ma più magro e tranquillo... non parlava mai e in cortile gli altri bambini non perdevano occasione per prenderlo in giro, ma ci pensava sua sorella a sistemarli tutti, Ultimo sapeva che accanto a lei non gli sarebbe mai potuto succedere nulla...si limitava ad attaccarsi alla sua gamba e a guardare tutti gli altri con uno sguardo arrabbiato e il broncio inciso su quelle piccole labbra rosa su sfondo bianco. Anche adesso era lì accanto a lei, aggrappato alla gamba della sedia.
Carla lo osservò un minuto più degli altri e mentre asciugava le posate e aspettava che il secondo turno di latte fosse caldo passò lo sguardo su ognuno di loro...
Paolo stava ancora facendo finta di fumare assorto in chissà quale strano progetto da adulto per la giornata e mentre Laura guardava sognante fuori dalla finestra con il pezzo di pane ormai sciolto nella tazza, Angela insegnava ad Ultimo a dare i pizzicotti provando sul tovagliolo e i due gemelli giocavano a spostare le goccioline bianche sulla loro pelle scura...
Carla si appoggiò al lavandino, era strano come fossero tutti uguali per lei, così piccoli e simili a quel tavolo, con le loro canottiere sporche e i capelli spettinati a mostrarsi per quello che sono davanti quella colazione sempre uguale... Li guardò e sorrise, si tolse il grembiule, andò davanti allo specchio, si tirò su il ciuffo e tolse gli ultimi residui di rossetto, poi battè le mani e sfoggiando un enorme sorriso disse: "Coraggio nanetti è arrivata l'ora di andare! A lavarsi la faccia e poi fuori di qui!"
Appoggiò la mano sulla pancia, sospirò e pensò a come l'avrebbe chiamato, o chiamata. poi si fermò e pensò a quando ognuno di loro era stato lì tra le sue mani, protetto almeno per un po' di mesi da tutto il mondo fuori... Sapeva che una volta fuori di lì non avrebbe mai potuto fare di più di quanto stesse già facendo per rendere la loro vita più facile e priva di pregiudizi...ma non gli importava, lei era li per loro e ci sarebbe stata anche per il prossimo, e nulla poteva andare male perchè erano le sette meraviglie più belle che avrebbe mai potuto vedere...

2018: gli alieni invadono la terra ( e la distruggono)

“Erano sette non di più!”
Dal piano di sotto al piano di sopra Alfredo il maggiordomo sobbalzò dalla sedia a dondolo e si precipitò al piano primo dove vi era la stanza da letto con il letto del suo padrone al momento malatissimo.
“Eccomi padrone avete chiamato? Che avete detto? “
Alfredo era decisamente e realmente spaventato credetemi: “padrone mi avete decisamente e realmente spaventato!” (visto?).
“Ma se non ho detto nulla!” ribatte il vecchio decrepito.
“Avete, avete in realtà detto. Ah la malattia!” Quasi in lacrime Alfredo.
“Ho detto?davvero?”
“Certo padrone, diceste.”
“Santa puttana! Non ricordo di aver proferito verbo! Forse sonnambulismo Alfredo?”
“lo escludo padrone.” Laconico il maggiordomus.
“Un errore tuo no vero?”
“lo escludo padrone.” Categorico il fredo Alfredo.
“Scorno! Sto malato!”
“si da mesi mio padro padrone!” Il domato maggior rispose.
“Di più di più! Lo sento che moro! Alfredo!!Io moroooo!”
“non lo dite padrone! I lutti mi mettono di malumore tutti i lutti!”. Piangeva il buon Alfredo.
“Alfredo, un momento che raccolgo li idee.”
“si padrone”
“oggi è il 22 Novembre. Confermi?”
“confermo patrone”
“Non son nato esattamente 78 anni fa?”
“patrone confermo.”
“E’ il mio compleanno.”
“lo sembrerebbe. Auguri mio padrone.”
“grazie”
“prego” Replica in replica al vecchio Al-fredo.
“Quindi, seguimi Alfredo”
“dove va padrone?”
“Sto qui, segui il mio ragionamento…”
“dove va?”
“Zitto e ascolta: oggi compio gli anni, ma probabilmente e con buona probabilità morirò, a causa della mia malattia. E lo farò oggi stesso!”
“si padrone è sicuro?”
“zitto Alfredo, portami qui la mia figlioccia. La voglio salutare con un adios. La mia piccola bambina adorata!”
“La sua bambina che tristezza..piango patrone, patrone piango…” Piangeva.
“Non piangere Alfredo. Trovala. Parti ora. Che stavi facendo di sotto?”
“parto padrone, parto padrone, parto”.
“sappilo Alfredo, non finirà finchè non rivedrò la mia figlioccia”

Alfredo partì. Prima tappa recuperare la limousine dal meccanico, onde evitare di iniziare una ricerca di persona a piedi. Tanto il meccanico è li a due passi dalla magione.
Alfredo si vestì, non gli pareva il caso di uscire nudo intregal. Inforca i panta, inforca gli oculi e inforca il vialetto.

Dopo 2 minuti:”maledetto scorno..pu pu alla sfortuna! Chiuso! Questo ferroriparatore!”
Un biglietto vi era posto sull’uscio della bottega artigiana” Sono Gustavo il meccanico. Sono chiuso un po’ ho i creditori alle costole”
Ma l’Alfredo, vecchia faina con la coda del culo dell’occhio vide nel riflesso del vetro della bottega artigiana il conosciuto viso di Gustavo dietro di lui.
“ah vile Gustavo! Aprimi cotesta baracca, devo trarne la limo del padrone, sta assai male e devo trovare la figlioccia per portarla al suo capezzolo.”
L’unto manovale in replica: “non c’è tempo, salta sulla mia vespa e scappiamo. Mi spiegherai strada facendo…”.
“Vada, salgo sulla tua vespa e scappiamo, ti spiegherò strada facendo”.
Figurateveli mentre partono su una vespa gialla di gran lena i due.

“vedi quello laggiù che arriva di gran passo? È un riscossore di crediti. Mi vuol spolpare. Se mi prende addio, ai miei soldi, alla bottega e alla limo del tuo padrone.” Esordì urlante per sovrastare il rombo del vespino, il Gustavo.
“a chi devi i denari? E quanti?”
“Alfedo devo somme a tanti e non le contai mai nel senso di somme sommate insomma…”

“mannaggia a te! Il mio padrone è malato. Portami indietro e dammi la limo, pensa tu ai tuoi scorni. Il mio padrone è malato, ci tiene a vedersi con la sua figlia egli.”

“Egli dovrà aspettare, se ci tiene alla sua figliol donna. E tu dovrai aspettare se ci tieni alla limo”. Categorico Gustavo ingranando la terza.
“sappilo Gustavo. Non finisce finchè non avrò la limo!”
E com’on la quarta esplosiva entrò.

Addietro lorsignori, vi stava Il Sandrone, omone di 120 chili, che affannato nella giacca e cravatta con tanto di borsa per le 24ore agitava un braccio e dispensava “Hey voi fermi!”. Il Sandrone, aveva appena aperto un’agenzia tutta sua di riscossione crediti coronando il suo più grande extrasogno di sempre. Però già al suo primo incarico stava cileccando alla grande. Con il Gustavo meccanico in fuga con vespino annesso e ospite probabilmente armato annesso.
“diamine diamine”.
“Adesso chi la sente quella strega della signora Alda.”
Qui il genio del Sandrone scatta di un extra dose di materia grigia e scarica il barile inviando un messaggino al fine di slalomare il faccia a faccia con la strega suddetta:”Signora, non ho ancora recuperato la somma di money. Ma non si preoccupi, sappia che non finirà finchè non avrò la somma par intiero”.

La Alda leggendo quel messaggio andò in bestia totale. Era in un negozio di cristalli di Boemia per comprarne uno sagomato a pattinatore. Era un presente per il suo padre malato che compiva gli anni. Stop pausa: “Qualche babbio, tra di voi, non ha capito chi è il vecchio in decomposizone?”
Ok, riprendiamo manca poco.
La Alda però già rabbiosa di sua indole, era oltremodo irritata dall’imbarazzo proferito dal fatto che stava accumulando ritardo e dall’attesa del suo denaro.
Purtroppo essendo suo padre ricco di soldi, tutti i suoi dollaroni di lei venivano da egli. E di certo non quindi, non gli poteva chiedere i soldi per il suo proprio presente.
Quindi la Alda appunto ricorse all’escamotage del riscossore dei crediti al fine di far onorare un vecchio credito di juventute contratto con il Gustavo.
Il negoziante le stava facendo segno che presto avrebbe chiusa la baracca e i burattini.
“Santo mattone, maledetto tu e i tuoi puppets! venditore mi ascolti, sappia che non uscirò di qui finchè non arriverà il mio pard con il mio dinero.”
Categorica ella fu.

Peccato che nel frattempo il vecchio era morto.

Le leggi della fisica

Questo racconto è dedicato a Pippo B. il quale ha dedicato un racconto a Pippo V., che dedica i suoi racconti a tutti ma che è troppo modesto per autodedicarsene uno.

“Erano sette, non uno di più!”. L'ostentata sicurezza con la quale mi veniva fornita quella risposta mi lasciava ancora più annoiato di quanto in realtà non fossi. “No, Mazzuola, sette erano i vizi capitali, io ti avevo chiesto i gironi infernali danteschi... Non ho mai sentito fesserie più grosse! Vai al posto. Uno!”.

Avete presente quando lanciate un oggetto in aria? Non importa quanta forza gli imprimiate, l'oggetto decelererà fino a fermarsi per un'istante, come se prendesse un attimo di riflessione sull'ormai inevitabile caduta. Io ero quell'oggetto, partito con le migliori aspettative sulla mia professione: docente di letteratura. Ero della generazione che si è lasciata commuovere da “L'attimo fuggente” e da lì avevo deciso di fare il professore. Un professore diverso, moderno, che capiva i suoi studenti trattandoli alla pari, come vere persone. Per un periodo fui veramente così, sentivo l'istruzione dei giovani come battaglia personale, per il futuro della conoscenza.
Ora però mi ritrovavo fermo a mezz'aria, pensando che ormai nulla fermerà la rovinosa caduta del mio entusiasmo. Ogni tanto mi fermavo durante le lezioni a guardare un punto fisso, in fondo all'aula senza capire cosa mi stava accadendo e suscitando l'ilarità dei miei studenti. Loro non sanno, non possono sapere cosa voglia dire non avere più interessi e voglia di fare.

Ore 13.00, suona la campanella. Mentre riordino i miei libri, infilandoli nella vecchia borsa di color marrone, guardo gli studenti uscire velocemente dall'aula con risa e schiamazzi. Per loro avrei potuto vivere lì, in quell'aula, poiché lì mi lasciavano alla loro uscita e lì mi ritrovavano al loro ritorno.

Messa la borsa rovinata sotto il braccio uscii defilato, non salutando nessuno. In sella alla mia bicicletta tornai a casa. Lì non mi aspettava una moglie, aveva deciso alcuni anni prima di lasciarmi poiché, testuali parole “Non mettevo intraprendenza nel nostro rapporto quanta ne mettessi nella scuola.”. Entrato in casa gettai il soprabito su una sedia, tutto era fuori ordine ma non mi importava. Pile interminabili di libri appoggiate sul pavimento facevano il mobilio della mia casa. Ultimamente preferivo guardare attraverso gli occhi di grandi scrittori piuttosto che attraverso i miei.
Non avevo fame, mi accasciai sul divano e lessi di grandi storie romantiche. Ad un certo punto mi addormentai, svegliandomi solo alcune ore più tardi. Ormai vivevo su quel divano, in un misto di immobilismo e pateticità. Mi accesi una sigaretta, i muri di quella casa trasudavano un odore di chiuso e tabacco. Quell'odore mi nauseava a tal punto che decisi di uscire, portandomi alcuni libri. Mi fermai al parco e, che novità, dal divano ero passato ad una panchina. Leggevo e fumavo, fumavo e leggevo. Schiodai lo sguardo dal libro solo quando la luce del giorno era ormai irrimediabilmente calata e non riuscivo più a leggere. Un po' scocciato dalla situazione, come se non capissi che il sole a quell'ora avrebbe dovuto tramontare, decisi di trasferirmi in un bar. Per sistemare lo stomaco sottosopra decisi di prendere un tè.

Seduto al bar, davanti alla tazza di tè caldo, vidi la donna più bella che occhio umano avesse mai potuto vedere. Nessuno scrittore mai avrebbe potuto descriverla senza allusioni paradisiache. Capelli neri non molto lunghi, occhi verdi e profondi, una pelle vellutata coperta solo da un trucco leggero. Tentai di ricomporre i miei capelli e i libri sparpagliati sul tavolo. Misi tutto sotto il braccio e spinto da una forza inaspettata mi avvicinai a lei. Non sapevo cosa le avrei detto, l'istinto aveva ormai preso il sopravvento sulla ragione. Stavo quasi per pronunciare qualcosa quando persi l'equilibrio, inciampai e caddi goffamente. Lei sorrise gentilmente, mi porse la mano e dalle sue morbide labbra uscì flebile la sua voce: “Piacere, Angela.”

Non tutti gli oggetti lanciati in aria si fermano solo prima di ricadere, potrebbe succedere che una piuma, ferma aspettando la sua sorte, venga di nuovo sospinta in alto da una fresca brezza estiva.

giovedì 26 maggio 2011

Piove sempre sul bugnato.

L’ultimo tentativo fatto si era rivelato un errore sproporzionato.

Avrebbe dovuto ridimensionare la portata di quella ambizione che, troppo spesso, al termine della sua camminata, la lasciava disarmata di fronte a quella facciata così rigorosamente geometrica, di quella severa misura che non ammette alcuna imprecisione.

Si sentiva la donna più approssimata nella città in cui tutto venne inquadrato, in cui, ancora oggi, la regolarità immobile del bugnato sembrerebbe voler disciplinare le distrazioni dei passanti.

Aveva un cappello color rosso, un rosso carminio, una di quelle belle cloche che la aiutava a pensare, che la chiamava “Contessa”, e che ombrava le vicissitudini fiorentine dacché si era trasferita in quel riparato bugigattolo, all’angolo tra via dei malcontenti e la strada dei Pepi, poco più in là dal profilarsi della Cappella dei Pazzi. La sua esistenza era qui, circoscritta nel raggio di una qualche decina di metri, in una strada cadenzata da ruvidi palazzi e accentata da presenze monolitiche che la indirizzavano al conservatorio. Studiava il piano con gran talento, abilità che le permise di conoscere e spesso di approfondire legami con celebri personalità che passavano al teatro della Pergola.

A tale proposito in città correva voce che la nobile titolatura le fosse stata affibbiata da un celebre soprano che, giunto in tournée nelle vesti della mozartiana Contessa d’Almaviva, rimase affascinato, non tanto dalla “Contessa”, quanto dalla rossa cloche che tanto faceva Contessa colei che la indossava.

Ebbe il cappello in prestito per lo spettacolo, lei, un appellativo per la vita;

non stava poi così male nei ranghi di un’immaginaria nobildonna emergente che alla domanda “ E’ lei la tanto famigerata “Contessa?” poteva rispondere con genealogie sempre più strampalate, verosimilmente condite da episodi di dubbia autenticità. Amava inventare, favellare apertamente con argomentazioni che cercava di rendere convincenti per vedere fino a dove si sarebbe potuta spingere, aveva acquisito un insano gusto nell’ingannare, nell’ingannarsi.

Convinse sé stessa di essere una ricca aristocratica fiorentina, caparbia governatrice imparentata con i Medici, al potere fino a quando un tumulto popolare la destituì dalla carica e la privò di quella bella e carminia corona. Fermi!Fermi! sono pazza solo per gioco.. restituitemi subito la mia cloche!.


martedì 24 maggio 2011

Inferno. Canto V.

[21.30.47] Francesca scrive:

-fermi! fermi! sono pazza solo per gioco

[21.31.56] Paolo scrive:

-fra ci sei?

[21.32.02] Paolo scrive:

-??

[21.32.52] Paolo scrive:

-si può rinviare di 20 min l'appuntamento skypiano?..tempo de magnà qualcosa..

[21.34.46] Francesca scrive:

-ehi..

[21.34.46] Francesca scrive:

-eh eh

[21.34.49] Francesca scrive:

-quindi fra quanto?

[21.35.03] Paolo scrive:

-aspetta che chiedo

[21.35.10] Paolo scrive:

-perché sono appena tornato

[21.36.07] Paolo scrive:

-tra un venti va bene? o è problema?

[21.36.25] Paolo scrive:

-fra, non voglio farti incazzà però..

[21.36.25] Francesca scrive:

-no ok...

[21.36.32] Francesca scrive:

-no no tranquillo

[21.36.50] Francesca scrive:

-solo non piu tardi perchè poi vengono qua persone

[21.36.57] Francesca scrive:

-e quindi non potremmo parlare

[21.37.05] Paolo scrive:

-a che ora tue?

[21.37.40] Francesca scrive:

-boh..nove e mezza

[21.38.07] Paolo scrive:

-cmq ok..9 tue sono qua..


[21.59.45] Paolo scrive:

-eccomi

[22.00.24] Paolo scrive:

-quando vuoi chiama

[22.05.23] Paolo scrive:

-fra ci sei?

[22.05.25] Paolo scrive:

-??

[22.05.38] Francesca scrive:

-si..scusa..arrivo

[22.07.58] Paolo scrive:

-quando vuoi

[22.08.28] Francesca scrive:

-scusa ginevra mi ha chiamato.. e mi sta dicendo una cosa importante!

[22.08.53] Paolo scrive:

-okei

[22.09.03] Paolo scrive:

-io non esco stasera


[0.08.32] Francesca scrive:

-non farti piu sentire

[0.08.39] Francesca scrive:

-non scherzo

[0.08.49] Francesca scrive:

-e adesso almeno hai un motivo per incazzarti

[0.08.54] Paolo scrive:

-e daje

[0.08.57] Francesca scrive:

-così siamo contenti tutti e due

[0.09.40] Francesca scrive:

-sono stanca di essere rifiutata

[0.09.49] Paolo scrive:

-alè

[0.10.01] Paolo scrive:

-andiamo avanti?

[0.10.10] Paolo scrive:

-dai fra

[0.10.12] Paolo scrive:

-cazzo

[0.10.21] Paolo scrive:

-non puoi chiedere sorrisi finti

[0.10.25] Paolo scrive:

-madonnina dio

[0.10.33] Francesca scrive:

-no il punto che io li volevo veri

[0.10.49] Paolo scrive:

-non vanno a comando

[0.10.55] Francesca scrive:

-già

[0.10.55] Paolo scrive:

-e dovresti saperlo bene

[0.10.58] Paolo scrive:

-cazzo

[0.11.13] Paolo scrive:

-ti sto dicendo che domani è un altro giorno

[0.11.27] Paolo scrive:

-abbiamo bisogno di riflettere su ciò che è stato detto

[0.11.34] Paolo scrive:

-punto

[0.12.13] Francesca scrive:

-io sono stanca di riflettere e di stare male

[0.12.18] Francesca scrive:

-quindi basta

[0.12.26] Francesca scrive:

-basta basta basta basta

[0.12.41] Paolo scrive:

-come vuoi

[0.12.58] Paolo scrive:

-t'ho detto che sono stanco anch io

[0.13.44] Francesca scrive:

-almeno una cosa la abbiamo in comune

[0.15.19] Francesca scrive:

-dai basta finiamola

[0.15.28] Francesca scrive:

-tu fatti la tua vita io la mia


[1.05.11] Paolo scrive:

-non possiamo.

lunedì 23 maggio 2011

L'edificio

"Fermi! Fermi! Sono pazza solo per gioco!"
Nessuno di loro la stava ascoltando, la tiravano inesorabilmente verso quell'edificio; certo parlare una lingua diversa dalla loro non l'aiutava a farsi capire, ma ci provava disperatamente.
Era stata portata in quel paese da piccola, aveva pochi ricordi del periodo prima della separazione dalla madre, ricordava solo le giornate passate nei prati a giocare, con tutti quei fiori profumati gialli e blu, e la fattoria con tutti quegli animali...ricordi vaghi di una vita finita molto tempo prima.
Lentamente si avvicinavano all'edificio. Era lungo, sviluppato su più piani, bianco e dal tetto grigio; sapeva poco di cosa succedeva li dentro, solo che ci portavano i pazzi ed i vecchi, e che non ne uscivano più.
Le piaceva comportarsi in modo strano con le sue compagne, ma solo per farle divertire, per spezzare la monotonia delle loro vite, erano infatti sempre chiuse tra quelle quattro mura, se non per qualche breve "visita" al giardino; definirla pazza, però, era una conclusione quantomeno affrettata e voleva assolutamente un secondo parere, ma sembrava una possibilità alquanto remota, d'altronde nessuno ascoltava i pazzi.
Ormai era all'entrata, e la cacciarono dentro in malomodo. Appena varcata la soglia vide che non era sola, anzi, c'era a malapena lo spazio per muoversi; "Anche voi siete "pazze"?" chiese a quelle vicino a lei. "Pazze? Qui nessuna è pazza.....Ah, ora capisco, devi essere una dell'allevamento di Asiago, mi han detto che li pensano di essere portate qui se sono "pazze", o vecchie....ma noi non siamo qui per essere curate, o segregate, bensì per essere premiate! Abbiamo tutte vinto la libertà. La libertà da una vita di schiavitù".


Napoli, 7 settembre 1860

“Fermi! Fermi! Sono pazza solo per gioco!” dissi a mia madre e ai miei fratelli che mi tiravano per le maniche della giacchetta “Non ho mai visto gli uomini del Generale! Stavo solo raccontando ad Antonella una falsità, nulla che possa avvicinarsi al vero!”. Lei a quel punto mi lasciò e mi disse: “Quindi Concetta, tu non sai nulla di questo malsano progetto di unificazione del quale tutti parlano?”.
“Cara madre, vi direi una bugia se dicessi che non ne so nulla, ma conosco soltanto quei dettagli che le mie amiche mi hanno raccontato, quelli che sanno tutti. Un Generale partito da Genova con un manipolo di uomini che vuole unirci tutti in un unico stato, un pazzo progetto, una missione suicida.”
Anche i miei fratelli a quel punto mi lasciarono e mi sedetti su una sedia di paglia. Mia madre fece lo stesso. “Allora adesso dimmi Concetta, ti ricordi cosa ti ho spiegato riguardo alla particolare situazione di Napoli, oggi?”
“Certo madre, il nostro sovrano è partito con parte dell'esercito e visto che non sappiamo nulla di sicuro sul nostro domani è meglio non esprimerci mai contro il re poiché se dovesse tornare potremmo essere perseguitati come suoi nemici.”
“Brava, vedo che hai capito” disse congedandomi.

Io però la spedizione dei Mille l'avevo vista. Avevo visto addirittura lui, il Generale Garibaldi, in sella ad un bellissimo e maestoso cavallo bianco, con lo sguardo fiero. Tornando a casa per portare il latte mi ero fermata a parlare con alcuni uomini che si erano accampati a riposare. Mi avevano raccontato tutto, del fatto che avessero attraversato lo stretto di Messina e che stessero risalendo la penisola. La cosa che però più mi aveva colpito era la loro camicia rossa, simbolo di quella che loro chiamavano “repubblica”. Ma che cos'era questa “repubblica”? Uno di loro mi aveva detto: “repubblica è quando il re è il popolo che decide di se stesso”. Boh, io non è che subito avessi capito poi molto. Avevo sempre pensato che morto un re ci fosse sempre il suo successore. Quando oggi però mia madre mi aveva spiegato della sua repentina partenza avevo capito tutto. Questa repubblica mi piaceva molto. Sempre lo stesso fra i Mille mi aveva detto: “Questo pomeriggio alle 15.00 entreremo nella piazza centrale di Napoli, per un gesto simbolico, arriveranno anche Mazzini e Cattaneo. Dichiareremo il regno delle Due Sicilie annesso all'Italia.”

Proprio per questo stavo preparando la borsa, prendendo l'unico vestito rosso che possedevo, una vestaglia di lino. L'unico problema sarebbe stato evitare mia madre ormai molto sospettosa da quando la spia di mia sorella le aveva raccontato del mio incontro. Dovevo fare la disinvolta.

“Dove vai?” mi disse con fare inquisitorio.
“Vado a chiamare un'amica, le farò compagnia mentre lava i panni” - dissi senza battere ciglio.
“Ecco, visto che quindi vai al fiume, porta anche i nostri panni e lavali, credo che la borsa tu la stia portando proprio per questo motivo...”
“Va bene madre, ora li prendo”
“Mi raccomando, non portarli a casa fradici come l'ultima volta!” disse guardandomi storto
“Sarete servita” le dissi allontanandomi velocemente.

Appena fuori dalla porta riposi i panni dietro ad una pietra e correndo mi avvicinai alla piazza centrale. Ero in ritardo.

Nel frattempo mia madre, uscita a prendere una boccata d'aria incontrò un vicino che le disse: “Buon pomeriggio donna Ernestina, la sapete la novità?” e mia madre “No, zì Afrè, ditemi tutto”.
“Sembra che quel tale Garibaldi oggi si farà trovare in piazza per fare l'Italia”
Mia madre ripensò alla mia fretta nell'uscire di casa e capì. Ringraziato Alfredo chiamò i miei fratelli, chiedendo di cercarmi al fiume. Ovviamente non mi trovarono, ma trovarono le vesti che avevo riposto dietro la pietra.
A quel punto allora iniziarono a correre verso la piazza.

Fortunatamente io ero arrivata in orario, il Generale ancora non era arrivato. Molta gente era in attesa dell'entrata trionfale che avvenne proprio mentre io tiravo fuori dalla borsa la mia vestaglia, sventolandola. Erano tutti in festa, erano in molti a credere al sogno della repubblica. In quel momento ho sentito la forza di alcune mani tirarmi da dietro. Erano i miei fratelli. Mia madre se ne stava ad un angolo della piazza gridandomi “Vieni via, pazza! Disubbidire così a tua madre! Non sai in che disonore stai mettendo la nostra famiglia!” Tirata indietro da quella forza sovrumana, sventolavo ancora la mia vestaglia e gridavo a squarciagola: “EVVIVA L'ITALIA! EVVIVA LA REPUBBLICA!”

Nash e sigarette

Dedicato a Pippo V. che dedica i suoi racconti a tutti quanti, ma è troppo modesto per autidedicarsene uno.



“Fermi! Fermi! Sono pazza solo per gioco!”
Quella frase, sentita anni e anni fa, mi è rimasta molto cara.

A quando risale?

Una compagna all’asilo forse, durante un gioco. Forse. Non lo so.
Non importa.

Si può essere pazzi per gioco o per scelta? E’ questo che ti turba?

Si. Pensa alla follia.

Definisci follia.

Fare qualcosa che si basa su scelte irrazionali. Definita come follia perché abbatte l’evidenza, crea danno evitabile. Accendere un fiammifero in un ambiente saturo di gas è follia ad esempio.

Certo, ma dov’è il gioco in questo? Come si applica alla vita?

Sono le scelte. Le situazioni. Sai se ognuno scegliesse ciò che è bene per se o per gli altri?

Tratti la cosa con troppa semplicità. Credi che la gente possa sapere sempre cosa è meglio è cosa è peggio per se?

Sempre è una parola che non mi piace. Ti faccio un esempio… Sai gli svantaggi che provoca il fumare?

Certo.

Sai anche i costi che vanno affrontati i pacchetti, gli accendini…

Si.

I benefici? Li sai invece i benefici?

Non mi sovvengono, ma deduco che qualche beneficio ci sia. Altrimenti la gente non fumerebbe.

Va bene, poniamo che ci siano. Credi che questi possano essere soppesati con costi e danni causati dalla sigaretta?

Chiaramente no. Ma dove vuoi arrivare?

Seguimi: la gente sa che fumare fa male e costa, questo supera qualsiasi beneficio immaginabile…eppure continua a fumare.
Sai perché? Perché non sono in grado di fare la scelta giusta! Non trovi che questa sia follia?

Capisco…la gente non sempre sa scegliere ciò che è bene e ciò che è male…

No la gente spesso sceglie il male pur sapendo dove sta il bene. E’ diverso!

E quindi?

E quindi cosa? Ma non capisci? Ti faccio un esempio: hai voglia di leggere un quotidiano. Vai all’edicola con un solo euro. Puoi scegliere tra un quotidiano in italiano e un quotidiano in tedesco. Entrambi costano un euro ma tu non capisci una parola di tedesco. Ok? Ora spiegami perché acquisti quello in tedesco…

Ma perché mai dovrei comprare un giornale in tedesco!

Ma allora non mi ascolti? Era un esempio! Altro che tedesco…tu hai problemi con l’italiano..

Eh scusa sai se non sto dietro ai tuoi ragionamenti senza senso…

Ma guarda che questa mica è una stronzata che mi sono inventato io! John Nash ti dice niente??

Chi?

Ehh Nash il matematico! Mhh quello di A Beautiful Mind…

Ah! Russel Crowe? Quello che diventa matto?

Si quello che diventa matto…

Non trattarmi con sufficienza! Comunque tante belle parole …siamo alle solite chiacchere da bar, ma nella praticità, nel quotidiano tu che fai?

Io? Parto. Penso che prenderò un treno. O un aereo. Non so.

Ma che cazzo stai dicendo? Come può ciò giovare alla folle società?

Hei, che pensi? Mica voglio salvare il mondo…parlavo per me.

Vabbè lasciamo perdere. Tanto chi ti capisce a te. Mi sono rotto le palle di venire dietro alle tue farneticazioni. Qui il vero pazzo sei tu.

Concluse Alvise accendendo una sigaretta.

il gioco del camaleonte

“Fermi fermi!! sono pazza solo per gioco!”

Alice si svincola dalle braccia forzose degli operatori sanitari che le bloccavano la vita.

“Stavo solo scherzando!era solo un gioco! Lasciatemi stare! Non sono pazza!”



Alice nasceva alla fine degli anni settanta con una voglia stampata sulla guancia sinistra a forma di fragola. Di quella voglia ne andava proprio fiera.

Il suo naso, sebbene arricciato, si inseriva in maniera graziosa tra i suoi lineamenti di bimba, quasi a conferirle uno status di dolcezza universale.

Alice nasceva tra i colori grigi di una Milano mal odorante con la maledizione di preferire i colori sgargianti, tendenti all'arancione. Era allegra e spigliata, veloce nel recepire gli ideogrammi del mondo. Il suo passatempo era quello di inventare giochi in continuazione, inventava i più strani, i più divertenti, i più spassosi.

Con tutto quel tempo libero a disposizione, che altro avrebbe mai potuto fare?

La mamma se ne stava sempre a fumare l'eternità della sua sigaretta con una mano, e con l'altra reggeva il suo viso accasciato. Alice si chiedeva spesso perchè la mamma non prestasse attenzione alle macchie di trucco che le colavano dagli occhi.

Quelle macchie le ricordavano la tristezza dei pagliacci.

Non sa proprio come divertirsi! Pensava Alice guardando la madre, Beh..dopotutto sono fortunata... mi lascia giocare per tutto il tempo che voglio!

Cosi Alice passava il suo tempo impiegando una cura maniacale nella fabbricazione dei suoi giochi. Si definiva l'ingegnere del divertimento più brillante di tutto l'universo.. non solo della terra ma anche di tutti gli altri pianeti.

Quanti giochi!

Ne inventò di molti, dai più bizzarri ai più delinquenti.

Era la sfida che eccitava Alice, la rendeva un titano, le gonfiava il petto d'orgoglio.

Alice sfidava tutti i bambini del quartiere, ma nessuno le si poteva paragonare in quanto a furbizia, velocità e agilità. Alice trionfava sul podio in qualsiasi occasione.

Con il tempo i sui piedini iniziarono a stare stretti nelle scarpe, cambiò il numero e cosi la testa.

Le crebbe il seno, e assunse l'aria di chi sa come assaggiare il lato giusto la vita.

Non abbandonò il sui carattere ludico, anzi con il passare degli anni arrivò ad elaborare il gioco migliore, il più ingegnoso, il più adrenalinico.

Lo partorì in una notte priva di stelle, in totale armonia con la sua solitudine.

Lo battezzò come il gioco del camaleonte, si sarebbe trasformata in una molteplicità di Alice secondo le voglie del momento. Ci sarebbe stata un' Alice ubriaca, un'Alice ladra, un'Alice puttana, un'Alice suora, un' Alice mendicante, un'Alice altruista, un'Alice commerciante, un'Alice pazza.. e via dicendo.

Doveva raggiungere il più alto livello di credibilità, doveva far credere alle persone della sua identità momentanea come se fosse vera, reale, normale...e per il più lungo tempo possibile.

Era un gioco raffinato che portava Alice a dimenticare di come avrebbe dovuto essere per essere realmente se stessa., l'obiettivo in questo modo sarebbe stato raggiunto e avrebbe cosi affamato la versatilità del sua carattere.

Impersonificò i personaggi con l'abilità delle più grandi attrici, finì col sposare più uomini che credevano nell'Alice infermiera o nell'Alice imprenditrice, dipendeva dalle circostanze.

Alimentava le facce del suo ego leggendo Pessoa, il suo maestro, il quale era solito firmare i suoi scritti con tre nomi diversi per l'impossibilità di ricondursi ad un unica persona.

Alice per i più era una donna allegra.


“Fermi fermi!! sono pazza solo per gioco!” Alice continua a gridare agli operatori sanitari.

Ed era vero, era realmente pazza esclusivamente per gioco.

lunedì 16 maggio 2011

Help

Neppure questa volta gli andò bene, aveva provato e riprovato, ma sapeva che nessuno gli avrebbe risposto; forse perchè sarebbe stato scomodo ammettere di averlo lasciato solo, li, in quell'ammasso di ferraglia rivelatosi solo un altro inutile fallimento, o forse perchè non volevano ascoltare le sue disperate grida d'aiuto, che non li avrebbero fatti dormire per chissà quanto.
Sapeva che la, da qualche parte in quella massa marrone e verde, su quella sfera azzurra sospesa nel nulla cosmico, avevano interrotto tutte le comunicazioni con lui; decise comunque di provare un'ultima volta, ma la sua richiesta d'aiuto si disperse nell'etere. D'altronde nessuno poteva fare nulla per lui, questo lo sapeva, ma sentire qualche parola di conforto lo avrebbe fatto stare meglio, forse.
Gli avevano detto che sarebbe stato un eroe, un pioniere, il primo uomo a tornare da un viaggio nello spazio, ma qualcosa era andato storto, di nuovo, e lui sarebbe stato solo un altro tentativo finito male, di quelli che nessuno ricorda, di cui nessuno parla. Aveva sempre sognato di trovarsi li, a galleggiare in quello strano modo, a guardare la terra da dove nessun'altro l'aveva vista, o meglio, da dove nessuno fosse tornato per descriverla.
La sua passione nacque da piccolo, leggendo libri di fantascienza, fu allora che decise di diventare un astronauta, di esplorare lo spazio, di cercare nuove forme di vita con una storia diversa dalla nostra, ma purtroppo non era andata proprio come si aspettava. Si era impegnato a fondo per arrivare dov'era ora, compiendo innumerevoli sacrifici, ma adesso, tutto quello che aveva fatto non contava più nulla.
Si diresse allora verso il quadro comandi e tolse l'alimentazione alla navetta, non sapeva nemmeno lui perchè, andò verso il portellone a tenuta stagna e lo aprì, "Non è poi così male" pensò.

Vita da scarpiera...

Ehi Dex, ci sei? Ci siamo eh! Ci siamo...è pure sabato oggi! Prima ho sentito la madre dire che c'è il sole mi sa che è la volta buona! Sei pronta? Sei carica? Guarda che è cresciuta secondo me se ci sceglie questa volta arriva fino a notte inoltrata senza cambiarci! Fidati! Me lo sento qui, nella graffetta che si è incastrata l'estate scorsa, ricordi? Mi fa sempre male quando cambia il tempo...fidati è la volta buona! Ci sei Dex? Dex?? Dove sei?

Sandalo è inutile che urli la tua Dex è rotolata dall'altra parte del cassetto come minimo due settimane fa, quando quell'altra ha deciso finalmente di riportare da Padova quegli orrendi stivalacci neri col tacco...li ha cacciati dentro come suo solito e per farli stare dove evidentemente non potevano stare ha sbattuto il cassetto! Le ha fatta volare là in fondo...la vedi?

No tennis non la vedo, è vicino ai Bianchetti? Per altro...lo sai che ho sentito dire che si stanno ingrigendo dalla depressione? Poverine, dopo quel diciottesimo le ha tirate fuori solo per lo spettacolo di gennaio scorso e dopo averle fatte usare a metà delle ragazze della compagnia le ha dimenticate per due mesi nell'armadio della scuola di canto... poveracce.

Già, poveracce. Nessuno con cui parlare, solo spartiti musicali e testi di canzoni...e si sa come sono quelli, mio cucino, Lucido Nero, li conosce bene e ha detto che monopolizzano l'armadio, si credono tutto loro perchè vengono tenuti in mano ma se non ci fossimo noi come ci andrebbero sul palco? Scusa eh ma il direttore d'orchestra uno spartito lo può anche sostituire con delle fotocopie o dei fogli diversi, ma se sale senza mocassini lo cacciano dal teatro.

Mocassini??? Hai detto mocassini?? Dov'è? È qui? Oh mio dio....non sono pronta, non sono pronta!! Madonna quanto è figo! Come faccio! Passatemi uno straccio! Rossa! Avvicinati che mi struscio sul sacchetto!!

Mmmmm mmmm mmm...

Rossa esci da li dentro non capisco cosa dici!

Mmmm mmm mmmm...

Oh Deco calma! Non c'è nessun Mocassini.... Stavamo solo facendo un esempio, tranquillizzati!
Tennis questa è completamente fuori, hanno ballato due minuti assieme a capodanno di due anni fa e ancora non ha capito che prima dell'anno prossimo non rivede la luce...che poi secondo me cambia la moda e non la rivede comunque...il laccato nero era già opinabile due anni fa!

Shhhh, ti prego non farti sentire... che poi se no riattacca con la solfa dei grandi classici, che lei non passerà mai perchè fa parte degli ever green, che non può mancare nell'armadio di una donna, che è come il rossetto rosso, le due gocce di Chanel numero cinq e il tubino nero..

Ah Ah! E sopratutto che non è vecchia ma matura...seeee, si è visto!

Guardate che vi ho sentito! E avete poco da scherzare, tu Sandalo sei la mia versione estiva, venuta male tra l'altro, e tu Tennis con quel buco in fondo e i fiori da hippie hai finito il tuo tempo, l'altro giorno mia sorella Paillettes mi ha detto che quella là su si è convertita ai pantaloni stretti in fondo, e si sa che con loro non ti può usare se no fai l'effetto...

No! Non dirlo lo sai che ci rimane male!

Zitta tu che solo perchè è tornato di moda il blu vedi il mondo fuori di qui per due settimane, vedrai l'anno prossimo, il nero è un ever green ricorda! Tu sei un errore stagionale! E tornando a te Tennis...sei destinata a marcire qui dentro perchè si, tu fai l'effetto piedi de Pippo!!

Aaaahhhh...questa poi! Vuoi sapere la verità?? Lo vuoi sapere perchè Rossa è nel sacchetto??? La sorella gliele ha riportate da Genova perchè questo capodanno ha scelto loro! E sai con chi hanno ballato???? Con Mocassini!

Aaaaa!!! tu! Maledetta scamoscita tamarra con quel cuore inguardabile, esci di li! Non nasconderti! Dimmi se è vero!

Mmmmm mmmm

E' inutile che balbetti! Sei stata solo una sostituta senza nessun valore, una taccata e fuga ne sono certa!! Vedrai quando tornerà da me... Io sono lucida e morbida, vedeva il nostro amore rispecchiarsi sui miei fianchi! Con te al massimo si sarà rovinato il muso con quella pellaccia ruvida! Tanto lo sappiamo tutti che ti ha preso dai cinesi!!!

Raaaaagazze basta....non litigate...fate la pace.... dobbiamo essere tutti uniti e rilassati...Rossa, Deco, venite qui...stringiamoci in cerchio...annusate con me questo cubetto bianco...è belliiiisssimo....

Eccola lì ci mancava il fattone pacifista... Sandalo Indiano guarda che quella è solo naftalina! Tennis qui sono tutti pazzi, non vedo l'ora che venga a sceglierci per stasera! Tu sei qui dentro da più di tutti noi, hai visto le manifestazioni, i corridoi del liceo, sei andato a protestare a Roma! La conosci meglio di tutte! Dicci chi sceglierà!?

Guarda, nell'ultimo periodo in effetti è cambiata eh... mi sa che mi tiene per affetto, e poi c'è lo straniero lì, Birken, quello non si sa ne come ne perchè ma riesce sempre ad essere abbinato con tutto, è si che l'è na savatta!

Ehi? Non dire cose antipatica! Se lei scegliere me è perchè io sono stato fatto bene, io non sono scarpa di cinese o di indiano come tossicone là giù...io sono fatto in Germania, io sono comodo, io posso fare camminare per ore senza vescichetta..io sono di pelle e sughero...io vengo da anni di studio in laboratorio...io sono..

Anatomico! Lo sappiamo! Mmmm quanto rompe questo con sta storia dell'anatomico...

Si esatto anatomico! E tu cosa essere sandalo con tacco??? Sua mamma settimana scorsa avere detto anche che tu essere volgare!

Volgare io??? Vorrai dire sexy forse! Guarda, è meglio che non parlo...se ti dicessi cosa dicono le sue amiche di te..

Cosa dire???

Che gli fate le caviglie tozze!!!

Scheiße! Non essere vero! Io essere anatomi...

Ssssssssshhhhhhhhh eccola eccola state zitte sta arrivando!

“Mamma prendo le scarpe ed esco!”

“Non metterai quelle dell'altra volta con quel taccazzo spero!”

Cosa avere detto io....ah ah ah..Taccazzo!!...Ora lei prende me!

Shhhh!!!

“Si invece! A me piacciono!”

Tiè!
“Ma tranquilla per guidare uso le ballerine”

Ah ah manco per guidare ti prende anatomico...

Shhh!! Eccola eccola, SSSiii!!! Ci ha prese!!! Ciao a tutti, ciao Tennis ci vediamo più tardi e ti racconto com'era la disco! Ce l'abbiamo fatta Dex, è la volta buona! Grande graffetta non sbagli mai! Ehi Dex, ti sei ripresa dalla botta?

Più o meno!

Dai dai è la nostra nottata! Me lo sento! Carica eh? Bella rigida, tacco fermo niente stritolamenti alla caviglia che non le piacciono, sciolta e musicale... stasera ci si diverte!! Ciao ballerina!

Ciaooo...

Dai dai niente tristezza, la prossima volta ballerete anche voi!

Se va beh...di ballerino abbiamo solo il nome, questa ci usa solo per guidare, c'è pure la frizione nuova e mi sto smussando tutto il fianco...

E' per una buona causa! Finalmente è cresciuta! Sento che ce la farà! Si balla all night long!!!

(superate tre faticosissime ore di salite, gradini, discese, asfalto, erba e sterrato)

Dex

Si Sin....

Dove siamo secondo te?

Credo nel bagagliaio Sin...

E ripetimi perchè?

È colpa mia Sin, scesi dalla macchina è partita la musica del locale, mi sono sciolta come hai detto tu ma forse un po' troppo e ed è scivolata nella pozzanghera. Cambio pantaloni e cambio scarpe...

Maledette ballerine, ci hanno fregato la scena...e ora con che faccia ci torniamo domani al casettone?

Tranquillo Sin, ci giochiamo la carta culturale che funziona sempre... quelle sono andate alla parte tamarra della serata, noi c'eravamo al circolo letterario! ;-)

Il Profumo della magnolia

Neppure questa volta le andò bene...
“Claudia!! Sveglia Sono quasi le sei!”
Eh no decisamente non le era riuscito di farsi assorbire dal caldo piumone che pesante come il sonno la schiacciava sul materasso.
“Vorrei diventare una piuma e dormire per sempre! Al diavolo tutto!”
“Claudia! Mica vorrai fare tardi al lavoro!” ancora la mamma.
“Certo che vorrei!” Fu la laconica risposta.

Claudia, maestra d’elementari, 25 anni usci dal letto trascinandosi insieme ad un’esagerata voglia di dormire il suo piumone.

Poi doccia, ci voleva. Ma fai in fretta! Ok Fatto.
Poi cappuccino, potesse questo idillio di schiuma di latte durare per sempre, si ma fai in fretta! Bevuto.
Poi vestirsi, e se oggi me ne fregassi dell’etichetta e mettessi quella gonna decisamente anni ’80? Va bene, ma sbrigati! Fatto.
Poi in macchina, oh no! Ancora l’autoradio rotta! Dovevi portarla ad aggiustare ieri! Maledizione! Maledizione!

Accensione e via.

Niente musica ma pensieri passano per la testa di Claudia.

Niente canzoni che si rincorrono, ma molti dubbi.

Niente note che giocano, ma un’enormità di preoccupazioni.

Ascoltiamole.

A giugno mi scade il contratto…se a settembre sono ancora qua…forse se andassi altrove.. Che palle. Ho sonno. Non dovevo andare a letto alle 3 ieri. Minimo mi addormento e finisco contro un albero! Non posso fare un altro anno così! Perché non mi possono mettere un anno intero nella stessa scuola?! Eh no 4 scuole sui 4 angoli della provincia basta! Piuttosto a lavare i cessi in un ostello via da questo paese! Gelmini di m…!
Me ne devo andare via! Qui è il buco del culo del mondo!

E così via. Per tutti gli 87 km che separavano la sua casa dalla scuola in cui insegnava il lunedì e il venerdì per la bellezza di 6 ore totali a settimana.

Quella mattina arrivò addirittura in anticipo di 15 minuti e questo, sommato ad un lunghissimo elenco di cose, primo su tutti l’autoradio incriccata, la faceva incazzare non poco.

Poi come se nulla fosse, cominciò pure a piovere.
“Merda!” Disse battendo i pugni sul volante!
Si allungò cercando di prendere l’ombrello che era sui sedili posteriori.

In quel momento durante la contorsione da circo bulgaro notò un uomo di mezza età fuori dalla scuola che come lei aspettava che venissero aperti i cancelli dell’istituto.

“Scusi! Vuole salire in macchina?? Si sta inzuppando dalla testa ai piedi!”

L’uomo scatto veloce e si infilò nell’auto. Aveva addosso il grembiule nero da bidello.
Claudia non lo aveva mai visto prima.
“Grazie mille signorina!” Disse il signore.
“Ma si figuri! Eh si stava bagnando bene li fuori!”
“Eh già! Sarei dovuto uscire con l’ombrello!”Disse sorridendo.
“mi tolga una curiosità, lei lavora qui? Non l’ho mai vista!”
“si signorina io taglio l’erba.”
“ah…capisco.”
“Mi chiamo Berto”
Berto raccontò a Claudia di come avesse cominciato a fare il giardiniere a 12 anni, di quando vent’anni fa aveva cominciato a lavorare in quella scuola e dei suoi sogni…
“Sa signorina, tutti abbiamo dei sogni… io sogno di andare a curare le piante dei giardini più belli del mondo… sogno di potare cespugli al giardino di Versailles, di curare i prati ai piedi del Taj Mahal, di piantare rose nei giardini reali in Inghilterra! Sarebbe stupendo! Anche solo per un giorno!”

“Ci provi almeno no? Peggio di questo buco di scuola non può esserci! E vogliamo parlare di questa nazione? Governata da ladri, in cui tutto si basa su amoralità, favoritismi, sfruttamenti?!”

Il signor Berto, con gli occhi ancora lucidi di sogni, sorrise regalando uno di quei sorrisi di chi è avanti 10 passaggi logici.
Di chi sa che tu presto saprai quello che ora ignori.
Quei sorrisi che sono come treni che corrono da una grande città all’altra. E sfrecciano veloci tagliando in due le piccole stazioncine di quei paesini insignificanti. E tu li a guardare questi treni che di ora in ora come lame affilate e luccicanti ti sfilano davanti e ti chiedi quando mai uno si fermerà per te.

Berto indicò allora a Claudia una pianta dentro il giardino della scuola. Una magnolia, di media grandezza, che sotto la pioggia battente, sembrava brillare come l’oro.
“E’ stupenda.” Sussurrò Claudia. Lo pensava veramente. Maestosa, fiera e di una bellezza rara.
Come aveva fatto a non notarla?
Davvero non lo capiva. La pace che le trasmetteva… la sicurezza che emanava…le scaldavano il cuore. E il calore le si distribuiva per tutto il corpo fino alle punta delle dita e fino agli occhi, che a causa di quel mix di emozioni si erano velati di lacrime.

Si girò di nuovo verso il signor Berto che però era sparito.

Come anche la scuola e la pioggia.

Rimaneva solo la magnolia. E il suo profumo nell’aria.

“Claudia! Sveglia sono già passate le sei!”

Claudia, maestra d’elementari, 25 anni usci dal letto trascinandosi insieme ad un’esagerata voglia di dormire il suo piumone.

E nell’aria quel profumo, che mai prima di allora aveva sentito ma che nonostante ciò ora poteva riconoscere.

Il profumo della magnolia.

La grande commedia della creazione

Neppure questa volta gli andò bene, quella creatura non gli somigliava per niente. Quella che invece ora aveva davanti aveva un folto strato di pelo, una piccola protuberanza rosa che usciva da un foro in quella che decise essere la parte anteriore. Appena creato e già puzzava.

All'inizio non c'era nulla, il vuoto più assoluto. Si sentiva solo, aveva bisogno di compagnia. Così aveva iniziato a creare dapprima oggetti inanimati, subito dopo esseri viventi cercando di costruirsi un amico che potesse essere simile a lui, ma niente. Alcuni esseri volavano, altri strisciavano, molti si muovevano sulle zampe.

“Basta, ultimo tentativo, questa volta ce la farò!”, si disse con fare risoluto. Prese un cumulo di terra, e gli infuse la vita, poi, preso dalla passione artistica della creazione, prese un pezzo del primo e ne creò un secondo, un po' diverso ma non molto. Guardò a lungo la sua creazione.
“Ci rinuncio!” - disse - “Questo è il peggiore che mi sia mai riuscito, non solo è molto diverso da me, ma è anche il più fragile che io abbia mai creato”.

Inaspettatamente però quell'ultima creazione, che era la più ingegnosa e curiosa di tutte, dopo breve tempo prese padronanza di un linguaggio molto evoluto ed iniziò a costruirsi utensili per la caccia e per la difesa. Man mano che si evolveva e si riproduceva, trovava sempre più soluzioni ai problemi che lo affliggevano ed iniziava a dare un nome a tutte le cose, così da potersi riferire ad esse in un futuro. Era talmente incuriosito da tutto che si chiedeva addirittura chi fosse il suo creatore e se potesse un giorno conoscerlo. Il creatore ovviamente, per non far notare questi suoi errori, stava celato nell'ombra osservando tutto.
Spaventato com'era di poter essere scoperto, iniziò a creare confusione in quegli esseri, per rallentare la curiosità che li avrebbe sicuramente portati a lui. Ormai erano tantissimi. Fece raccontare al popolo boshongo dell'Africa centrale che esistesse un dio Bumpa, che, in preda al mal di stomaco, aveva vomitato il sole, la luna e le stelle. Agli arabi aveva fatto raccontare che un tale Allah aveva creato tutto, e gli diede un lungo libro da recitare cantando almeno cinque volte ogni giorno. Poi gli disse pure qualcosa riguardo ad un Maometto e ad una montagna. Lo scherzo più terribile però lo escogitò per gli europei, dalla carnagione chiara. A loro diede un libro, una fede strana e un'organizzazione che la gestisse, sanguinaria dapprima, manipolatrice poi.
Un gruppo di persone però non credette a nulla di questo cercando di trovare una spiegazione a tutto che non comprendesse la necessità di un dio. Il creatore rideva di loro, erano i più lontani di tutti dalla verità e non avevano avuto nemmeno bisogno di quelle strane storielle, essendo comunque i più confusi.

Mentre guardava quei piccoli esseri in battaglia, si compiaceva del fatto che difficilmente avrebbero mai trovato risposte. Disse: “Questa creazione mi stanca terribilmente, sono sette giorni che lavoro, ora mi riposo un po'”.

partita a risiko

Neppure questa volta gli andò bene.

Pausa! Gridò esausto rivolgendosi ai corpi seduti al tavolo, promise che sarebbe rientrato da li a poco. Il tempo di una sigaretta si aggira dai tre ai sette minuti, pensò, dipende dall'altezza del palato e dalla capienza dei polmoni,

“che avrò mai sbagliato questa volta? Prendevo l' America, altri due turni e ci sarei riuscito a prendere l'America, maledizione!”

Quella volta se la sarebbe ricordata sempre, a prescindere dallo scorrere dei calendari, ma a nessuno avrebbe narrato il suo fallimento, neanche alla compagna di segreti.

Ormai erano cinque anni che era l'esponente delle armate blu, era arrivato ad ottenere quel posto dopo lunghi esercizi di tecnica militare e caffeina nelle vene.

Lui, comandante blu, se la cavava, ma questa volta le scelte non erano state ben ponderate, “Avrei dovuto fargli credere un obiettivo più semplice, lasciargli l' Oceania fin dal principio. Maledetto figlio di puttana!”

Le armate nere guerrafondaie coloravano il tavolo in maniera predominante e aggressiva, i pochi carro armati blu stavano affogando nella macchia nera, precipitosamente.

Il comandante appoggiò le spalle al muro e trattenne il fumo dimenticandosi di rilasciarlo, preso com'era dal falò dei suoi pensieri.

Due anni di fila che ci si trovava nella stessa situazione, su un totale di cinque anni di rito bellico.

Come sempre le armate gialle, verdi e viola in poche ore fuoriuscivano dai calcoli geopolitici, e in battaglia rimanevano gli avversari storici: il blu versus il nero. Il buono e il cattivo, Abele e Caino, il più e il meno, il razionale e l'irrazionale, il paradiso l'inferno, freddo caldo, dolore e gioia.. etc.Il comandane buono tornò al tavolo con la speranza di sollevare il pianeta in estremo,

“ gli proporrò un armistizio, un trattato di pace, un accordo di non belligeranza, qualcosa accetterà quella stramaledetta canaglia!”

Appoggiò lo sguardo sulla cartina nera petrolio, poi lo rialzò e incontrò il ghigno degli occhi del comandante nero.

“Stramaledetta canaglia! “ Imprecò nuovamente il comandante blu. Era allo stremo delle sue forze, la battaglia era stata lunghissima, più di nove ore di palpitazioni cardiache ad ogni lancio del dado, gli occhi iniziavano a bruciare e cosi era costretto a sbattere le ciglia continuamente.

Bilancio: Asia nera, Oceania nera, Africa nera, sud America nero, Europa blu e America del nord contesa. Le file degli eserciti blu invocavano rinforzi che non arrivavano, tremavano allo scivolare del dado sul tavolo. Sei nero, due blu; quattro nero, cinque blu. Eliminazione di un carro armato a testa. L'indice del comandante nero scaraventò un soldato blu in un angolo della stanza, assieme agli altri feriti di guerra.

Ius ad bellum, il diritto alla guerra, era nel pieno del suo esercizio.

Finale numero 1:

il nero diventa buono, si ritira dal gioco e il mondo vive felice e contento.

Finale numero 2:

il nero rimane cattivo, ma il buono sfodera l'asso nella manica, e riconquista il mondo.

Finale numero 3:

il nero rimane cattivo, il buono rimane buono. Nessun asso nella manica, il cattivo vince.

Finale numero 4:

il buono e il cattivo si sposano e se ne vanno in viaggio di nozze fregandosene del mondo.

Finale numero 5:

in realtà la storia tratta di una partita di risiko tra due ragazzi in fase tardo adolescenziale, dunque nessun buono nessun cattivo, solo ius in bellum simulato.

Finale numero 6:

cancellare questa miseria di racconto e salvare un minimo di dignità.

mercoledì 11 maggio 2011

cioccolata calda

Odio fare il cambio degli armadi, metti via i cappotti quando c'è troppo caldo anche solo per tenerli in mano e nel tirare fuori i pantaloncini corti ti viene l'ansia perché non sai quando troverai il tempo per usarli. Poi nel sistemarli metti la mano in una tasca e trovi un cioccolatino sciolto e prima di poterti arrabbiare parte il ricordo:
Era un tram di quelli tipici da foto in bianco e nero anni '40.
Uno di quelli che ti immagini sfuocato dietro a due bambini col bastone e il cerchio o con un uomo ben vestito che aspetta alla sua fermata vicino ad un lampione sfuocato e freddo. Ti sembra di poter vedere ancora i gradini rigati usati per scrollare la neve dalle scarpe e per un attimo pensi a quanti cappotti inumiditi dalla nebbia si possano essere sfregati tra di loro nelle fredde mattine invernali.
Le vetrate sono opache e sporche ai bordi, con le finestre di legno chiaro e le sedie lungo il fianco, per metà rivolte verso lo stesso lato e per metà verso il centro. Questo aspetto lo ricordo particolarmente bene perchè mi sono sempre chiesto se sia meglio sentirsi completamente vuoti e liberi rischiando di dover incrociare lo sguardo dell'altro, o sentirsi protetti sedendosi in stile pulman potendo però guardare solo i capelli di quello davanti.
Se ti sporgevi un po' per guardare sotto le panche potevi vedere fogli di giornale, polvere e terra e potevi immaginarteli saltellare rapidi e disordinati al proseguire del viaggio. Il profumo non si sentiva più bene, o meglio non si sapeva riconoscere con precisione. Forse in passato qualche anziana signora doveva essersi accorta di aver rotto la sua boccetta da borsa perchè ancora adesso si sentiva un lontano sapore di glicine e naftalina, ma dovevi impegnarti molto per isolarlo da quello di erba e pioggia. Da fuori potevi vedere che il suo numero doveva essere il 32 ma non si poteva più riconoscere quale fosse il luogo di destinazione.
Era così semplice e classico nel suo modo di presentarsi che non ti pareva possibile che potesse contenere un momento così particolare. Anche adesso mentre sto scrivendo io stesso me lo immagino lento e fragile che prosegue goffamente lungo un viale di Milano o Torino inoltrandosi nella nebbia mattutina.
E invece era lì, solo e inspiegabilmente abbandonato in mezzo ad un enorme campo di papaveri a scintillare sotto il sole di metà luglio.

Passeggiavo da solo lungo la strada di campagna con la maglietta in mano e i pantaloni corti e anche se il sole batteva forte sulle mie braccia e l'aria calda mi spingeva a riposarmi un paio d'ore non potei evitare di fermarmi ad osservarlo da lontano, per poi decidere di inoltrarmi in mezzo ai fiori e alle spighe per capire cosa fosse davvero. Da prima camminai lento e in parte spaventato, poi iniziai ad accelerare e a correre verso di lui con il sudore che mi appannava la vista e il riflesso che muoveva tutto come se fosse dentro ad una bottiglia di vetro piena d'acqua. Quando arrivai davanti mi fermai un secondo e vidi una persona dentro. Stavo per scappare ma quell'immagine non era spaventosa, anzi era immobile e tranquilla e decisi di avvicinarmi, misi dentro la testa la vidi. Era lì, piccola, magra e vestita con un abito a fiori lungo fino a metà gamba con una camicetta bianca dalle maniche a sbuffo. Anziana. In testa aveva un cappellino di quelli piatti con un fiorellino di lato e si appoggiava elegante e dritta sul suo ombrellino di pizzo ormai ingiallito dal tempo. Lei mi vide ma non si spaventò, cercai di dimostrarle lo stesso e avvicinandomi le chiesi: “Signora tutto bene? Posso aiutarla? Cosa ci fa qui dentro con tutto questo caldo?” Lei si girò e con aria educata e gentile mi disse, “Certo giovanotto, tutto bene, sto solo aspettando la mia fermata, sa per caso quanto manca a via San Paolo?” Io rimasi completamente sbigottito, non sapevo cosa dire, era tutto così assurdo da non sembrare minimamente reale. Mi avvicinai ancora un po' e balbettando le dissi “Si-signora ma...io non so neppure come sia possibile..so solo che al momento ci troviamo in mezzo ad un campo, dentro ad un tram e non ci stiamo muovendo...dove deve andare? È sola? Dove abita? Credo di star impazzendo…” Lei sorrise e mi disse, “Eh eh quante domande, mia mamma mi ha sempre messo all'erta dalle persone incontrate sul tram, e mi ha sempre detto di non parlaci...ma il mio piccolo cagnolino qui è stanco,vede? Non posso rischiare di sbagliare fermata e farlo camminare! Allora sa dirmi se ci sono altre fermate prima della nostra? Scende anche lei lì? Sa aiutarmi?” Io ero ancora più confuso, osservai tutti i posti vicini e non vidi nessun cane, mi sedetti di fronte a lei e le risposi semplicemente di no…poi mi misi la testa tra le mani, chiusi gli occhi e senza sapere bene a cosa provai a pensare. Qui lei si alzò, mi appoggiò qualcosa sulla gamba e mi disse: “Tenga giovanotto, in effetti sono io che dovrei chiederle come sta, la vedo un po' giù! Sono la figlia del cioccolatiere di via San Paolo, la conosce? Mangi quanto cioccolatino e si tiri un po' su, quando arriveremo poi gliene darò altri!” Lo presi in mano, guardai la carta marroncina con le rifiniture oro e lessi la scritta “Antica Cioccolateria Pisi”. Per un attimo mi sentii di nuovo in quel viale anni ‘40, vidi i cappotti lunghi dei signori eleganti ricoperti di piccole goccioline di pioggia, nonostante il caldo infernale mi parve di sentire lo spiffero entrare dal finestrino socchiuso e l'odore del muschio cresciuto tra i sedili si trasformò in neve e fango. Riuscii quasi a sentire freddo e a desiderare di entrare in quella Cioccolateria e scaldarmi le mani attorno ad una tazza.
I pensieri si stavano adeguando all'assurdità della situazione quando ci fù un suono che mi riportò dov'ero. Qualcuno gridava nel campo e poco dopo potei riconoscere le parole “Signora Pisi? Signora Pisi dov'è finita??”
Neppure il tempo di uscire a guardare e entrarono due uomini sudati con una divisa da verde addosso, “Signora Pisi ancora qui? L'abbiamo cercata per tutto il campo, guardi che è arrivata, è questa la sua fermata!” Lei si girò sorridendo: “Siamo già in via San Paolo? Oh che bello non si arrivava più oggi, datemi una mano a scendere ragazzi, e attenti al mio cagnolino!” Vidi i due ragazzi prenderla per un braccio, uno da una parte e uno dall'altra, poi uno dei due si girò verso di me e mi disse “E lei? Cosa ci fai qui? Si sei perso? Guardi che è proprietà privata dell'ospedale” Indicò verso destra.. mi girai, vidi l'edificio in fondo al campo e quasi deluso dalla spiegazione capii. Chiesi scusa e me ne andai confuso, più dal pensiero di aver creduto di poter diventare pazzo che dal caldo e dalla situazione. Ripresi a camminare ma non prima che lei si girasse dicendomi: “Riprenditi ragazzo e vieni a trovarci in Cioccolateria!”. Mi regalo’ un sorriso, i due ragazzi alzarono gli occhi al cielo ed io scusandomi ritornai sulla mia strada, misi il cioccolatino in tasca e lì lo dimenticai...

martedì 10 maggio 2011

Ci sono altre fermate prima della nostra?

Il sottoscritto racconto è frutto di collaborazioni che potrebbero rivelarsi amorose, nonchè da quattro mani e quattro alluci, che fanno capo a g. e a giulinoccioline.


-Partito.-.

Lui era partito. Ora aveva l’ufficializzazione confermativa della tecnologia di un messaggio di testo. Alla fine in una maniera o nell’altra sarebbe arrivato da Ella. Lui aveva aspettato il resoconto di mezzora vitale composta da chiacchiere e servigi di complicità: Paolo era il fiducioso e il fidato, l’ospitante di mondi non rappresentati di baldracche svestite su cubi irrequieti, ma di gentilezze nascoste e di umanità troppo spesso taciute. Paolo tifava Genoa ma andava a Milano dalla figlia Celìn, nata in incontri marocchini, figlia di non riconosciuti amori. Lui era contento. Era contento di lui stesso e di Paolo. Era salito in sella all’incognito alla volta dell’indefinito che aveva, almeno per quella volta, il nome di Ella. Lui era partito tra sorrisi di semplicità e stupore: lui aveva la naturalità di andarsene.

E di venire.

Bip- Bip. -Partito.- .

Il messaggio. Oddio..l’ha fatto davvero. Ho sonno. Tanta, forse troppa luce nella stanza. Ok. Un’oretta ancora e poi mi sveglio e provo a contattare il Paja.

Più informazioni uguale più tranquillità.

Per certo i suv non appartenevano alle preferenze dei mezzi motorizzati. Ma lui mai odiò i suv come in quel momento. Suv. Suv. Suv. Difendetevi dietro a quei maledetti finestrini neri! Comprate la sicurezza a suon di moneta! Incoraggiate l’insicurezza a furia di privatizzazione di anime! Perché negate il contatto? Perché? Perché? Perché il rifiuto della umanità?

E perché tutti poi in tangenziale ovest? Perché nessuno per Genova? Genova è bella! A Genova c’è il porto, il mare, l’acquario! Che cazzo c’è lungo la tangenziale ovest? Nebbie primaverili?

Lui ormai era privo; privo di spinte della fortuna, assente e aspettante di camion luminosi. Ma dov’erano questi camion? La meta di lui era palesemente offuscata, convito che se avesse varcato ciò avrebbe oltrepassato il punto di non ritorno.

Ma in questa enfatizzazione dell’oscuro, Ella dov’era? Era in fuga con camion rapiti? Ella era nascosta dentro quei miserevoli suv? In realtà lui era in preda a tentativi maldestri di ricongiungimento. Ella, giustamente, dovrà ancora tornare a casa.

Beh.. ormai dovrebbe essere già alla frontiera. Cazzo! E’ ancora a Milano!..lo sapevo che era una cazzata. Sua madre mi uccide...

...cinque ore. Ma dove sarà?

Ok. Calma. Aveva detto che si sarebbe fatto sentire arrivato al confine.

Sono le sette: in Spagna ci sarà il fuso orario? Dio che ansia...ok. Gli scrivo.

Non posso credere che sia ancora a Milano. Dodici ore: Dio non arriverà più. Ok. Ok. Ok. Calma. Ella calmati. Ragiona. E’ meglio che torni. Rischiare per nulla...e se succedesse qualcosa? Dio. Sembro mia madre!

Ahhhh basta!

Devo uscire.

A passi singhiozzanti lui avanzava. E si fermava.

Ora era in grotteschi luna park creati e ritoccati per adempiere all’esigenze represse di troppo-onesti camionisti: il paesaggio era un centro commerciale di puttane, pugni alcolici, droghe pesanti e goldoni andati a male. Lui era di fronte alla scomparsa della naturalità, spettatore del bilinguismo uomo-bestia, testimone della sempre eterna negazione dell’individuo a favore del gruppo. Lui decise che si sarebbe assentato. Avrebbe applicato una terapia all’incontrario dove il dominio era conquistato dall’assenza di movimenti superflui.

Dopotutto, il consiglio che veniva dall’84, “Al momento non si può far altro che estendere a poco a poco lo spazio dell’integrità mentale”.

Nel cuore della notte. Luogo di camionisti. Puttane. Luogo dei divertimenti.

Oddio, ci manca solo che per la disperazione vada con una prostituta!

Ok. Ella. E’ lui: non andrebbe mai con una troia. Domani guardo un treno bus aereo per andargli incontro. Questo pensiero lo consolerà.

Cazzo, io sono qui nel mio pietra letto. Mi sento impotente ..chissà come starà. Certo è una pazzia; ma io non sarei mai disposta a commetterla. Dove inizia il confine tra pazzia e coraggio? Ok. Sono le quattro. Ricomincia a dormire. Domani andrà meglio. La fortuna dovrà girare.

Okei. Lui aveva capito che il tempo è privo della dominazione; che la fretta dell’arrivo può diventare disperazione. Aveva capito che l’autopista è differente dall’autovia; che gl’italiani, spagnoli, francesi e portoghesi odiano i polacchi, i servi e i rumeni; che i polacchi e i serbi odiano i rumeni; che i rumeni odiano parte di loro stessi rumeni. Aveva capito che solo i camion con il carico frigo erano esenti da restrizioni giornaliere o settimanali di ore e tratte di percorrenza. Aveva capito che l’immobilismo non è uno stato lirico. Lui aveva capito che, in quel caso, l’autostop poteva diventare autobus.

Sonno. Telefono. Oddio è lui. Cosa? Come? Chiamata troppo veloce. Voce debole e poi speranze. Stanchezza. Ma chi cazzo gliel’ha fatto fare. Porca troia. Ok. Ella. Subito! Alzati! Colazione e computer. No no no...sono le otto. Ancora un’ oretta e poi..

Zaragoza Madrid Lisboa: 50 euro. Ore 14.54. Coincidenze che forse non ci sono. Dalla cartina non sembra tanto distante. Cazzo mi sento un hacker! Mappe kilometri metri e percorsi. Quando si dice che il computer aiuta...

Bip-Bip.

Il messaggio arriva. Ma solo a metà. Lui dice: “Ok. Stiamo calmi.”

E poi? E poi che cosa? Perché dobbiamo stare calmi? Che succede? Ok, Ella. Pazienza . Adesso arriverà anche la seconda parte.

Dio! L’ha preso! Ha preso quel fottuto bus. Devo solo scoprire il nome del buon uomo che ha inseguito l’autobus e inviargli un cesto di fiori. No. Ok. Un grazie molto sentito telepatico basterà. In fondo son ancora una studentessa!

Ora posso stare tranquilla. A meno che il bus non venga rapinato o assaltato..ma per fortuna non siamo nel sud America. Posso rilassarmi. Congiuntivite di merda! Proprio questa settimana! 6.30 domani. Domani.

Domani.

Che ansia nuova, differente, quasi piacevole. Migliore sicuramente.

E sorriso. Ebete.

Lui entra nella meta. Il destino è parte del campo del tangibile.

Ella sogna un incontro dettato dall’incongruenza del sogno.

La bocca dell’infante s’accinge al capezzolo di una madre per troppo tempo svogliata.

Ella scende le scale e pensa che non sarebbe stata abbastanza bella. Ma poi pensa che sono le sette del mattino e lui non si lavava da tre giorni.

Lui trova il profumo di brioches bagnate da albe quanto mai immediate.

Lui trova Ella.

Ella incontra lui.

La fermata era la nostra. Con la domanda:

“Scusa dov’hai parcheggiato il camion?”

Il pulmino

"Ci sono altre fermate prima della nostra?"

Tutti lo fissavano. A nessuno era piaciuta quella frase, magari era di cattivo gusto certo,
ma era sicuro di riuscire a strappare almeno un sorriso. Solo un tizio vestito tutto di blu rise, ma purtroppo lui non contava.

Non sarebbe stato facile, almeno non all'inizio; farsi degli amici non era mai stato il suo forte, a scuola era sempre in disparte, così pure al campeggio estivo; questa volta, però, sarebbe stato diverso, ne aveva bisogno, otretutto il soggiorno sarebbe stato molto più lungo di quelli a cui era abituato e, stare tutto il tempo da solo, non lo avrebbe certo aiutato.

Aveva pensato di rompere il ghiaccio con una battuta, lo aveva visto fare in un film, ma ovviamente non funzionò, se non per attirare su di sè una serie di sguardi poco amichevoli; quelle facce gli dicevano che il giorno dopo avrebbe dovuto aspettarsi un bello scherzetto per quella frase, ma scelse di non pensarci.

Decise allora di guardare fuori, ma il paesaggio era monotono tanto quanto all'interno, pensò infatti che non ci fosse molta fantasia in tutte quelle tute arancioni; pensò anche che, fino al giorno prima, non credeva nemmeno che si usassero davvero nelle prigioni.

lunedì 9 maggio 2011

Nessuna fermata

Ci sono altre fermate prima della nostra? John non rispose al giovane ragazzo che stava sdraiato lì di fianco a lui in quel vagone vuoto e rumoroso preceduto da tonnellate di carbone e legna. Pochi istanti dopo il giovane parlò di nuovo: ci sono altre fermate prima della nostra?..nessuna risposta, alzò lo sguardo e quando vide che era rimasto solo sorrise e appoggiò di nuovo la testa sulla sua sacca.

John sapeva stare da solo, sapeva osservare, sapeva ogni giorno il momento in cui il sole sarebbe sorto e tramontato, sapeva cogliere gli odori, gli odori del tabacco, gli odori delle pannocchie, gli odori degli animali delle fattorie, John sapeva ascoltare, riconosceva il rumore dei martelli, il gorgoglio del ferro fuso, il ticchettio delle macchine da scrivere, lo scoppiettare delle marmitte.

John piaceva alla gente, i capelli lunghi e trasandati, le mani grandi e callose e quei piccoli occhi azzurri e infossati che non si chiudevano mai ma che rispecchiavano il suo animo semplice deciso e rispettoso.

John non aveva una casa in città, neppure una capanna, una tenda, le uniche cose che possedeva erano una coperta, una piccola pentolina di rame, un quadernino di carta gialla una matita e una piccola armonica.

Aveva sempre imparato ad arrangiarsi, non per necessità o scelta, ma per natura, sapeva come lavorare il legno, sapeva come tagliare la pietra, sapeva come sistemare un motore, sapeva come inchiodare a terra i binari di un treno, sapeva il modo migliore per cogliere il grano, sapeva scrivere, cantare e parlare diverse lingue.

John era innamorato, era innamorato della vita, era innamorato del movimento, passava giorni e giorni sui vagoni del treno a guardare i campi e poi le montagne, i laghi i fiumi, il deserto le città, poi con un balzo scendeva e iniziava così a mescolarsi nella molteplicità, imparava ad accogliere e ad accettare tutto ciò che la terra gli dava, era disposto a lavorare per qualche centesimo all’ ora in qualsiasi posto in qualsiasi modo con qualsiasi gente.

John conosceva molte persone, persone che l’ avevano aiutato, che l’ avevano giudicato, persone che si erano innamorate di lui, persone che comunque non lo vedranno mai più, John infatti aveva un'unica regola nella sua vita: non tornare mai nello stesso posto. Il suo quadernino giallo era soltanto una lista di nomi di luoghi e di persone con una x sopra, sapeva che la terra girava e che le stelle erano molte di più di quelle che il cielo ci mostra, non si sarebbe mai fermato.

Nessuno sapeva la vera età di John, nessuno sapeva dove era nato e nessuno sapeva da che posto era arrivato, era un atomo in movimento, una parte attiva della vita, non era un egoista e neppure un mendicante o un vagabondo, un drogato o un ubriacone, era soltanto un uomo senza tempo.

Era questo il modo in cui John ringraziava la vita, senza accorgersene quando scompariva nei vagoni dei treni merci, lasciava dietro di sè una speranza un sogno un desiderio un ricordo, un sorriso sul volto della gente.

Non sapeva contare e la sua forza e serenità stava proprio in questo, viveva di ciò che imparava, viveva al massimo ogni cosa che faceva, era un sognatore, si un sognatore ma del presente.