L'incipit della settimana

ELABORATO TESTUALE DI TOT PAROLE: "L'antico vaso andava salvato"
STRINGA AUDIOVISUALE DIGITALE PROVENIENTE DA QUALCHE SERVER: "Youtube"
RETTANGOL CARTPLASTIC CONN'IMMAGIN STAMPAT QUAS BEN:"Perdita di tempo"
Ctrl+c, Ctrl+v, STAMP-E-PORT-LE-FOGL:"Glutammati sto sodio"

lunedì 28 novembre 2011

Incostanza

"Premetto che sono stupido, ma ogni tanto qualche idea buona ce l'ho anche io. Ho comprato questo registratore vocale per tenere traccia di tutta la matassa imbrigliata dei miei pensieri, per non perderne nemmeno uno. Succede a tutti di avere illuminazioni cerebrali nei luoghi più impensati: in posta, al supermercato, al lavoro. Il tempo di cercare una penna ed il pensiero ti è già sfuggito, con la stessa modalità con la quale tenti di acchiappare una saponetta bagnata. Rimani lì così, con lo sguardo da ebete, testa rivolta verso l'alto senza riuscire a materializzare nulla. Intorno a te una grande frustrazione, perché se ti fossi appuntato QUELLA cosa, ti sarebbe cambiata la vita per sempre. Da oggi questo non mi accadrà più. Uscirò di casa con la fierezza di colui che della vita ha capito tutto. Mento in alto, folto baffo in fuori e la tasca dei pantaloni gonfia del mio amico elettronico che tutto si ricorderà.

Io non faccio poesia, non sono un'artista, sono un uomo della strada. Stupido si, ma con qualche idea di come funziona il mondo. Io osservo, osservo tutto. La donna col bambino che passa ogni mattina sotto casa mia, l'uomo che inforca gli occhiali prima di comprare il giornale. Li guardo ed immagino la sequenza di azioni che li hanno portati ad incrociare il mio sguardo. In metropolitana andando al lavoro poi il flusso di pensieri non si arresta mai. Guardo tutti, tento di capirli nell'attimo in cui salgono sulla carrozza. Il mio cervello è sovrastimolato. Arrivo in ufficio e via, altri stimoli. Non ho mai segnato nulla fino ad oggi. Da oggi segnerò tutto."

Audiocassetta numero uno, 27 novembre 1999

Riascoltando questa vecchia registrazione sorrido sempre, dopo quella volta non ho mai più usato quell'apparecchio. Premetto che sono stupido, ma ogni tanto qualche idea buona ce l'ho anche io. Oggi cambia tutto. Ho comprato questo computer per tenere traccia dei miei pensieri.

lunedì 21 novembre 2011

oh-uominidicoerenza

Uomini di coerenza,

puri d'anima e così poco mendaci,

dove fate cadere le briciole di pane,

e così i vostri utili lacci?

Le vostre tasche son piene di sicurezze gentili,

e io vigile vi osservo

accendere fuochi con pochi fiammiferi.

Le mie tonsille gonfie di muco

stringono pochi cocci di coerenza,

poco so della natura,

lei che è a voi che da la cura.

Eppure, voi uomini di seta,

a me insegnate che le stagioni,

cambiano i colori dell'albero,

ma non le sue radici.

Voi uomini di coerenza,

siete privi della polvere dei compromessi,

e avete la schiena dritta,

con le spalle drizzate,

e criniere dorate.

Uomini di coerenza,

nudi e fedeli, dove vi aggirate?

Se l'incontro con voi stordisce,

il peccato in me risale.

Uomini di coerenza,

mi dite, io dove devo andare?

Perché fuori

tutto luccica e di me non so che fare.

Se conto i passi avanti,

poi sento una spinta all'indietro,

e cosi mi muovo cinetica col pensiero,

in pochi centimetri di terreno.

Uomini di coerenza,

uscite, e saltate fuori.

Qui c'è una massa capovolta di colore,

che si aggredisce e poi s'ama,

così in continuazione.

Più il conto dell'oste arriva,

più il mondo alza il suo sipario,

e chi assieme a me rimane?

ditemelo uomini di coerenza!

Sussurrate i loro nomi

con flauti e poi ditemi parole.

Qui nel frattempo

io tra il miele

rimango in immersione.

lunedì 14 novembre 2011

Bordelli e conventi


C'è un edificio in città che funziona come un'esca, luccicante ed ipnotica, proprio al centro del quartiere borghese. Gli abitanti del quartiere, uomini e donne distinti, conoscono perfettamente il contenuto di quel degradato e cadente edificio. Gli uomini di una certa età accompagnati da altrettanto vetuste signore impellicciate, ogni tanto si girano a guardarlo con ammirazione, poi fermate subito dalle schifate consorti che dicono: “È una vergogna, proprio in mezzo a questo rispettabile passeggio!” ricevendo una triste scossa di capo da parte dei mariti. Alcuni di loro ci erano pure entrati, per cercare ristoro e felicità quando il loro corpo ancora glielo permetteva.

All'ingresso una signora, cadente quanto l'edificio, consigliava le specialità di giornata: giovani, vecchie, secche, maggiorate, tutto con un dettagliatissimo prezzario basato su qualità e tempo. La signora ovviamente aveva già fatto gavetta nel settore, e per molti anni aveva esercitato anch'essa alle dipendenze di una matrona. Sulle gambe accavallate, coperte da una gonna con lo spacco, era visibile la cellulite che negli anni aveva reso la sua pelle insostenibile alla vista.

Le ragazze, lavoratrici di quel luogo, erano generalmente vestite con la biancheria intima di pizzo nero bene in vista, una canottiera bianca attillata e una gonna aperta sul retro ad evidenziarne le rotonde e perfette forme. Per essere lì avevano dovuto passare una selezione medica ed estetica, ed il loro compenso finale era definito indiscutibilmente da un calcolo precisissimo che la matrona effettuava tramite un sistema di punteggi che affibbiava ad ogni qualità.

Quel giorno un avvenimento aveva scosso la pace di quel mondo dove la facile attesa di guadagno aveva preso posto sulla virtù. Monica, la preferita della casa, poiché non aveva mai fatto sgarri alle “sorelle”, era sparita. La mancanza di clienti aveva portato tutte le ragazze intorno allo stesso tavolo a discuterne.

Benedetta, la più piccola del gruppo, era lì da qualche mese. La sua storia era molto particolare: orfana in un convento di suore era scappata all'età di sedici anni per unirsi alle altre ragazze per mancanza di vocazione. Molto ambita fra i più anziani, era una vera chicca della casa. Disse:

“Hai capito quella Monica?! Secondo me si è data alla libera professione!”

“Impossibile, non tradirebbe mai le altre sorelle! Ma tu cosa ne sai? Sei appena arrivata fra di noi! Monica ha di certo avuto qualche problema! Sono sicura! Dovremmo andare a cercarla!”

Le altre, riunite al tavolo, iniziarono ad agitarsi alzando notevolmente la voce tanto da far sopraggiungere la matrona che disse: “State tranquille, ogni tanto è normale che qualcuna lasci questo lavoro... perché ha trovato un brav'uomo. Ve lo assicuro, io ne ho viste tante! La maggior parte di loro non riescono a salutare le colleghe, perché pensano che andarsene sia un tradimento.”

In quel momento, sentirono i passi di una persona avvicinarsi alla porta. La matrona fece un cenno della mano alle ragazze di disporsi sulla solita fila, e tornò a sedersi sull'uscio. Monica entrò spalancando la porta, tutta vestita di nero, col capo coperto. Questo abbigliamento suscitò l'ilarità delle ragazze.

Lei disse: “Sorelle, ho avuto la chiamata. Lascio questo posto di perdizione. La mia vita inizia ora!”

Benedetta alzò lo sguardo e disse, sorridendo: “Ti sbagli, mia cara, la tua vita è appena finita”

giovedì 10 novembre 2011

I fari nella notte


Un lampo di luce andò a rischiarare la notte levando lo sguardo dell'assopito uomo in barca. Il suo viso, seppur giovane, era segnato dalla noia che l'aveva colpito nella notte. Quella luce aveva evidenziato tutti i suoi tratti, e quelli della sua barca, che nella notte poteva parere nuova: i bulloni arrugginiti che saldi tenevano le assi scolorite di quell'imbarcazione e le piccole falle che impercettibilmente filtravano acqua. In un attimo, gli era chiara la destinazione e come arrivarci. Raccolse faticosamente i remi malconci, ne appoggiò la pala in acqua iniziando a muoversi. Inizialmente la fatica lo fece demordere, arreso all'eventualità di fermarsi e ricominciare l'estenuante attesa del giorno. Poi, più si avvicinava a riva, più la luce diventava forte. Altre luci si accesero nel frattempo, da una, due, quattro, dieci. Più la notte si faceva chiara grazie alle guide luminose, più notava che non era l'unico a remare, ed altri come lui stavano seguendo la stessa luce. Il suo animo da cupo si fece chiaro, luminoso come i fari che ormai lo avevano illuminato completamente. Girò lo sguardo verso il mare aperto, buio, non ricordando più il punto dal quale era partito. Fece una sorriso.

Una volta giunto a terra, poggiò delicatamente i remi e si inginocchiò baciando la sabbia bagnata. Sapeva perfettamente che quello non era un punto di arrivo, infatti si alzò, rimboccò le maniche ed accese un faro, per guidare gli altri barcaioli persi fra le tenebre della notte.

Ecco, per me l'Atelier è, ed è stato, come il faro che guidò l'uomo a riva e rimise ordine nella sua vita.

mercoledì 9 novembre 2011

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L'atelier è un piccolo mondo, dentro c'è tutto, le cose belle e le cose brutte. La sua caratteristica è questa, è vero. Non è un posto dove si sorride per finta, è un posto dove ci si aiuta, si parla, ci si diverte, si crea, si distrugge, si litiga e si sbaglia. L'unica differenza col mondo "di fuori" è che si superano insieme le cose brutte, gustando di più quelle belle. Quindi è meglio di un piccolo mondo, è il mondo come vorremmo che fosse.
Per me è come una piccola stanza con un caminetto sempre acceso, le fiamme danzano e la legna crepita, il calore si diffonde dappertutto, insieme con una luce tremolante, che illumina tutto.

Qui non si sente altro che il caldo buono, sto con le quattro capriole di fumo del focolare.

è solo un pezzo ma rende.

lunedì 7 novembre 2011

N.B. Ogni riferimento a “Non chiederci la parola” di Montale e puramente voluto, e nel ringraziarlo per l'ispirazione e il tacito prestito, vi presento la mia immagine personale del nostro (specialissimo) animo informe. Forse non diventeremo mai grandi scrittori e nessuno ci chiederà mai di dare la formula per aprire chissà quale mondo, ma io credo e spero che il nostro sia pur sempre un bellissimo inizio...

Mani che tremano nel tenere in piedi un foglio,
capelli lisci che diventano ricci stretti tra le dita nervose del narratore,
occhi rapidi e furtivi che si staccano per un secondo dalle righe stampate, per rubare un espressione nel momento più importante della tua storia.

Mani che iniziano a battere all'unisono dopo un lunghissimo secondo di silenzio,
e la gola che si secca nell'attesa del primo commento.
Sorrisi, sopracciglia aggrottate, sguardi di intesa e scuotimenti di testa. Domande, pensieri, dubbi e desideri.
Commenti sulle parole, sulle pause e sulle incongruenze, e in quel preciso momento ecco che nasce l'idea per la prossima volta.

Silenzi, risate, scherzi e ancora silenzi.
Rumore di tazze portate da casa,
gambe incrociate per terra e braccia strette intorno ad un cuscino.
Sguardi nudi o nascosti dal vetro che osservano il movimento della stessa luce,
mentre immagini intrecciate scorrono veloci rincorrendo (più o meno) la stessa frase.

Tradizioni che nascono e novità che ti sorprendono,
Cene di addio e trasferte in montagna,
aperitivi di benvenuto e cene di ben tornato,
parole, parole e ancora parole,
sussurrate, urlate, narrate e perché no, a volte pure cantate.

Foto scattate e foto osservate,
ricordi, pensieri e immagini nuove,
da riosservare e raccontare il giorno in cui sarai lontano.
Foto in bianco e nero, foto a più colori o più semplicemente seppia.
Foto piccole, grandi o formato tessera,
foto attaccate su un muro dell'ingresso per mostrarti con tenero imbarazzo, ciò che noi siamo, ciò che noi vogliamo.

A.

A Marina, donna e madre

A- B! senti questa, guarda cos’ho trovato!

- MANIFESTO DELL’INFATTIBILE

· Ogni giovane, l’essere umano in generale, sente la frenesia di trovare qualcosa o qualcuno

per cui vivere e spendere le proprie energie. Spesso ci si trova oppressi dalla sensazione

del tempo che passa inesorabile e veloce, che sfugge di mano e dà una sensazione di

annientamento e impotenza.

· Dobbiamo purificare la nostra mente da ciò che è convenzionale e superficiale, che non ci

appartiene o che ci è imposto. Dobbiamo abbandonare i pregiudizi, i luoghi comuni, i

preconcetti e formare una nostra visione originale/critica del mondo.

· Contro le regole perpetue di un mondo che si prefigge di conservare uno stato quo privo di

scopi e ideali, i cui fini sembrano essere prettamente economici e utilitaristici. Deve

essere un’azione rivendicativa dello spirito giovanile contro un ordine che si rivela

incapace di alimentare le energie migliori dell’individuo, di incanalare le sue

potenzialità creative.

· Creare uno spazio in cui esprimere la nostra insopprimibile diversità – ognuno è diverso da ognuno-.

· Siamo in preda di una propaganda commerciale ripetuta a tambur battente su tutti i muri e

gli schermi ad opera di chi intravede in noi un potenziale consumatore di nuovi prodotti.

Preda di chi vuole ottenere un facile controllo mistificando per trasgressione ciò che

altro non è se non una nuova forma di conformismo.

· Luogo comune è pensare che i giovani siano liberi e quindi siano privi di complessi,

siano disinibiti, siano felici della vita. In realtà la libertà a noi concessa è falsa e

soprattutto concessa dall’alto e non conquistata dal basso. Poiché viviamo in una

società repressiva che sporca e corrode tutto, sfruttando anche le più pure delle arti

per laidi scopi. Le società repressive permettono qualcosa e si può fare solo quel

qualcosa.

· Contro la tristezza di una vita e una città definita e ferma. Ci sembra di stare in un

luogo piccolo e stagnante, incredibilmente compiaciuto del molto poco che ha da offrire a

se stesso.

· Contro il nostro immobilismo. E’ facile stare lì defilati dietro una porta a dare giudizi

sul mondo e sentirsi più nobili e puri e coerenti di chiunque altro. Bisogna esporsi e

rischiare.

· Contro ipocrisia e ambiguità.

· Bisogna riscoprirci curiosi appassionati, credere in qualcosa di nostro, fare qualcosa di

nostro e non limitarci a scegliere tra le opzioni che ci vengono sbattute in faccia.

· L’Italia ci sembra un paese volgare e avido e sgangherato, un imbecille ambiguo ed

esibizionista di paese, che invece di provare a migliorarsi sviluppa le sue attitudini più

superficiali e meschine ogni volta che ne ha occasione.

· Non si vuole creare nulla di nuovo o ‘alternativo’; si vuole semplicemente fare qualcosa

che sia veramente nostro, conquistato da noi e non adeguarci o vestire una delle divise

offerte da qualcun‘altro.

· Vogliamo semplicemente dare forma a quella energia, a quel potenziale, a quella creatività

che ogni giovane ha e che questo tipo di mondo non riesce ad ascoltare. Un potenziale

spesso annegato, bruciato in cose meramente futili e superficiali che la società spaccia

per modelli di successo con i suoi messaggi più viscidi e corrotti.

· Spesso questa situazione di inespressività invece di farci venire voglia di muoverci ci

invischia in una colla di dispiacere e noia e mancanza di ragione fino a renderci del tutto

inerti, facendo puro vittimismo senza dire e fare niente, semplicemente subire e ingozzarsi

fino al vomito per poi rimane immobili fino alla prossima ’evasione’. Dobbiamo recuperare

i segnali puri e semplici che ci lancia il mondo e la sua natura.

· Siamo vittime di un genere di autodistruzione di massa: uno spreco immane di qualità

mascherato dietro ad un velo dorato di finto benessere. Dobbiamo ribellarci.

· Ci sembra di essere dentro un meccanismo completamente assistito in cui da un certo punto

in poi ci si trova su una strada e non si ha più la possibilità di mettere in discussione

il percorso, ma si può solo valutare le opzioni che ci vengono proposte. Dobbiamo

prenderci le nostre scelte, il nostro tempo, i nostri spazi; se non lo facciamo qualcuno è

felicissimo di farlo al posto nostro.

· Vogliamo dire stop. Calma. Fermiamoci un attimo. Siamo imbottiti di questa ideologia del

movimento continuo verso il nulla che ci sfinisce abbastanza da dare l’idea di essere

davvero impegnati in qualcosa. Quello che ci rimane da fare è autodistruggerci al venerdì

e al sabato sera: unica evasione che ci offrono al posto di coltivare le nostre passioni.

E’ più semplice, facile e soprattutto vantaggiosa in termini economici e di controllo.

Dobbiamo trovare entusiasmo per ciò che è bello per noi.

· Dicono che il futuro è nostro. Noi diciamo che dobbiamo prenderci prima il presente.

· Diamo voce al nostro io: usciamo, moriamo per questo.

· Questa è un messaggio e una richiesta di aiuto a tutti quelli che non si accontentano

delle spiegazioni tranquillizzanti, a chi è mosso dall’inquietudine di vivere, a chi è

scettico nei confronti dei ‘paradisi’ offerti, a colui che rifugge la mediocrità, a

ragazzi e ragazze donne e uomini che cercano risposte non convenzionali,a chi è alla

ricerca della pienezza della vita. Per comprendere noi stessi.

· Non vogliamo appiccicarci addosso una bandiera o un simbolo che sia nero o rosso o bianco o

verde. Rifiutiamo ogni tipo di divisa. Se dobbiamo essere giudicati vogliamo essere

giudicati per quello che siamo e diciamo e non per quello che ’sembriamo’.

· Vogliamo creare uno spazio nostro, dove ognuno possa avere la possibilità di manifestare

le sue attitudini e la sua creatività senza disinibizione.

· Cultura, arte, informazione. (cineforum con film in lingua originale - tema mensile -,

esposizioni -pittura, fotografia,.. -, letture musicate, cene, musica, teatro, gite..)

· Rimpadronirci della comunicazione anche sfruttando il potenziale che la tecnologia offre.

· Dobbiamo essere bambini responsabili e non adulti immaturi e mediocri.

· Guardare senza paura la diversità affinché questa possa essere un motivo di ricchezza

collettiva e crescita personale. (differenza classe sociale, ragazzi diversamente abili,

immigrati).

· Siamo aperti a qualsiasi tipo di iniziativa e proposta.

· Bisogna recuperare il significato vero delle parole e delle emozioni. Troppe belle parole

sono sprecate e buttate via. -

Rido. Decisamente rido. Rido nel rileggere questo manifesto: il manifesto dell’infattibile, scritto da me medesimo quasi tre inverni fa (febbraio 2009), quando l’atelier era solo un garage, quando il noi che anticipa ogni imperativo era un noi che non aveva volti.

Ti prego: ridi anche te, perché alcune frasi non si possono proprio leggere! Dai! perdonami l’irruenza ribelle tardo adolescenziale viziata da palesi letture di marchio filo lana rossa.

Rido, però, anche perché alcuni punti, evidentemente i più personali, dell’Infattibile : non solo sono diventati non-infattibili, ma anzi si sono incarnati e manifestati a suon di concretezza.

B- Effettivamente..due risate che odorano di radical - anacronismo me le sono fatte mentre leggevi. Ma insomma ci sta..ggiovine tu eri. E appena svegliato! Ma poi? Scusa..vai avanti con la storia..che è successo? L’eventualità?

A- Ma nulla di che. La predisposizione diventa incontro e l’insofferenza virtù. Un girasole soffia su di te e apre le tue porte. Danza dentro di te. Inizi a sentire la musica..eccola..non la senti? Si che la senti anche tu! Ti volti e altre figure, belle, alte, longilinee stanno danzando al tuo lato. Altre sono lì sedute, irresistibilmente seducenti anche loro, aspettano solo l’invito alla danza.

B- Mi stai parlando di appartenenza? Di questo mi stai parlando? D’appartenenza?

A-Si! Esatto B! d’appartenenza. Sai è difficile ballare senza cuffie, fare balli di gruppo, quelli seri però. Almeno per me lo era. Sfiduciato, grigio e senza dio. Poi il culo di trovare una funicolare di idee, la catalizzazione fisica dei corpi, l’atelier, B! L’atelier! l’appartenenza credo che sia prima di tutto tattile, la voglia di dipingere, di modificare il luogo. E’ una sensazione riempitiva, qualcuno diceva. Il luogo è identificazione, c’è poco da fa.

Una volta ho studiato i liquidi: i liquidi non hanno forma, prendono quella del recipiente nel quale si trovano: che dici di questa B? Quindi noi siamo dei liquidi (sai B, ora posso parlare di noi con il giusto nesso logico, è un noi che ha nome e cognome), esistiamo chiaramente aldilà di una capienza, ci muoviamo, ci infiliamo, occupiamo gli spazi, i vuoti. Il liquido generico segue semplicemente l’inclinazione del piano. Ma sai B, se tu trovi uno spazio che proclama la tua non parcellizzazione, che t’abbraccia senza comprimere le tue cellule, e lì dentro non rimani trasparente, ti mescoli agl’altri liquidi, diventi giallo, blu, rosso, acquisti le sfumature del protagonismo, B! è pazzesca questa cosa! Fidati!

B- Mi fido. Mi fido.

A-Sai B. Poi c’è da dire che la costituzione della spontaneità è difficile da gestire. La coerenza della spontaneità me la sai definire? Che è la coerenza?

B- La coerenza?

A- si la coerenza! Che è? Il seguito della spontaneità? Il non rinunciare ad essa? O il mantenimento fedele ad una linea? Quale linea poi? La linea della necessità di comunicazione, di autodeterminazione nel nostro tempo, nel nostro spazio? Di certo, cosa che è capitata, è quella di riempire le pareti, di dipingerle, di crederle di nostra unica proprietà, quando invece sono pareti condivise, contenitive e non formative. Questo si, se si vuole in questo caso la liquida spontaneità, che si badi non vuol dire imbecillità o totale assenza di considerazioni, deve sempre aver la nozione di ciò che va ad occupare, di ciò che è possibile dipingere e non di andare oltre la tela, di non colorare ciò che è restio alla tinta.

B- Insomma tu mi stai tirando un pippone pazzesco per dirmi che la coerenza non può appartenere ad un essere informe, ma che questa sia, se non dettata, almeno proposta dai principi contenitivi dell’informità?

A- Più o meno può essere semplificato così. Detta così però sembra che i liquidi siano esenti da qualsiasi tipo di legge interna che regoli il loro stato, meccanico e spirituale. In realtà ogni realtà fluida ambisce al suo equilibrio e dentro di essa prima di tutto si autodetermina. I processi variano, s’inseguono, cadono e si ricostituiscono, magari ponendo parti solide all’interno di essi. Solide ma non statiche. Ed è così caro B. !

B- Capisco..sai è proprio bello quello che state facendo: mi piace perché vi muovete nel campo dell’umanità e del necessità incessante di comunicazione, tra l’essere stesso e tra gl’esseri stessi e la società. Come l’uomo delle caverne che segnava le rocce. Come mio fratello, di 6 anni, che scribacchia sui tavoli di scuola.

A- Già. Umanità B. Umanità..qual scopo primitivo e ultimo! Che mi dici di questa B? Che mi dici?

B-..A..scusami. Ma non ce la faccio più. Mi serve un po’ de aria.

A- Lo so. Scusami te. Sono pesante! Ma da qualcuno pur ho imparato ad esserlo!