L'incipit della settimana

ELABORATO TESTUALE DI TOT PAROLE: "L'antico vaso andava salvato"
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martedì 21 dicembre 2010

a tutti i non partecipanti...ovvero tutti

Vieni anche tu alla mia festa? Mamma ha noleggiato anche un clown!

Disse il bimbo saltellando, scarponcini nuovi per il suo ottavo anno di età, capelli un po’ arruffati e biondissimi, qualche goccia di fango sulle ginocchia e una magliettina a righe bianca e rossa che già sfrecciava dall’altra parte della strada, lasciando una nuvola di polvere dietro di sé e un vecchio dall’aria un po’ stanca e dal sorriso malinconico. Lo osservò fare tutti i suoi passi correndo all’impazzata, aprire il cancello bianco entrare in giardino urlando e saltando accerchiato da una miriade di bambini e poi vide quel fantomatico clown. Con fare tranquillo anche un po’ svogliato soppesò tutti i suoi passi prima di avvicinarsi a quelle urla indistinte. Sapeva che non doveva farlo, sapeva che infondo ogni passo era un passo in più verso la perdizione. Eppure il suo corpo continuava ad avvicinarsi, curioso, voglioso di partecipare a quell’invito. In fondo era solo un semplice invito del suo piccolo amico, avrebbe avuto la scusa per salutare sua mamma, era molto che non la vedeva. La sua mente cercava un pretesto per aprire quel cancello maledettamente bianco. Odiava il bianco, l’unico colore che aveva la pretesa di essere puro, perfetto, di avere in se tutti i colori e nessuno. Se sei composto da tutti i colori come puoi pretendere non solo di essere migliore degli altri ma addirittura superiore, candido, trasparente, con tutti quegli animi dentro di te?!

Oramai era ad un passo, un sospiro e il cancello si aprì. Un’orda di bambini urlanti lo assalì, tirandolo per la giacca, per i pantaloni, chiedendogli di partecipar ai nuovi giochi, alla partita di calcio improvvisata.. per qualche minuto il coro dei bimbi fu unanime e solo una parola ne usciva, mister mister! Mister guarda che evoluzioni con il pallone so fare, no mister guarda le mie scarpe nuove per la partita di domenica!!

La sua testa cominciò a roteare, la voglia di fuggire da se stesso e da quel luogo era molta. Era stato un errore entrare. Un maledettissimo errore. Si guardava intorno spaurito come se i suoi pensieri fossero trasmetti in contemporanea via autoparlante. Cercava fra la festa timoroso, come uno di quegli scolaretti dopo una sonora sgridata della mamma, gli occhi degli altri adulti. Più cercava, più la paura di incontrarli saliva. In realtà ogni volta che un adulto gli si avvicinava erano solo parole gentili, sguardi benevoli, sorrisi disinteressati. Doveva trovare una scusa per sfuggire a tutto ciò, prese il bimbo, il bel bimbo di ormai otto anni compiuti, portò la sua esile manina nella sua via dagli altri, dalla confusione. Si abbassò, inginocchio quasi per guardarlo occhi negli occhi, occhi vecchi e sporchi di fronte ad occhi nuovi, verdi, lucenti, quasi spiritati dalla luce. Gli sfiorò il viso, candido come la neve, perfetto, le sue braccine esili ma così energetiche, il suo sguardo calò verso il ventre, le gambe, le perfette gambine da giocatore, le calze, le scarpe per poi tornare su di nuovo...

Scarpe, calze, polpacci, ginocchia, coscie...no no..

Lo guardò dritto negli occhi e susurrò “non posso”

Ci fu un attimo di silenzio, gli occhi del bimbo chiari e lucenti con un’aria un po’ smarrita. E poi in gridolino che si fa voce “ ma se anche non hai il regalo puoi stare qui lo stesso, la mamma m ha detto che non sono i regali la cosa importante!”

Un sorriso disarmante, l’uomo gli accarezzò la testa e disse, “ scusami piccolo mio ora devo proprio andare”

Stava per alzarsi quando il bimbo lo abbracciò stretto.... “ uffi mister! Grazie cmq di essere venuto. Ci vediamo domenica alla partita! Ti voglio bene mister!”. L’uomo si alzò e un brivido gli percorse tutta la schiena.

lunedì 20 dicembre 2010

Al ballo mascherato


"Vieni alla mia festa? Mamma ha invitato anche il clown!"

L’ho mandato a tutti, credo. Ormai è una prassi: da ventisette anni che mamma il 23 novembre m’obbliga al divertimento festeggiativo dei miei anni (ricorrenza che cade il 27 novembre). Ogni 23 l’invito forzato: sempre le stesse parole: "Vieni alla mia festa? Mamma ha invitato anche il clown!".Non so perché, ma mamma è affezionata a questo rito, a queste parole, ai clown che si ruotano annualmente alle mie feste. Lo preferisce ai pranzi di natale e pasqua, al suo compleanno e a quello di papà. Si sono figlio unico. La sudditanza al volere materno domina la mia vita: timidi tentativi di ribellione, almeno di fronte al rito pagliaccesco, gli ho avuti percorrendo l’età post adolescenziale sentendomi ridicolo di fronte ai party dove alla parola limonata non era associata una bibita. Ho cercato di spiegare a mamma che orami sono grande, ho un lavoro sudato sui libri, che preferisco il bicchiere di vetro di un anonimo bar che i nominali bicchieri di plastica. Ma nulla più. Solo vigliacche e pavide parole. Ora,in procinto del mio ventisettesimo compleanno, mamma sta male, forse, dicono, è uscita pazza. L’amore subordinato a tale persona non mi permette di fare null’altro che uscire, andare dalla Gigia (la tabaccaia del quartiere), comprare una trentina di stupidi biglietti con stampate sopra immagini di palloncini e trombette, per trenta volte scrivere le stesse identiche parole con le relative coordinate e poi, con sorte, farle recapitare ai destinatari, che rigorosamente si riducono di anno in anno. Già proprio così. Ma l’idea della derisione, per fortuna, è stata sostituita da una nozione di bizzarria e di comicità: alla fine potrebbe essere un rito che potrà trascendere la storia, una consuetudine che diventerà religione (della quale i fedeli saremmo solo io e mamma!). Ma insomma! A me va bene così: mamma è felice, per me è un occasione per farla felice! .. e poi..e poi..c’è la speranza di rivedere Claudio.

Ok. Se si vuole guardare all’onestà come una resa della verità, allora mi dichiaro onesto; se invece l’ onestà richiede l’aggettivo 'Tutta' antecedente al sostantivo 'Verità', allora ammetto la mia disonestà. Che dir si voglia non sono stato intermente corretto: l’amore per mia madre e l’amore per Claudio mi ricreano fan della mia stessa festicciola.


Accostamenti di bianchi e neri, interstizi, disegni criptati: le parole nascono dal contatto sofferto dei polpastrelli con i centimetri quadro della testiera. Solo l’unione del mezzo le rende creatrici, prima cosa sono? Idee? Pensieri? Particelle? Radici di capelli? Pidocchi? Usualmente non scrivo mai per me: la pesca m’ha sempre annoiato. Eppure vendo, compro e mangio pesce. Attratto specialmente dal maledetto, dai tratti fumosi, le barriere erette da barba e capelli scomposti manifestano la mia inadattabilità ad un mondo che s’è sporcato del mio parto. Ciò mi rende speciale, unico, differente; e pronte a ricordarmelo solo le notti solitarie dove il moto forzato dei passi si trascina calpestando martoriati bolognini. La gente è stupida: s’accontenta di un sole quando di notte, là su, ce ne sono appiccicati infiniti. Questo sono io, Claudio. O meglio ero io, Claudio. Ora non so. Ieri Luigi, la sua pazzoide mamma, i palloncini colorati ripercossi dal tempo, la mia egoistica incapacità di dire ‘no’; ieri un sorriso di un clown contenitore di una saggezza diversa; ieri la conoscenza di un frutto non appartenente alla biblioteca del pessimismo.


Lei era colorata, sempre. La sua casa era un esplosione di specchi riflettenti ilari risate, un crogiuolo di serenità depositate in tutti gli origami,una fioriera di gioie in ogni colore. Di fronte a una delle tante superfici riflettenti Ludovica si preparava a regalare sorrisi: cera bianca lungo il viso, rosso ridicolo intorno alla bocca, capelli giallo mistificato, cappello ospitante fiore pendente. Si stava dimenticando il naso, il respiro tondo e arruffante. Rosso per l’appunto. Se lo pose..ed ecco. Era pronta; era sempre pronta: nonostante non facesse uso di orologi era sempre puntuale, in orario con il fiato che la felicità aveva deciso di donarle. Da anni Ludovica aveva capito che la vita è una scelta. E lei aveva scelto: aveva deciso di essere felice, di lasciare lo schiavismo spugnoso della sua generazione, di non accettare l’eredità umana dedita all’autodistruzione. Era diventata clown, per lei e per tutti gl’autisti di autobus che le rispondevano con un accenno al suo "Buongiorno!". Gl’indumenti goffi non le impedivano movimenti leggiadri e Ludovica avanzava scherzava rincorreva e aspettava. Un due tre. Saltellava sui gradini pre ingresso di casa, suonava in una dolce melodia il campanello. "Salve! Salve!Mi mi è è arrivato arrivato un un invito invito alla alla festa festa!! M’hanno detto detto che che c’è c’è anche anche un un clown clown!!". Entrava. Guardava. Osservava le facce: un po’ tirate, un po’ buie, un po’ fintamente allegre. Osservava colui che probabilmente era il festeggiato indaffarato nell’eseguire gl’ordini materni e impaziente di uno sguardo del bellissimo ragazzo con la barba. Ludovica decise di fare una cosa: sorridere.