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giovedì 26 maggio 2011

Piove sempre sul bugnato.

L’ultimo tentativo fatto si era rivelato un errore sproporzionato.

Avrebbe dovuto ridimensionare la portata di quella ambizione che, troppo spesso, al termine della sua camminata, la lasciava disarmata di fronte a quella facciata così rigorosamente geometrica, di quella severa misura che non ammette alcuna imprecisione.

Si sentiva la donna più approssimata nella città in cui tutto venne inquadrato, in cui, ancora oggi, la regolarità immobile del bugnato sembrerebbe voler disciplinare le distrazioni dei passanti.

Aveva un cappello color rosso, un rosso carminio, una di quelle belle cloche che la aiutava a pensare, che la chiamava “Contessa”, e che ombrava le vicissitudini fiorentine dacché si era trasferita in quel riparato bugigattolo, all’angolo tra via dei malcontenti e la strada dei Pepi, poco più in là dal profilarsi della Cappella dei Pazzi. La sua esistenza era qui, circoscritta nel raggio di una qualche decina di metri, in una strada cadenzata da ruvidi palazzi e accentata da presenze monolitiche che la indirizzavano al conservatorio. Studiava il piano con gran talento, abilità che le permise di conoscere e spesso di approfondire legami con celebri personalità che passavano al teatro della Pergola.

A tale proposito in città correva voce che la nobile titolatura le fosse stata affibbiata da un celebre soprano che, giunto in tournée nelle vesti della mozartiana Contessa d’Almaviva, rimase affascinato, non tanto dalla “Contessa”, quanto dalla rossa cloche che tanto faceva Contessa colei che la indossava.

Ebbe il cappello in prestito per lo spettacolo, lei, un appellativo per la vita;

non stava poi così male nei ranghi di un’immaginaria nobildonna emergente che alla domanda “ E’ lei la tanto famigerata “Contessa?” poteva rispondere con genealogie sempre più strampalate, verosimilmente condite da episodi di dubbia autenticità. Amava inventare, favellare apertamente con argomentazioni che cercava di rendere convincenti per vedere fino a dove si sarebbe potuta spingere, aveva acquisito un insano gusto nell’ingannare, nell’ingannarsi.

Convinse sé stessa di essere una ricca aristocratica fiorentina, caparbia governatrice imparentata con i Medici, al potere fino a quando un tumulto popolare la destituì dalla carica e la privò di quella bella e carminia corona. Fermi!Fermi! sono pazza solo per gioco.. restituitemi subito la mia cloche!.


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