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martedì 26 aprile 2011

Claustrofobia

Fecero la pessima scelta di trovarsi nel bosco a notte fonda per trovare l'ispirazione necessaria a scrivere la loro storia. Avevano trovato un posto proprio sopra la loro città, in montagna. Poco distante vi era un piccolo cimitero nel quale un centinaio di lapidi uscivano dalla fredda terra. Accesero un fuoco e si sedettero, con il portatile sulle gambe pronti a scrivere. Quel posto era perfetto per scrivere una storia terrificante, il buio li attanagliava e un vicino torrente rumoreggiava, suggestionandoli. Iniziarono però a sentirsi molto spaventati solo quando, nel silenzio assoluto della natura, una voce umana iniziò a riecheggiare per la valle. Inizialmente pensarono fosse il vento che soffiava fra le fronde degli alberi, poi il verso di qualche strano animale, infine capirono. Quella voce diceva “aiuto”. Si alzarono di scatto, presero le torce elettriche ed iniziarono a seguire quella voce. Portava direttamente al cimitero.

Si era svegliato in un piccola scatola buia che lo conteneva completamente, l'aria iniziava a mancargli e stringeva fra le mani una targa dorata con il suo nome inciso, John. I suoi recenti problemi di salute l'avevano portato ad essere ricoverato per più di un mese in una clinica, in preda a numerosi infarti. Quando capì che cosa fosse successo ebbe un crampo al cuore, quella situazione è la peggiore nella quale ogni uomo si possa mai trovare nella sua vita: una prematura sepoltura. Iniziò fortemente ad agitarsi e a dimenarsi. Purtroppo però capì subito che la bara si trovava due metri sottoterra. Prese la targhetta che stringeva fra le mani, ed iniziò a sfregarla sulle pareti di quella sua ultima dimora mortale. Le forze lo stavano per abbandonare quando, con gli ultimi attimi di respiro possibili iniziò a gridare un verso di aiuto disperato mentre ormai tentava di scavare la bara di legno massello con le unghie.

I ragazzi, con la torcia in mano, erano arrivati ormai al cimitero cercando di capire dove quella voce li portasse. Erano riusciti ad identificare che proveniva da sotto la terra, dove una lapide semi anonima portava inciso “John”. Uno di loro disse “Un badile, presto!”. Quella voce li terrorizzava a tal punto che alcuni di loro erano bloccati, fermi a fissare nel vuoto. Scavarono velocemente, con tutte le forze che avevano, alcuni con i badili di fortuna altri addirittura con le mani e più si avvicinavano e più la voce diventava forte. Arrivati a vedere la bara, presero un piccolo piccone ed iniziarono a romperla. La voce ora era fortissima. Quando riuscirono ad aprirla e vederne il contenuto rimasero agghiacciati. All'interno trovarono uno scheletro ormai completamente decomposto che reggeva fra le mani una targa dorata.

“John Doe. Verona, 24 aprile 1851.”

Le torce in quel momento si ruppero e loro non tornarono mai più da quella montagna.

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