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domenica 29 maggio 2011

Le leggi della fisica

Questo racconto è dedicato a Pippo B. il quale ha dedicato un racconto a Pippo V., che dedica i suoi racconti a tutti ma che è troppo modesto per autodedicarsene uno.

“Erano sette, non uno di più!”. L'ostentata sicurezza con la quale mi veniva fornita quella risposta mi lasciava ancora più annoiato di quanto in realtà non fossi. “No, Mazzuola, sette erano i vizi capitali, io ti avevo chiesto i gironi infernali danteschi... Non ho mai sentito fesserie più grosse! Vai al posto. Uno!”.

Avete presente quando lanciate un oggetto in aria? Non importa quanta forza gli imprimiate, l'oggetto decelererà fino a fermarsi per un'istante, come se prendesse un attimo di riflessione sull'ormai inevitabile caduta. Io ero quell'oggetto, partito con le migliori aspettative sulla mia professione: docente di letteratura. Ero della generazione che si è lasciata commuovere da “L'attimo fuggente” e da lì avevo deciso di fare il professore. Un professore diverso, moderno, che capiva i suoi studenti trattandoli alla pari, come vere persone. Per un periodo fui veramente così, sentivo l'istruzione dei giovani come battaglia personale, per il futuro della conoscenza.
Ora però mi ritrovavo fermo a mezz'aria, pensando che ormai nulla fermerà la rovinosa caduta del mio entusiasmo. Ogni tanto mi fermavo durante le lezioni a guardare un punto fisso, in fondo all'aula senza capire cosa mi stava accadendo e suscitando l'ilarità dei miei studenti. Loro non sanno, non possono sapere cosa voglia dire non avere più interessi e voglia di fare.

Ore 13.00, suona la campanella. Mentre riordino i miei libri, infilandoli nella vecchia borsa di color marrone, guardo gli studenti uscire velocemente dall'aula con risa e schiamazzi. Per loro avrei potuto vivere lì, in quell'aula, poiché lì mi lasciavano alla loro uscita e lì mi ritrovavano al loro ritorno.

Messa la borsa rovinata sotto il braccio uscii defilato, non salutando nessuno. In sella alla mia bicicletta tornai a casa. Lì non mi aspettava una moglie, aveva deciso alcuni anni prima di lasciarmi poiché, testuali parole “Non mettevo intraprendenza nel nostro rapporto quanta ne mettessi nella scuola.”. Entrato in casa gettai il soprabito su una sedia, tutto era fuori ordine ma non mi importava. Pile interminabili di libri appoggiate sul pavimento facevano il mobilio della mia casa. Ultimamente preferivo guardare attraverso gli occhi di grandi scrittori piuttosto che attraverso i miei.
Non avevo fame, mi accasciai sul divano e lessi di grandi storie romantiche. Ad un certo punto mi addormentai, svegliandomi solo alcune ore più tardi. Ormai vivevo su quel divano, in un misto di immobilismo e pateticità. Mi accesi una sigaretta, i muri di quella casa trasudavano un odore di chiuso e tabacco. Quell'odore mi nauseava a tal punto che decisi di uscire, portandomi alcuni libri. Mi fermai al parco e, che novità, dal divano ero passato ad una panchina. Leggevo e fumavo, fumavo e leggevo. Schiodai lo sguardo dal libro solo quando la luce del giorno era ormai irrimediabilmente calata e non riuscivo più a leggere. Un po' scocciato dalla situazione, come se non capissi che il sole a quell'ora avrebbe dovuto tramontare, decisi di trasferirmi in un bar. Per sistemare lo stomaco sottosopra decisi di prendere un tè.

Seduto al bar, davanti alla tazza di tè caldo, vidi la donna più bella che occhio umano avesse mai potuto vedere. Nessuno scrittore mai avrebbe potuto descriverla senza allusioni paradisiache. Capelli neri non molto lunghi, occhi verdi e profondi, una pelle vellutata coperta solo da un trucco leggero. Tentai di ricomporre i miei capelli e i libri sparpagliati sul tavolo. Misi tutto sotto il braccio e spinto da una forza inaspettata mi avvicinai a lei. Non sapevo cosa le avrei detto, l'istinto aveva ormai preso il sopravvento sulla ragione. Stavo quasi per pronunciare qualcosa quando persi l'equilibrio, inciampai e caddi goffamente. Lei sorrise gentilmente, mi porse la mano e dalle sue morbide labbra uscì flebile la sua voce: “Piacere, Angela.”

Non tutti gli oggetti lanciati in aria si fermano solo prima di ricadere, potrebbe succedere che una piuma, ferma aspettando la sua sorte, venga di nuovo sospinta in alto da una fresca brezza estiva.

5 commenti:

  1. Spero che nessuno, te compreso, caschi nella trappola di continuare questa catena-dedica stratificata. Aspettando sempre la dedica risolutiva e definitiva del pivì.

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  2. me lo sono immaginato tutto...dalla prima all'ultima parola e poi di nuovo da capo... è bellisimmo! davvero :-)

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  3. ed il Paja esce dagli schemi....

    me pare un calciatore che fa goal....

    sventolano mille bandiere rosse.

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  4. Grazie a tutti! Ho voluto provare il filone sdolcinato (altrimenti sempre cinico non va bene).

    Dedico questo commento a me stesso che sono il re.

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