L'incipit della settimana

ELABORATO TESTUALE DI TOT PAROLE: "L'antico vaso andava salvato"
STRINGA AUDIOVISUALE DIGITALE PROVENIENTE DA QUALCHE SERVER: "Youtube"
RETTANGOL CARTPLASTIC CONN'IMMAGIN STAMPAT QUAS BEN:"Perdita di tempo"
Ctrl+c, Ctrl+v, STAMP-E-PORT-LE-FOGL:"Glutammati sto sodio"

lunedì 26 marzo 2012

Il tacchino induttivista

“Sono di nuovo le nove… Non posso proprio esserne sicuro ma adesso ci porteranno da mangiare!”.
Dal fondo della fattoria si avvicinava la moglie del fattore. Donna particolarmente pienotta e con un vestito molto vaporoso di colore azzurro. Sopra un grembiule bianco dalle quali tasche fuoriuscivano erbe da campo.
“Eccola, sta arrivando! L’avevo detto! Nove in punto! La campana ha smesso di fare il suo nono rintocco!” – poi sottovoce si disse: “ Va bene, calma le arie stupido di un tacchino. La signora viene tutti i giorni alle nove, da una settimana, e dalle sue mani gonfie viene lanciato dell’ottimo mangime.”
Il tacchino si appoggiò un’ala sotto al mento, becco all’aria, pensieroso. Cominciò a girare avanti ed indietro per l’aia, sgranocchiando di tanto in tanto qualche seme colto dal terreno.
“Quando potrò sapere che la signora segue sempre questa fantastica regola? Quando potrò prevedere con precisione l’attimo in cui la vedrò sbucare dalla casa padronale con il suo secchio di spettacolari leccornie?”
“Mai caro mio, mai!”
disse Bertrand, un tacchino spuntato fuori dalla casetta in legno. Aveva un paio di folti baffi, era un giovane brillante che quando parlava ci sapeva dannatamente fare con le parole. Quella volta invece destò subito sdegno nel volto dell’altro giovane induttivista.
“Guarda caro che io sono qua da molto più tempo di te sai e non mi frega nessuno! Io tutti i giorni vedo la signora arrivare, ogni giorno allo scoccare della nona ora! Se prima poco ci mancava all’essere convinto ora lo sono proprio! Posso prevedere con assoluta certezza che domani la signora arriverà alle nove!”
Il silenzio calò nel pollaio. Chi aveva osato sfidare il giovane Bertrand, che con la sua arte oratoria tutti deliziava di colti ragionamenti! Il gruppo si radunò intorno ai due, gli allibratori aspettavano silenziosamente le parole di Bertrand per poi piazzare le quote per il vincitore.
“Guarda, potresti anche avere ragione, io però non mi fiderei più di tanto…” – disse allontanandosi.
Il gruppo di tacchini sopraggiunti si disperse, tornando al loro beccare e chiacchierare. L’induttivista spavaldo invece si pavoneggiava, scuoteva in alto il suo becco con aria di vittoria. Iniziò subito a fare caso al tempo che scorreva, lentamente, aspettando solo di poter dire: “te l’avevo detto!”

La notte passò serena per tutti a parte che per Bertrand che si rigirava nel letto. Che interesse poteva averne quella brutta signora della nostra pancia da riempire?

Mancava poco ormai alla nona ora, e tutti i tacchini si misero a guardare nella direzione della casa seguendo il consiglio del buon calcolatore. Allo scoccare della campana la porta della casa si aprì e la signora iniziò ad avvicinarsi al pollaio. Bertrand se ne stava in disparte, quando ad un certo punto guardò bene colei che piano si avvicinava.
“Ehi, ma dov’è il nostro cibo?”
Tutti iniziarono a guardarsi intontiti. Che Bertrand avesse avuto ragione anche questa volta? La signora nel mentre era entrata nel recinto scrutando per bene tutti i tacchini. Pian piano si avvicinò a Bertrand e lo afferrò alzandolo ad un metro e mezzo da terra. Da quella prospettiva poteva vedere tutto. Poteva guardare il rosso tetto della casa, il bianco muretto di confine, l’altalena nel giardino e quella scritta sull’uscio di casa: “Buon Natale”.

lunedì 19 marzo 2012

precauzioni

"ADVcompany, buongiorno."

"Buongiorno a lei, qui è il Vaticano."

"Senta,mi scusi, non ho tempo da perdere. O fa il serio,sennò metto giu."

"Sia seria lei! Io sono il Papa ed ho un urgente bisogno di una campagna pubblicitaria e voi siete o non siete un'agenzia?"

"Si lo siamo, ma come faccio a sapere che lei è davvero il Papa? Può essere un imbecille qualsiasi che lo imita"

"Senta, se vuole le posso recitare il Magnificat o spiagare il Catechismo. Mi passi il direttore creativo."

"Un momento."

La centralinista mise in attesa la telefonata e chiamò il direttore creativo all'interno.

"Rick,ho uno in attesa che dice di essere il Papa e vuole parlarti. Che faccio?"

"Passamelo. Oggi mi sto davvero rompendo i coglioni, almeno mi farò quattro risate con questo simpaticone."

"Ok,capo!"


Kate, così si chiamava la ragazza, continuò il suo lavoro come ogni giorno tra le scartoffie da ordinare e gli appuntamenti da prendere fino alle sei .. e come sempre prima di andare passò dall'ufficio del direttore a vedere se c'erano delle novità. Entrò, al solito senza bussare, e trovò Rick immerso tra i fogli pieni di schizzi e carico d'euforia.

"Oddio, che ti succede?" gli chiese lei.

"Non puoi capire. Non puoi capire. Abbiamo risolto tutti i nostri problemi. Se questa va in porto abbiamo lavoro almeno per i prossimi 2000 anni! Quello di prima era DAVVERO il Papa! Vogliono un prospetto per una campagna su un loro tema. Ma ti rendi conto? Ho ricevuto il brief direttamente dal Papa!"

"oh,Porcaputtana! E adesso?"

"Intanto evita questo linguaggio .. siamo l'agenzia del Clero!" e scoppiò in una risata fragorosa ed isterica.

"Senti,Rick, io vado a casa tanto qui non ti servo. Quando ci vediamo con sua santità?"

"Domattina."

"Cosa? E io come faccio a sistemare l'agenzia? E soprattutto, come fai tui senza il tuo copy?"

"Senti, Kate. Mi arrangerò.. è un'occasione che non possiamo perdere. Adesso vai e lasciami concentrare che alle alle dieci di domattina arriva la delegazione dal Vaticano."

Kate se ne andò e lo lasciò alla sua isterica euforia. Ma nessuno dei due dormì quella notte.

La mattina dopo Kate alle 7 era già in ufficio: lavò i pavimenti, sistemò tutto ed ordinò la sala riunioni .. che di lì a poche ore sarebbe stato il"campo di battaglia" in cui combattere la crociata. Finita la sessione di pulizie, provò ad aprire la porta dell'ufficio di Rick per dare un spolveratina, ma la trovò chiusa. Temeva che quel cretino avesse lavorato tutta la notte e si fosse addormentato li dentro il che avrebbe significato un direttore creativo impresentabile. E invece dopo dopo arrivò con il pc sotto il braccio ed in mano una cartellina piena cartoncini sui quali era spiegato lo storyboard.

"Ciao Kate. Io vado in ufficio a ripassare.. tu sistema tutto poi quando arrivano stacca il centralino e vieni in sala riunioni con me. Devi essere la mia assistente, dato che il nostro copy è in ferie e io mi sono fatto tutto da solo."

"Bene,Rick .. come vuoi."

Passarono le ore senza che se ne accorgessero ed alle 9.55 precise suonò il campanello dell'agenzia. Kate andò ad aprire con una naturalezza mal dissimulata e fece accomodare Papa, Vicepapa e guardie del corpo in sala riunioni, dove Rick li stava già aspettando. Lei staccò il centralino e si infilò in sala.

Rick stava illustrando alle loro Santità lo storyboard dello spot che gli avevano commissionato. "Cazzo - penso lei- Rick è proprio un genio quando ci si mette ..". Lo spot che Rick aveva inventato e stava raccontando non aveva parole ma comunicava benissimo con le immagini il messaggio che il clero voleva comunicare: la castità prematrimoniale.

Ora mancava solo il claim finale, la frase ad effetto, la chiusura di quello spot così perfetto.. Rick non poteva sbagliare. Kate sapeva però che lui non etra un copy, non era esattemente un maestro con le parole quindi incrociò strattissimamente le dita perchè Rick stava arrivando alla fine della sua presentazione.

"Ed ecco a voi, Santità- stava dicendo Rick proprio in quel momento- lo spot si chiude poi con l'ultimo fotogramma: sfondo nero ed il claim:

"Anche prendendo le dovute precauzioni, un rischio c'è sempre. Scegli la strada della castità."

Il Papa rimase in silenzio ed annuì. Gli era piaciuto. Quando se ne andarono i prelati Kate e Rick si abbracciarono. Lei si complimentò con lui ma non potè fare a meno di chiedergli: "Ma da dove cazzo hai tirato fuori una claim del genere!?"

Lui le rispose: "Beh,era una vecchia idea per una campagna .. che quelli della Durex mi avevano bocciato!"

Primo raccontino

“Non c’è nulla da temere dall’ignoto”.
L’uomo continuava a ripeterselo mentre procedeva da solo lungo il ciglio della strada.
Camminava all’indietro, in modo da poter vedere le vetture che giungevano e poter così esibire in tempo il pollice alzato.
Cercava qualcuno che gli offrisse un passaggio.
La destinazione non aveva importanza.
La sola cosa che importava era la persona che l’avrebbe accolto in macchina, perché quella persona sarebbe stata la sua prossima vittima.
L’uomo era un assassino.

Un tempo, quando era ancora ragazzo, le parti erano invertite.
Lui era quello che guidava, e le sue vittime gli ignari autostoppisti.
Ma le cose non potevano funzionare in quel modo.
Anzitutto non era mai certo di trovare qualcuno bisognoso di un passaggio, e i suoi bisogni non potevano attenersi al caso.
Inoltre, anche se si prometteva sempre di non ricascarci, stando alla guida aveva modo di effettuare una selezione sulle sue prede.
Gli autostoppisti a lato della strada sfilavano davanti a lui come pietanze sul banco self-service di un ristorante, e lui poteva sempre scegliere ciò che preferiva: dolce o salato, uomo o donna, carne o verdura, giovane o vecchio.
In questo modo però si era ridotto, nel corso degli anni, a scegliere sempre la stessa tipologia di individui, che risultava ormai quasi una pietanza insipida.
Ormai era diventata una noiosa routine.
Quella notte, quindi, aveva deciso di cambiare, di cercare una nuova emozione, mettendosi nei panni di quella che solitamente era la sua preda.
Si sarebbe aspettato di essere spaventato, ma non lo era.
Provava solo una lieve euforia.
D’altronde, si ripeteva, non c’era nulla da temere dall’ignoto.

Finalmente un’auto si fermò accanto a lui.
“Dove stai andando?” chiese il ragazzo alla guida.
L’uomo lo guardò. Aveva un aria familiare, dove l’aveva già visto? “Vado dove vai tu”.
“Ok, allora salta su” disse il ragazzo aprendogli la portiera.

Il principio alla base dell’autostoppismo è la fiducia reciproca. Chi accoglie uno sconosciuto nella sua auto non può sapere quali siano le sue reali intenzioni, ma allo stesso modo anche la persona che sale ignora quelle del conducente.

Non appena la macchina ripartì l’uomo si mise a osservare il ragazzo al suo fianco, la sua prossima vittima.
Doveva avere circa vent’anni, ed aveva una corporatura simile alla sua. Ma sopraffarlo non sarebbe stato un problema: lui aveva dalla sua l’esperienza.
Quello che lo turbava era l’idea di averlo già visto da qualche parte. Dove poteva averlo già incontrato?
Pensò che negli anni aveva viaggiato in lungo e in largo per la nazione, e quindi era facile che il volto gli ricordasse qualcuno che aveva conosciuto.
Ma no, non poteva essere quella la spiegazione. Il ragazzo aveva un’aria troppo familiare, sembrava un amico, un fratello perduto.
Malgrado questi dubbi, si disse, doveva procedere, doveva portare avanti il suo intento. Arrivati a questo punto doveva solo convincere il ragazzo ad accostare con la scusa di prendere qualcosa dalla borsa che aveva messo nel bagagliaio, poi l’avrebbe convinto a uscire dall’auto e…

Ma proprio mentre rifletteva sul da farsi si rese conto che il ragazzo alla guida era uscito dalla strada principale per imboccare una via secondaria. Poco dopo abbandonò anche quella strada per prenderne una sterrata, ed infine si fermò in un luogo isolato.
L’uomo non capiva perché il ragazzo avesse fatto ciò, ma si disse che era un problema in meno per lui.
D’un tratto il ragazzo scese dall’auto.
Perché l’aveva fatto?
Non aveva importanza, pensò l’uomo scendendo a sua volta.
Era giunto il momento di compiere l’ennesimo omicidio.

Si girò verso il ragazzo, ma proprio mentre stava per fare la sua mossa lui lo precedette.
L’uomo ebbe solo un attimo per vederlo, per vedere lo stesso sguardo folle che anche lui riservava alla sue vittime prima di aggredirle, poi il ragazzo si lanciò su di lui.
Con un movimento istintivo si scansò, e rapidamente si voltò per vedere il suo aggressore.
Il ragazzo stava di fronte a lui con in mano un coltello.
Voleva uccidere.

I due iniziarono a lottare, ma in breve l’uomo ebbe la meglio sul ragazzo. Gli strappò il coltello di mano e glielo puntò al petto.
Il ragazzo lo guardo disperato, e finalmente il suo volto fu a una distanza tale da essere riconoscibile.
Quel volto, l’uomo l’aveva visto ogni volta che si era guardato allo specchio.
Quel volto era il suo.
Quel ragazzo era lui.
Era lui da giovane.
E ora si divincolava sotto di lui.
Non poteva ucciderlo.
Che ne sarebbe stato di lui se avesse ucciso il sé stesso del passato?
“Non c’è nulla da temere dall’ignoto” si disse.
E affondò la lama nel petto del ragazzo.

I diari di Gauss

La maestra sbuffò dalle narici lentamente, a svuotare i polmoni e a calmare le tensioni. Appoggiò il gomito sulla cattedra e con la mano si resse il mento. Avrà avuto vent'anni, non di più. I bambini spaventati dall'atteggiamento dell'educatrice avevano frettolosamente alzato l'asse di legno dei banchi per accedere ai quaderni posti sotto. Come perfette macchinette sincronizzate avevano impugnato la matita ed avevano diligentemente iniziato a computare una lunga sequenza di numeri. Defilato completamente dall'atteggiamento dei suoi piccoli colleghi, Carl se ne stava fisso a guardare fuori dalla finestra ogni foglia staccarsi dai rami del maestoso albero che si ergeva nel giardino della scuola. Ogni foglia cadendo compiva circonvoluzioni diversificate dalla propria forma, altezza e dalle condizioni di vento. Com'era magnifico quel avvitarsi su sé stessa per poi fare cumulo con le altre, già adagiate sulla terra. Carl aprì rumoreggiando il suo banco e ne estrasse il blocco per gli appunti, facendo ridacchiare i suoi compagni di classe dato la maestra l'aveva guardato storto. Passò una mano sulla ruvida copertina di cartone, sul quale aveva riportato il suo nome e il suo indirizzo. Una piccola scritta sul retro indicava “Se trovate questo quaderno, prego restituirlo alla famiglia Gauss”. Carl non l'avrebbe mai perso. Il suo maniacale perfezionismo lo costringeva ad avere tutto sotto controllo, neppure una foglia ai piedi dell'albero non era stata osservata e contata. Sapeva addirittura quanti passi doveva compiere dalla sua abitazione al quartiere della scuola.

“Che noia” - pensò fra sé e sé - “non c'è modo migliore per farci odiare la materia. Che senso ha avere testa per pensare quando poi ti vengono chieste simili banalità meccaniche! Qual'è la somma dei primi CENTO numeri poi? Perché non mille, diecimila, centomila?! Lo so io il perché. Sommare cento numeri è un lavoro lungo e fra un'ora quell'odiosa maestra si sarà sbarazzata di noi mandandoci a casa.”

Iniziò a pensare quando aveva acquistato quel blocco, nella bottega di fronte alla scuola. Ogni giorno ci passava davanti sognando di avere un quadernino come quello degli altri studenti, con la copertina in pelle e le pagine candide e profumate di nuovo. Un giorno ci era pure entrato, chiedendo i prezzi di quasi tutto quello che vedeva. Aveva poi cacciato le mani nelle tasche contando rapidamente i soldi che conteneva passando le monete fra le dita. Non avrebbe potuto permettersi nemmeno il più infimo fra i blocchetti di quel rivenditore. Vide poi un ingiallito quaderno vicino alla cassa, con la grigia copertina di cartone.

“Me lo vende quello?” - disse, rivolgendosi al commerciante.
“Cosa? Questo vecchio blocchetto che uso per i miei conti?” rispose con uno sguardo di stupore.
“Vedo che è appena iniziato. Vende gli accessori per scrittura più belli di tutta la città e si riduce a scrivere le sue cose su un bisunto straccio di carta?” lo incalzò il piccolo Carl.
“Va bene, come vuoi tu! Quanto mi dai?”

Carl si limitò a svuotare le tasche rovesciando poi gli spicci sul bancone.

“Affare fatto.” disse il venditore strappando le tre pagine di conti scarabocchiati.

Il bambino afferrò avidamente il quaderno uscendo dal negozio soddisfatto. Ora anche lui aveva un diario personale dove annotare i suoi pensieri. Passando di fronte alla grande biblioteca della città, si era fermato per guardare i libri, sfogliarli, assaporarne l'aroma. Aveva poi passato un dito sul grosso tomo di Euclide, quello famoso per i postulati. Si accorse quanta polvere vi si era depositata sopra e di quanta poca sotto. Si sedette ad un piccolo scrittoio, aprì il libro e iniziò a riportare le geniali intuizioni di quel matematico antico, che sentiva simile a lui. Fu l'unica cosa di terzi che scrisse sul suo quaderno, quasi per onorare quel grande genio.

Ora doveva fare quello stupido conto. Stancare la mano e non la mente a scuola, in quel posto di cultura! Carl non sapeva ancora quante cose avrebbe scoperto, ma in quel momento pensava solo a quanto i numeri, i suoi amati, gli fossero di intralcio.
Si arrabbiò, pensando “Siamo i divini creatori di questo mondo di regole, di schemi, di numeri. Siamo gli allegri pittori di questa tela di intuizioni, di queste opere d'arte della fantasia. I numeri però, seppur da noi creati, godono di proprietà che non avevamo previsto, come se avessero preso vita. Magari proprio adesso stanno cercando di parlarmi, di dirmi che questo conto non è necessario, che ci sono altre vie che loro stessi hanno inventato per semplificare”

Poi, ad un tratto, i numeri iniziarono a sposarsi. Il più piccolo con il più grande, formando sempre la stessa coppia. Come accompagnati da una strana musica, cento iniziò a ballare con uno, novantanove con due e così via. Avevano iniziato questa quadriglia dove tutte le coppie erano identiche, seppur composte da elementi diversi. Cinquanta volte centouno! Scrisse il risultato sul quaderno, e lo portò alla maestra, allibita.

“Carl, ti stai giocando di me?” disse la giovane educatrice battendo la stecca sulle nocche del povero bambino. “Non puoi averlo fatto a mente! Vai al posto e non ci provare più!”

La maestra non conosceva il risultato dell'operazione, ma sicuramente un bambino di dieci anni non avrebbe potuto metterci così poco. Gauss, dal canto suo, capì come la maestra non potesse crederci se non dimostrato. Si mise quindi a creare uno schema e giustificò il suo risultato. La giornata di scuola era ormai finita e la maestra scoprì che cinquemilacinquanta era proprio il risultato corretto, andando a casa chiedendosi come quel piccolo scolaro avesse fatto.

Gauss diventò un famosissimo matematico, noto a tutti i popoli a venire. Il suo blocco per gli appunti venne riempito di favolose innovazioni, dalla curva tanto odiata dagli studenti di statistica alla negazione del quinto postulato di Euclide. A volte non serve un quaderno costoso per scrivere grandi idee.

martedì 13 marzo 2012

la porta scorrevole

Non c'è nulla da temere dall'ignoto.
mattina, 8 ottobre 2010, ore 10
sera, 26 giugno 2011, ore 22.35
pomeriggio, 2 febbraio 2012 ore 16.30

una mano che saluta, una corsa o dei palloncini, una lacrima, nella mente le immagini si confondono ma la sensazione rimane la stessa. L'ignoto che si fa bagaglio, troppo grande, troppo piccolo, sempre troppo pesante. Il metal detector, il tornare indietro, il palpaggio della poliziotta, è sempre il braccialetto argento, maledizione. Le scale mobili, il beauty free e l'attesa sulle sedioline di plastica blu. Le mani prudono e il cuore è in tumulto. Poi le nuvole, sempre diverse, le luci della città, il mare che si fa oceano. Il sonno che arriva e la mente si assopisce.
La lotta per il bagaglio a mano e poi la porta scorrevole. Al di là una faccia, una città, un'ignoto. Un'ignoto che eccita e fa tremare la gola, i calzini sono troppo caldi o troppo freddi, non sapere cosa accadrà, come la piccola me affronterà la grande me. Come l'innocenza coinciderà con lo scetticismo. L' ignoto fa paura, stronzate a chi dice il contrario. Che fosse l'8 ottobre, il 26 giugno o il 2 febbraio la mia mente non sa distinguere, il tremore era lo stesso, due secondi di esitazione dietro quella porta, sapendo che in dieci piccoli passi l'ignoto sarebbe diventato realtà, una realtà. La vecchia me sarebbe diventata una me più saggia, più confusa, certamente sempre più alla ricerca.
Perchè è vero che l'ignoto fa paura, ma è fottutamente irresistibile.

lunedì 12 marzo 2012

Un giglio appassito


La fronte corrugata di David lasciò trasudare una goccia salata, che, cadendo, andò a macchiare l'inchiostro dei fogli confusamente sparpagliati sulla sua scrivania. Il sudore che pian piano veniva assorbito dalla porosità della carta lo fece destare dalla profondità del suo complicato ragionamento. Guardò fuori dalla finestra, dove le prime luci dell'alba iniziavano a filtrare dalle ingiallite persiane. Estrasse dal taschino un piccolo orologio, eredità del vecchio padre defunto. Era giorno, di nuovo. Si alzò dalla sedia guardando ancora un attimo ciò che aveva scritto, poi passò una mano fra i capelli scompigliati dalla nottata in bianco. Andò al lavello, ci versò un po' d'acqua dentro, e con due mani si sciacquò la faccia stropicciandosi gli occhi. Si spolverò accuratamente le spalle, prese degli appunti ed uscì di casa. La città si presentava ancora come un disordinato scenario postbellico, macerie erano ancora in mezzo alla strada e nel tragitto per l'università non era difficile trovare qualche frammento rugginoso di bomba. Di quella guerra finita due anni prima più nulla interessava a David, che era soldato di un'altra guerra ormai. La crisi dei fondamenti della matematica. La bomba era arrivata dal Galles, vent'anni prima, da un giovane filosofo chiamato Bertrand Russell. Quel paradosso, che ancora oggi interrogava ed interessava i matematici di tutto il mondo diede l'impressione che il periodo d'oro della logica e della matematica erano ormai tragicamente finiti. Dall'idea di scienziato che, sopra le parti, era l'unico prescelto a capire e spiegare le complessità del mondo, si era passati alla confusione nella quale la madre di tutte le scienze era rimasta screditata. David aveva gli occhi fissi, si muoveva come un automa, mentre nella sua mente un mare di antinomie lo impensieriva. Una volta giunto di fronte alla facciata dell'Università di Gottinga si fermò, volse lo sguardo verso l'alto e la guardò interamente. Quanti secoli di storia erano passati fra quei bassorilievi, quanti colleghi lo avevano preceduto fra i colonnati del chiostro. Ancora il fascino di Gauss e Riemann non erano svaniti, nell'aria aleggiavano i loro pensieri rivoluzionari, le loro ipotesi, i loro teoremi. Qualche vecchio professore ormai segnato cerebralmente dall'età avanzata, diceva di averci lavorato insieme, di averli visti fissare quella facciata così come faceva David in quel momento. Sistemò la cravatta e si addentrò nell'atrio dell'edificio che portava al chiostro attraverso una porta di vetro laterale. Arrivato lì si sedette su una panchina mentre studenti e professori gli passavano a fianco intenti a raggiungere le proprie aule. David non si curò di loro, estrasse nuovamente i suoi appunti e si mise a fissarli, ritornando subito nella concentrazione più assoluta. Qualsiasi cosa avrebbe potuto succedergli davanti, non l'avrebbe disturbato. Dopo pochi minuti, una mano gli si appoggiò sulla spalla mentre una voce di donna lo chiamava.
“Professore? Mi dispiace disturbarla ma eravamo d'accordo di trovarci qui alle 8.00”
David, per un momento si indispettì. Chi aveva avuto l'insolenza di toccarlo disturbandolo dal suo pensiero? Alzò lo sguardo velocemente fino ad incrociare quello della ragazza, che lo guardava timidamente. Subito si intirizzì sulla panchina, sistemando goffamente i fogli che aveva raccolto dalle ginocchia.
“Buon... buongiorno carissima Linda” 
disse con voce sommessa. Prese il cumulo disordinato di carta e lo spinse all'interno della borsa di pelle marrone estraendone un piccolo fiore appassito.
“Questo l'ho colto per lei” 
le disse, porgendoglielo. Il bel giglio che aveva colto la sera prima era ormai morto, aveva i colori spenti, come se fosse rimasto tutta la notte in quella borsa.
“Ieri questo fiore era come lei: fresco, profumato, bellissimo. Oggi assomiglia più a me: rinsecchito, spento. Mi dispiace non averlo tenuto al fresco, ma il fatto che sia vecchio spero non lo renda meno affascinante.”
David era una persona molto intelligente, dall'ineffabile arte di pensiero ed oratoria, ormai prossimo ai sessant'anni d'età. Linda era una giovane dottoranda in matematica. Aveva la pelle candida e pulita, due occhi grandi e profondi. I suoi capelli, non troppo lunghi, venivano giù come una cascata, leggermente mossi e con un risvolto verso l'alto in fondo. Quando si avvicinava alle persone un dolce profumo inebriava le narici degli astanti, che ne rimanevano visibilmente colpiti. Anche lei era molto intelligente, bene sapeva reggere una discussione con il vecchio professore. Alla vista di quel fiore appassito la ragazza spalancò gli occhi e prese a pensare profondamente. Era visibilmente imbarazzata da quel gesto.

Nel mentre David, che aveva colto la fissità nello sguardo di Linda si disse fra sé e sé:
“Perché non è tutto semplice come la matematica! Certo, ci vuole un po' per impararla e introiettarla ma poi la si padroneggia da maestri. Con cose semplici si costruiscono cose via via sempre più complesse, è questo il bello. Bastano poche regole per fare tutto. Assiomatizzare la vita, ecco cosa servirebbe.”
La ragazza si schiarì la voce con un colpo di tosse e disse:
“Caro professore, non ho capito perfettamente quali siano le sue intenzioni, e sebbene sia una persona affascinante e intelligente forse ha frainteso i miei comportamenti. Il mio interesse per lei è puramente accademico. Sto per fidanzarmi con un letterato, le nostre famiglie sono già informate. Guardi, non ne abbia a male, spero che voglia ancora dedicarmi il suo tempo.” 
Si alzò, sollevando leggermente un lembo della lunga gonna in segno di riverenza.

David aveva ancora gli occhi fissi. Quella parola, “assiomatizzare”, l'aveva bloccato. Tirò fuori gli appunti e li dispose per terra di fronte a sé, sull'erba. Si alzò per poi abbassarsi in tensione sulle ginocchia, guardando il proprio lavoro. Quella era la risposta, il modo di uscire dalla crisi. Formalizzare tutto. Assiomatizzare tutta la matematica a poche regole che sarebbero poi servite per dedurre tutte le altre.

Alcuni anni dopo David venne a sapere che Linda aveva lasciato il dottorato in matematica per scrivere poesie. Questa notizia lo fece sorridere, pensando al giglio che aveva lasciato marcire nella sua borsa prima di disfarsene, come se quel fiore rappresentasse il lento degradarsi dei suoi sentimenti per lei. Disse:
“Non sono sorpreso. Non aveva abbastanza immaginazione per diventare un matematico”.

domenica 11 marzo 2012

Domeniche e Dolciumi.

Non c'è nulla da temere dall'ignoto. L'ignoto è il Nuovo.
Ed è così bello, imparare cose nuove... ad esempio, questa sera, mi trovavo sulla via di casa, della casa di Torino s'intende, quando.... non ho potuto fermare un pensiero. Le ore precedenti erano state segnate da un viaggio in treno tremendamente lungo, su un vagone carico di corpi assonnati e troppo vicini: impossibile dormire, impossibile stare del tutto svegli. Su quel treno era impossibile persino fare pipì, non si trovava un posto adatto per farla, e -se c'era- era materialmente irraggiungibile per le troppe carrozze buie e chiuse che c'erano di mezzo. Anche gli ormoni a volte giocano brutti scherzi, sai. Puoi sentirti infelice e nervoso e non capirne la ragione. Una maledettissima ragione alle volte non c'è. Irreperibile. Latitante. Trasparente. Ma fastidiosa. Come dicevo: stavo tornando a casa. L'umore non era dei migliori. L'umore aveva semplicemente chiuso le porte della percezione in una penombra ferma, aspettando che la giornata finisca, come finisce una guerra persa. Camminavo. Guardavo più in basso del solito. Volevo solo arrivare - finalmente - a casa.
Un attimo! sono senza calze. Sono senza calze e sono a Torino e generalmente di calze ne porto due paia che con i piedi freddi non si ragiona bene. Senza calze...i piedi appoggiano la pianta sulla suola delle scarpette senza alcun brivido, alcun tremore, alcun malessere. Anzi, il collo del piede riceve, nudo, il vento lieve delle 9 di sera e si fa sfiorare felice da un aria benevola, per nulla rigida. Che meraviglia, penso, primo giorno senza calze! In effetti, ci sono 16 gradi e per essere sera è una bellissima promessa.
Cammino ancora.
Le persone si aspettano davanti ai portoni dei palazzi del centro di Torino: "Scendi, sono qui!", "Si, un minuto e arrivo." Qualcuno andrà al cinema, qualcuno farà semplicemente una passeggiata.
è domenica.....già. La domenica non mi piace. Ma la domenica sera...quella si. C'è una calma così naturale... Non si deve correre da un'ansia di prestazione all'altra come durante la settimana e non si deve sfoggiare tutta l'energia di cui si è capaci come nel weekend. La domenica sera è quando il proprio sedere fa i conti con una poltrona morbida. Che sia di casa, del cinema o di un circolo letterario, il momento culo-poltrona è tra i più veri che ci possano essere. Penso a queste cose mentre continuo a camminare e, finiti i portici, attraverso corso Palestro che la mattina ospita il mercato dei contadini. Nel mezzo, il baraccone dei dolciumi. è bianco, ha delle scritte rosse e delle enormi caramelle -di quelle gommose - disegnate sulle pareti. è chiuso, ora. Quanto mi piace questo posto. Probabilmente prendere un sacchetto di caramelle lì mi regalerebbe una settimana di reclusione forzata al bagno, ma attraversare con calma il corso deserto, voltare lo sguardo a sinistra e vedere il grande banco dei dolciumi e la strada che prosegue -orgogliosamente poco illuminata- per andare a sbucare da qualche parte che ancora non conosco (proposito: esplorare al più presto tutto il corso fino alla fine!) fa viaggiare la mia mente verso un sorriso e una tranquillità che potrebbero trasmettermi soltanto dei tendoni da circo in una mia Potsdamer Platz immaginaria... ...quindi: sorrido. Senza accorgermene, il mio sguardo si è alzato in modo deciso, i miei piedi non desiderano più arrivare a casa in fretta ma godersi l'aria tiepida che ammicca alla primavera e il mio umore ha improvvisamente spalancato tutte le porte delle percezioni esterne. Non penso più al treno, non penso più alla casa. Penso solo alla bellezza di un banco di dolciumi chiuso, in una domenica sera, in una città semideserta che potrebbe essere qualsiasi città. E tutto questo succede per un motivo. Perchè è bello imparare cose nuove.

martedì 6 marzo 2012

Giovanni e l'ignoto

Non c'è nulla da temere dall'ignoto e Giovanni, dall'alto dei suoi 8 anni, lo sapeva bene.

Lo sapeva meglio di sua mamma che, diversamente da lui, aveva paura di tutto. Sua mamma per esempio non faceva mai la spesa in un supermercato diverso dal solito perchè non sapeva se i prezzi e le cassiere del secondo sarebbero stati meglio o peggio del primo. E così continuava a comprare pane e latte nella bottega vicino casa.

Lo sapeva anche meglio di sua sorella Valeria, che non usciva mai con nessuno degli ragazzi che la invitava perchè era spaventata dall'idea che si era fatta ascoltando i racconti delle sue amiche.. ma che non era mai uscita con nessuno prima.

Giovanni non era d'accordo con il modo di vivere di sua mamma e sua sorella e quindi cercava di far capire loro che si stavano perdendo un sacco di belle cose. Giovanni argomentava dicendo che non potevano avere paura senza aver prima provato e quindi si era offerto di accompagnare sua mamma al supermercato un paio di isolati più lontano da casa.

Ma non c'era niente da fare, le due rimanevano della loro idea.

Provò allora con una dimostrazione teorica. Un giorno a pranzo prese la parola e disse:

Mamma,Valeria..c'è molto più da temere nelle cose che si conoscono che in quelle che non si conoscono. Io per esempio so bene che se mi capita di dire una parolaccia in mezzo alla gente, nessuno di quegli estranei che mi sono intorno mi sgriderà. Se invece mi capita di dire una parolaccia quando sono vicino a voi o alla maestra sono certo che mi sgriderete. Capite che non c'è da avere paura dell'ignoto? Tante volte le persone e la cose che non conosciamo ci trattano meglio di quelle che conosciamo”.

Valeria gli disse che lui era solo un bambino e che non poteva dare a lei lezioni di vita. La mamma invece reagì mettendogli una fetta di torta nel piatto.. quello era un metodo infallibile per fermare i suoi sermoni.

Giovanni però non era tipo da arrendersi facilmente. Passarono un paio di settimane e tornò all'attacco.

Disse che doveva andare da un suo compagno di classe a fare una ricerca sui Carpazi e che sua mamma avrebbe dovuto andarlo a prenderlo prima di cena. Lasciò alla signora un bigliettino con l'indirizzo e non le diede altre indicazioni. Sapeva che, per quanto l'ignoto spaventasse la sua debole madre, non avrebbe mai lasciato il suo bambino in casa di estranei oltre l'orario consentito dalla buona educazione.

Si prese su Valeria (visto che doveva affrontare l'ignoto,meglio farlo in due) e partì. Imboccò il viale e svoltò a destra,verso una quartiere nel quale non era mai stata. Prese la salita,cazzo pure la salita le toccava fare.. via Enna,no. Via Palermo,no. Ecco via Milazzo.

Scesero dalla macchina e-dato che il piccolo Giovanni non era ancora stato dotato di cellulare-si videro costrette ad entrare. Bussarono ma nessuno rispose. Provarono allora ad aprire di pochi cm la porta infilando dentro la testa e chiedendo: “E' permes..?”.

Non finirono la frase .. un grido si alzò dalla stanza : SORPRESAAAA!. La mamma e Valeria fecero un mezzo infarto ma capirono subito la ragione di tutta quella festa:Giovanni aveva spiegato loro con i fatti che non c'era da temere l'ignoto. Brindarono alla salute della paura che avevano sconfitto.

Nella stanza, però c'erano anche delle persone che le due donne non conoscevano. Chiesero a Giovanni, ma lui rispose che l'avrebbero capito di li a poco.

Passarono pochi minuti e si avvertì nella stanza un brivido di euforia. Qualcuno gridò “presto, nascondiamoci!”. Giovanni prese per mano le sue donne e le aiutò a nascondersi dietro il divano, sussurrando loro: “questo posto qui è un posto magico:è una circolo in cui ci si fanno le sorprese.. è per quello che vi ho portate. Così oltre che imparare a non avere paura dell'ignoto.. per una volta sarete anche voi l'ignoto di qualcuno!”. Sentirono bussare, non risposero e appena persona entrò scattarono tutti in piedi (mamma e Valeria comprese) urlando “AUGURI NICOOO!”.

Così si brindò anche alla salute di quel ragazzo che compiva, proprio quel giorno, una quantità ICS di anni che non diremo. Alla salute!