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lunedì 3 dicembre 2012

Bip! [albideroga]

Bip! Un cellulare brandito come telecomando televisivo, a fingere di regolare contrasto, saturazione e fuoco, e un'ombra dai contorni indistinti sull'asfalto del cortile della scuola, nel sole del primo mattino, il cui proprietario è il destinatario della pretesa regolazione. Uno scherzo ormai frusto, ma sempre buono a suscitare ilarità nei bambini che lo praticano.

Bip! L'elettrocardiografo bippetta inconsapevole. E' un maschio!, il cuore è a posto signora, il suo bambino sembra del tutto sano, lo so, vediamo anche noi quel che vede lei, ma diamogli tempo, forse è solo un disturbo passeggero, il cordone ombelicale era perfettamente visibile, certo, è strano.

Bip! La sveglia sveglia il piccolo G., mamma e papà lo aspettano giù in soggiorno. Ormai va in prima, bisognerà cominciare a spiegargli che non è come tutti gli altri.

La società di oggi è tollerante, aperta a qualsiasi istanza o diversità; siamo un paese fortunato, "discriminazione" è una parola che sta sparendo dal lessico comune. Tuttavia.
G. è in quarta elementare, e sopporta  quotidianamente le peggio angherie. Nessuno dei suoi compagni, interrogato in merito, saprebbe fornire un valido motivo di tanto accanimento. Nessuno dei suoi compagni è stato interrogato in merito, ma il ruolo del narratore permette di sorvolare su questi dettagli. Figli di ghanesi, di cingalesi, di assicuratori, di leghisti, di figuranti di forum, di prete spretato e suora mancata, di madre depressa e padre ignoto, figli di figli dei fiori; alla varietà della classe di G. non manca nemmeno un nerd degli scacchi, che ha dodici tic facciali diversi dimostrati, parla solo da solo e la cui attuale passione è l'estensione del concetto di scacchiera a spazi con più di due  dimensioni; nonché l'efebico figlio adottivo di una coppia eterosessuale che è sempre stata eterosessuale, fin da quando i genitori si conobbero nella stessa clinica specializzata in cambi di sesso, entrambi in attesa che la chirurgia sopperisse a quello che la natura aveva loro negato; nè il nerd, nè l'efebico, che pure, se non per esperienza diretta in questa splendida società di uguali, quantomeno per vocazione ancestrale qualcosa da dire riguardo l'essere diverso potrebbero averlo; ma i bambini sono candidi, e il candore in controluce è crudeltà; neppure loro trovano da eccepire nel trattamento riservato al nostro G, la cui descrizione verrà per senso del pudore prontamente omessa.

Il problema di G., o forse il problema del mondo nei confronti di G. è che G. è sfocato.
Avete presente una foto sfocata?, o le ombre che popolano i bagni casalinghi dietro quei vetri zigrinati?, o un sogno appena interrotto i cui contorni stanno già scomparendo dalla memoria? Ecco, così. Sfocato. Nessuno è mai riuscito a vederlo bene, con le sue esili sopracciglia brufoli peli forfora lentiggini nei imperfezioni varie. E' un'immagine sfuggente, una meteora su retine impreparate, un rompicapo per la scienza, un trafiletto per i giornaletti da ascensore.

La sua stretta di mano è strana. Si direbbe viscida, ma la sua mano non è sudata: un fisiologo che lo visitò, a corto di tecnicismi, la definì come un "brancolare nella nebbia".
Il suo primo pianto di dolore, quando, nella sua culla sereno, l'ostetrica gli piazzò sopra un'altro neonato, perché "non si era avveduta che c'era già qualcuno".
G. è malvisto da tutti, e scusate il bisticcio di parole. Su di lui si raccontano storie, si riesumano leggende, si millantano malocchi, si invocano esorcismi.
G. non è mai riuscito a descrivere che cosa egli veda nello specchio di fronte a sè.
G. elabora teorie su di sè, le valuta, le falsifica.
G. è costretto a maturare anzitempo, a costruirsi corazze psicologiche, a fare buon viso a cattivo gioco, a diventare saggio.
"Il problema " - confessa una volta all'amico immaginario del venerdì che si è inventato per poter conversare con qualcuno, ma non tutti i giorni per non abituarsi troppo bene - "Il problema non è mio: come la bellezza sta negli occhi di chi guarda, così è evidentemente il resto del mondo, non io, che ha un problema alla vista; dovrebbero curarsi gli altri, non soffrire io." L'amico del venerdì annuisce, ma l'angolo assunto dall'angolo della bocca tradisce la sua menzogna a fin di bene.

G. crede che la soluzione stia nel respiro - lui che ha sempre avuto un respiro un po' affannoso e irregolare - deve respirare come gli altri. Cerca di sincronizzare il suo respiro con quello del suo compagno di banco, che stima di nascosto; assume un'espressione assente, si concentra e si astrae, ma non gli riesce, è sempre in anticipo per l'ansia di essere in ritardo. Guarda il compagno, si sintonizza su di lui con gli occhi e con gli orecchi; ne cronometra i moti toracici, ne indaga le variazioni del ritmo, crede di aver trovato una regola. G. riprende di nascosto i suoi tentativi grazie alla telecamera del cellulare. Sullo schermo, una macchia indistinta e il compagno. Per capire dal filmato quando lui stesso respira, G. alza e abbassa una matita rossa. Cerca di farlo con disinvoltura, il compagno lo nota ma non se ne cura. Ieri la sincronia è stata raggiunta con un margine d'errore dello 0,2% per quasi tre minuti, ma non è successo nulla.

G. ha un'altra teoria, se riuscirà a fotografarsi nell'istante preciso in cui il primo raggio di sole tocca il suo viso in un giorno di luna crescente, il problema di vista del resto del mondo sparirà. Ogni mattina, prima dell'alba G. si apposta sopra la collina nella speranza di prendere il primo raggio. Nemmeno oggi c'è riuscito, ma il suo cuore ha avuto un sussulto nel vedersi avvicinare da una bambina sfocata come lui. Non si è ancora accorto che l'aria pungente lo aveva fatto lacrimare.