L'incipit della settimana

ELABORATO TESTUALE DI TOT PAROLE: "L'antico vaso andava salvato"
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RETTANGOL CARTPLASTIC CONN'IMMAGIN STAMPAT QUAS BEN:"Perdita di tempo"
Ctrl+c, Ctrl+v, STAMP-E-PORT-LE-FOGL:"Glutammati sto sodio"

martedì 16 novembre 2010

l'uomo degli incroci

Uscì di casa alla solita ora. Non sapeva però che da lì a 20 minuti sarebbe morto investito dalla Panda Young verde Alpi dell’88 di padre Antonio. Si tratta del suo primo giorno da non fumatore. Quella mattina non comprerà il solito pacchetto di Diana blu al solito tabaccaio di via San Paganino. Questo lo farà arrivare con 3 minuti di anticipo all’incrocio in cui il suo parabrezza farà la conoscenza di Augusto Serpieri facendo carambolare quest’ultimo mortalmente sull’asfalto. Spegni la sigaretta e accendi la vita.
Torniamo al momento in cui Augusto Serpieri esce di casa: meno 20 minuti. Augusto lavora per lo stato. E’ l’uomo degli incroci semaforici (sempre più rari con il dilagare delle rotonde tipico degli anni 2000). Augusto semplicemente si porta nei pressi di incroci non dotati di semaforo (talvolta anche in quelli gia semaforati ma bisognosi di una nuova temporizzazione) apre il suo tavolino da campeggio dotato di sgabellino e osserva il flusso del traffico, appuntando lungo tutto l’arco della giornata la portata dello stesso. Questo per 2-3 giorni (anche 4-5 per gli incroci più complicati) per poi trasferirsi in ufficio per altrettanto tempo a simulare su potenti computer nuove tempistiche semaforiche al fine di ottimizare il deflusso dei veicoli. Sono sicuro che nella vostra vita avrete almeno una volta notato uno di questi individui che prendono appunti a bordo strada in prossimità di incroci.
Augusto potendo preferisce muoversi a piedi. Quella mattina l’incrocio che necessita delle sue perizie è a soli 30 minuti da casa sua. Andrà quindi a piedi come tanto adora. Prende il suo tavolino da camping valigiabile e si dirige verso l’incrocio il quale è stato già all’attenzione dei suoi studi per I 5 giorni precedenti. Normalmente mai vi si recherebbe per un sesto giorno, ma questa volta ritiene di dover appuntare altri dati sui flussi ( Augusto è una persona decisamente meticolosa). Meno 15 minuti ed eccolo all’angolo tra Corso Albert Fish e via Ted Bundy. Un incrocio perfetto in cui il traffico di punta scorre fluido e veloce. Scambi semaforici celeri, temporizzati con timer variabili in base alla fascia oraria. Un capolavoro firmato Augusto Zampieri. Come non fermarsi ad ammirarlo per un intero ciclo…meno 8 minuti… Augusto si incammina nuovamente. Passa davanti alla chiesa Santa Sonia Caleffi. Meno 6 minuti. Intanto Padre Antonio è più nervoso del solito…E distratto alla guida, sente il richiamo della nicotina..Arriva all’incrocio tra via San Giacomo e via Maria Addolorata. Per il seminario sempre dritto fino all chiesa dedicata a santa Sonia Caleffi. Per le sigarette a sinistra, cento metri in via Maria Addolorata e poi a destra in via san Paganino. Merda. Non poteva già cadere in tenazione…deve resistere…Poi è in ritardo, non farebbe in tempo..ma si può farcela, rapidità. Quattro frecce davanti al tabacchino, dentro, il solito pacchetto, e di nuovo in strada…meno 3 minuti. Fanculo. Mette la freccia, la panda parte sgommando direzione sigarette. Parcheggia l’auto scende. Meno 2 minuti.
Intanto Augusto Serpieri si dirige verso l’incrocio su cui dovrà lavorare. Meno un minuto.
Padre Antonio risale in auto, Diana blu alla mano, giro di chiavi indice destro a schiacciare l’accendisigari, parte sgommando.
Augusto Serpieri passa davanti al suo fruttivendolo di fiducia. Lo saluta.
Zero. E’ ancora vivo per ora.
Padre Antonio avvisato da un secco rumore capisce che l’accendisigari è caldo. Lo estrae, stacca gli occhi dalla strada e si accende la sigaretta. Riporta gli occhi sulla strada. Una vecchietta non curante del mezzo a folle velocità attraversa la strada.
Augusto Serpieri pensa a come sia freddo l’inverno quest’anno ha un tremore.
Più 1 minuto.
Padre Antonio spinge il freno con tutte le sue forze... Preso dalla paura chiude gli occhi, e le sue labbra si Serrano con forza sul filtro della sigaretta appena accesa ma non ancora assaporata..La macchina si ferma. Apre gli occhi. La vecchietta è a 30 cm dalla macchina e continua ad attraversare come se nulla fosse.
Cazzo. Pensa l’uomo di chiesa…riparte scosso con le ginocchia che tremano. Fa un tiro profondo di sigaretta…lo rilascia. sente il fumo partire dale profondita dei polmoni. La nicotina lo calma, ritorna in se.
Che stronzata pensare di smettere di fumare.
Più 4 minuti.

otto e venti

Uscì di casa alla solita ora. Non sapeva pero che da li a venti minuti sarebbe morto.

Indossava dei vecchi jeans strappati sul retro, e non esprimeva nessun giudizio sulla morte.

Aveva da poco acceso un sigaretta con il mozzicone dell'altra, e pensava alle donne di Tolstoy.

Aveva le braccia lunghe, sproporzionate rispetto al busto e le faceva ondeggiare seguendo il ritmo del passo.

Erano le otto di una mattina senza colore.

Prestava poca attenzione al risveglio, cercava di prolungare l'amaca onirica.

Era alto, e fino. Tutto proteso verso il cielo.

Lesse l'ora e accelerò il passo.

Otto e cinque. Due isolati, la salita e l'arrivo.

Otto e sette. L'aria punge, riempie il polmone e rilascia il fumo.

Otto e dieci. Accende l'mp3, paolo conte ma nessuna giarrettiera rosa all'orizzonte.

Otto e tredici. Sguardo basso tra le linee del granito e l'aritmetica della cenere.

Otto e quindici. Nessun pensiero raccolto. Velocità accelerata solo fisica.

Otto e diciassette. Il mondo è monocromatico, tendente all'ocra.

Otto e venti. Lo stridulo acuto dei freni non blocca l'impatto brutale di un auto sulle sue anche.

Era alto, e fino. E ora tutto proteso verso il suolo.

La morte arriva con l'eleganza propria di che è invitato ad un occasione speciale.

Allarga le braccia e si china sul corpo del ragazzo.

Caronte è in ritardo e spetta a lei capitanare il traghetto.

La morte entra in una galleria di tristezza. Distende il viso pieno di ruggine e si prepara agli insulti del ragazzo.

“ e dunque sei tu vecchia lamiera, la morte che tanto gli uomini temono?” incalzò l'anima del ragazzo.

“non posseggo un volto, ma solo le immagini e il piumaggio che mi vengono assegnati” risponde la morte clinando il viso alla luce.

“ perchè sei arrivata ora? Quando il mio corpo era libero da rantoli malati?”

“ io seguo i comandi di un padrone privo delle conoscenze della fisica molecolare.”

“ dove mi porti?”

“ dove tu pensi di essere assegnato?”

“ vorresti dirmi che dovrò fare un bilancio delle buone azioni e delle malefatte?”

“no il giudice sommo non sono io. Io sono solo la più tagliente nemica dell'uomo.” risponde amareggiata la morte.

“già.. perchè arrivi senza essere chiamata? Strozzi ruscelli di vita, germini nel dolore degli uomini, giochi a dadi con i destini, e ti incarni in azioni brutali. Perchè neghi l'eternità dei movimenti?”.

La morte si aspettava la rabbia del ragazzo , ondeggiò, si aggrappò al silenzio e dopo alcuni minuti rispose: “ Ricevo imprecazioni in ogni istante, vengo aggredita e temuta, sono graffiata di illusioni tagliate. Sono il boia più arido d'amore. L'asfissia dei sentimenti. La miopia della pietà. Eppure io non sono altro che sorella della vita. Io solo accompagno, riassegno nuovi ruoli alle anime, e le posiziono nelle loro percezioni spirituali.”

Il ragazzo prova tenerezza per quella vecchia, ricurva sulle sue inconsistenze. Avanza di qualche passo e le bacia il volto.

Il ragazzo: “ dai, andiamo.”

La morte riemerge da se stessa e piange di un caldo dolore, trattenedo assetata l'orlo di quel breve tocco.


martedì 2 novembre 2010

Sayonara papà

“Sayonara è la settima parola più usata al mondo. Assolutamente assolutamente..Non credo che a Tampa sentiranno la sua mancanza…assolutamente.”
“Cazzo papà sei proprio andato…pronto???papààà!! mi senti è pronto in tavola!”
“Lettere di Abelardo ed Eloisa…Si si Herman Hesse…Peter Camenzind..no no è Abelardo stesso fatemi controllare illustri colleghi..”
“Dai non essere così duro con lui…dai papà vieni…”
“Loretta si si scusa…lo so ma dovevo sposare A-anna ti ricordi?”
“ Sono tua figlia Giovanna, papà…dai di qua bravo, andiamo a tavola”
“Nostro padre è perso fottuto cazzo, non so nemmeno perchè torno ogni anno..con tutto il lavoro che ho da sbrigare…”
“Non tirare in ballo il lavoro…tu sei tutto l’anno in Germania…la mamma è morta. Ci sono solo io…la mia vita è prendermi cura di lui.”
“Non farmi sentire in colpa…è il mio lavoro! E comunque ogni fottuto anno sono qui no? quindi non rompermi le palle”
“Non bisogna urlare questa è una biblioteca…prendete un buon libro…due? Forse? Si il regolamento lo permette…io andrò per mare…”
“Ma stai zitto un attimo…madonna! Spero di morire prima di diventare così idiota…cazzo papà possibile? Sempre peggio…”
“Shh,dai…papa guarda…minestra con il pomodoro con la pastina, anche se il dottore te l’ aveva vietata…ma per il tuo compleanno…sei contento?”
“Contento di che? potrebbe mangiare merda dalla mattina alla sera..perso com’è…”
“Figlio…”
Un momento di lucidà, un flash, una luce, uno spiraglio…Giosuè Sartori, 93 anni oggi, ex professore illustre in diverse università di prestigio, cerca di aggrapparsi a questo attimo…La sensazione è come quella di riemergere dopo un’apnea al limite dell’implosione polmonare e trovarsi aggrappati ad una boa in mezzo all’oceano in tempesta.
Il vento ti schiaccia.
Le onde non ti fanno respirare.
Le profondità dell’oceano ti richiamano.
Non c’è equilibrio, non c’è un punto d’appoggio…L’impeto delle acque che ti sballotta in tutte le direzioni… Solo un momento di debolezza…e l’oceano ti riprenderà…quindi lotta. Con tutto il tuo corpo.
Così Giosuè, combatte. Finalmente vede dai suoi occhi. Capisce…distingue allucinazione da realtà..sente il delirio con cui vive ogni ora del giorno e della notte che lo rincorre per riprenderlo…sente la pressione di situazioni e personaggi paradossali che lo desiderano, per giocare e parlare con lui. Persone che sono morte e persone che non sono mai esistite…scenari e situazioni che cambiano in maniera paradossale e assurda…un carosello onirico di psichedelia, un carnevale di follia e delirio amaro..incontrollabile, ingestibile e pronto a travolgerlo. Vuole scappare da tutto questo…vuole sfruttare questa finestra di lucidità prima che si chiuda..si aggrappa alla boa in mezzo all’oceano..si aggrappa a quell “figlio”..mentre, per le gambe, lo tirano verso l’oscurità le sue allucinazioni…
“figlio…”
Ce la può fare.
“…devi capire..io…per me 5, sul numero 7. Boston? Qualcuno dovrà occuparsene. Sono molte ore di volo..Avete un servizio arretrati?Loretta?”
“sei proprio andato papà…”

LE CIMITIERE DU PERE LASCHAISE


Sayonara è la settima parola più usata al mondo.

Monsieur Forleain sfogliava il dizionario giapponese con l'attenzione propria di chi ama il fruscio e il profumo delle pagine ingiallite.

Ogni mercoledì si recava al cimitiere du Pere Laschaise per curiosare tra lettere e codici di dizionari e enciclopedie. Amava la culla che gli riservava quel posto raggiungibile a soli pochi passi dall'uscita della metro.

In quei pochi passi sceglieva quale viso tener fotografato nella mente di quelli che avevano abitato la metro pochi istanti prima. In quella luce traditrice, gli sembravano tutti possessori gelosi di grandi storie. Quel giorno scelse il viso bucato di un'africana. Le piaceva la rigidità obliqua con cui leggeva il giornale.

All'entrata del cimitero, parcheggiava i rumori di Parigi all'esterno delle mura e si apprestava alla passeggiata tra i respiri pesanti dei luminari defunti.

Per lui, la pratica di recarsi al cimitero era più di un rito, si trattava di seminare e raccogliere

. Quel cimitero era oggetto di una devozione infinita per monsieur Forlain perchè corrispondeva esattamente all'idea di cimitero che è depositata in ognuno di noi: tetri gatti neri, silenziosi e incappucciati passanti, il cielo di fumo, e del grigio spennellato ovunque.. nonché i labirinti di sepolcri accasciati, gli scalini di ghiaia e gli spettri sibilanti dei morti.

Monsieur Forleain era un seguace di Platone, e qundi della necessaria corrispondenza del concreto ad un'idea.

E quel posto gli si incastrava tra le pareti cuore.

All'entrata salutava velocemente l'amato Proust e il grande Balzac, salendo qualche scalino raggiungeva Chopen. A volte pensava di poter udire il suo pianoforte ribellarsi alla sua morte. Allungandosi tra le piccole stradine raggiungeva il composto e sarcastico Oscar Wilde e il soprano Maria Callas, e poi poco più in su la melanconica Edith Piaf.

Raggirava con destrezza il sepolcro di Jim Morrison, lo considerava volgarmente profanato, riservato alle sole preghiere di qualche spinello.

La meta era la tomaba di Amedeo Modigliani, per poter sentire il contatto con le sue mani congiunte e i suoi colli allungati.

Monsieur Forlein si arrabbiava per la poca cura nella collocazione del grande pittore, posizionato nel mezzo di lapidi ignote che non gli rendevano giustizia. Ma poi si calmava nel pensare all'umiltà che contraddistinse Modì per tutta la sua vita. E pensava che dopotutto lì in mezzo, lui stava a suo agio. Lo stesso agio che provava nel buttar giù bicchieri di rosso e nell'aggredire le tele.

Poi lui aveva il privilegio di aver al lato destro la sua consorte dormiente Jeanne.

Le date della loro morte, differivano di un solo giorno. Lei si suicidò il giorno successivo della morte di Modì. Jeanne non sarebbe stata in grado di vedere il suo amato solo attraverso i quadri.

E così monsieur Forlain si sedeva con sommo rispetto in mezzo ai due corpi silenziosi, disponeva al suolo i suoi dizionari, e si curava dei suoi pensieri. Quel mercoledì si sarebbe dedicato al giapponese, non perchè avesse un particolare interesse, ma perchè la curiosità si impossessava di lui senza indicargli direzioni primarie di studio.

Ciò che amava di più era scorrere l'indice alfabetico con il ditone. Sceglieva una lettera e studiava con meticolosità tutte le formazioni delle parole con quella iniziale. Si annottava in un libricino le parole di cui si innamorava.

Scrisse la prima sayonara, era un suono piacevole per un arrivederci.

Nella nota richiamata lesse che non aveva lo stesso significato di un nostro comune arrivederci che ignora l'augurio della parola, in giapponese sayonaria è una promessa reale, di un vedersi prossimo e sincero.

Mosse il dito poco più in giù, selezionò setsuzoki ( connessione – contatto), shiai ( contrapposizione) e shin ( anima). Il numero delle parole selezionate variava di settimana in settimana. Lui le fissava per poter creare dei collage, per inserirle nel reparto giusto del suo cervello.

Il tempo stava per scadere, non avrebbe acceso nuovamente le ire del suo datore di lavoro, e i suoi ritardi erano leggende tra i colleghi. Raccolse il materiale, salutò quelle anime compagne sotterranee, e si incamminò a passo veloce verso l'uscita.

Monsieur Forlain era un anonimo cartellino da timbrare regolarmente in un'anonima azienda di prodotti surgelati, a montparnasse. Non avrebbe mai potuto riposare al cimitiere du Pere Laschaise, perchè lui non era dottore in nessuna scienza, perchè a lui non sarebbe mai stato riservato nessun riconoscimento, perchè lui era solo capace di friggere patatine destinate ad essere surgelate sotto i tetti parigini. Per questo le sue ore al cimitero le ingoiava come un segreto, non si sarebbe mai permesso di sfidare il sistema classista dei suoi anni. No.No. Lui non ne sarebbe mai stato capace.