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lunedì 11 luglio 2011

Maledetto, maledetto APERITIVO!

"...è rimasto qualcuno vivo, qualche superstite?"
"Certo, sono andati a fare l'aperitivo...”
Mi rispondi.

Ma che dice mai? Lo sai? Si lo sai. Quanto è importante questo. Devo scrivere queste cose. Sono i miei viaggi più intimi. Io mi apro a te e tu mi distruggi, mi apri, mi scavi, mi svuoti, mi richiudi con ago e filo e mi getti nel fiume, guardandomi galleggiare e prendere il largo verso una foce a delta o a estuario in un mare qualunque, mentre attraverso le imprecise cuciture che tengono unite le mie membra, piano piano si fa avanti l’acqua.

Tempo qualche minuto è affonderò a grattare il fiume con i miei mocassini ad arare i fondali, a smuovere fangose polveri a disfare il letto del fiume contribuendo all’intorbidirsi dell’acqua che già mi soffoca, ma così è anche peggio.

Ma è rimasto qualcuno vivo?
Qualche superstite?
Qualcuno vivo?
Qualcuno?

Dei superstiti? Si dove sono?

A fare l’aperitivo.

No, che risposta di merda. Non me la dovevi dare. A me serve il to aiuto. Ti ho chiesto una mano. Non darmi queste risposte sceme.

Sei giovane, i tuoi capelli sono lunghi, lisci bruni, del colore dei tuoi occhi che è il colore del cielo limpido di notte. Del cielo limpido di notte, andando a ritagliare quelle piccole porzioni di cielo nero etere senza le stelle.
E poi sono grandi i tuoi occhi.
Mi assomigli molto. Mi conosci molto.
Sei mia sorella.

Perché non mi prendi sul serio.

Paga tu il mio caffè per piacere. E mi alzo dal tavolo. Vado via.

Mi porto via i tuoi occhi ma solo perché sono i miei. Perché non mi prendi sul serio?

Devo capire. Devo capire. I superstiti. Quello è l’autobus che mi riporterà a casa.
Lo prendo dal senso opposto così mi porta altrove. Così potrò avere del tempo per pensare. Eccolo.

Garda quest’autista. Potrei chiedere a lui. Dei superstiti.

Ma guardatelo. Ha il viso appoggiato ai suoi baffi polverosi. Lo sguardo che è così intento a trasmettere il niente che l’iride si dimentica di restringersi in presenza di luce. Infatti indossa occhiali da sole anche se sono le 17 ormai. O almeno lo saranno. Dal buio che arriva. In più c’è il mio berretto di alpacha in stile peruviano che sulla mia testa simboleggia l’inverno. Inverno, 17, occhiali da sole. E il nulla quotidiano dietro. Ma che volete mai? Guardatelo ancora. 8 ore di turno per compiere un giro di 30 minuti da un capolinea all’altro.
Immaginatevi la ripetitiva noia del quotidiano di quest’uomo.
E ditemi, quando va a casa? Mezzora in canottiera, poi a portare fuori il cane. Poi a casa. Dormire. Svegliarsi e guidare. Gli va bene se una volta ogni tanto buca una gomma o si incendia il bus.
O se gli muore il cane. Potrà variare un attimo la sua routine eliminando il rito di menare un animale all’aperto per cagare, al fine di non farlo scoppiare della sua stessa merda. Magari per un periodo si farà bastare di vuotare la pattumiera.
Oppure se ne comprerà un altro. Questo gli darebbe un senso di nuovo, di scintillante, di plastica profumata. Fino a tornare alla stantia puzza di cagnone fabbrica merda. E allora la sua morte sarà così lontana da far figurare come prossimo diversivo l’ennesima gomma bucata.
No lui non sa che fine hanno fatto i superstiti credetemi.

Il bus è vuoto. Oh no c’è una vecchietta. La vedo. Mi siedo vicino a lei.
Puzza di profumo.
E’ un profumo barocco. Lo sento tirandolo su con il naso. Non è una liscia scia di fiori di arancio delicatamente e ordinatamente disposti su di una fila. Ma piuttosto un rococò di indefinite fragranze che assumono forme di ingranaggi di vecchie biciclette polverose e violacee che corrono nell’aria e la fanno a pezzi sospinte da poderose pedalate.
Mi da piacevolmente la nausea.
La guardo. La fisso. La studio.
Dimmi signora.
Spiegami nonnina.
Rispondimi vecchia.

Ma è rimasto qualcuno vivo?
Qualche superstite?
Qualcuno vivo?
Qualcuno?

Dei superstiti? Si, dove sono?

Lo devo sapere.
Non posso capire da cosa l’ho dedotto, ma lei sa. Lo vedo dai suoi occhi che mi ricordano gli occhi di una gallina. Dalla sua pelle macchiata.
E se lei sa che mi dica, così che possa saperlo anch’io.
Non mi risponde.

Nessun indizio nemmeno dal suo odore acre di profumo ottocentesco. Me ne devo andare se non voglio che la mia pelle si bruci a causa di questo odore violaceo. Potrei finire corroso come la sua borsetta.

Ma perché non mi ha risposto. Forse perché non le ho parlato e non ho aperto bocca.

Scendo dal bus, sono esattamente in un posto preciso che per me vale niente. Ma giusto per respirare un po’ di aria gelida e togliermi il berretto di alpacha con un gesto veloce. Che mi scombina i capelli. Tanto ora ci metto le mani, tra i capelli.

Tu, voi, io.

Ma è rimasto qualcuno vivo?
Qualche superstite?
Qualcuno vivo?
Qualcuno?

Dei superstiti? Si dove sono?

Sto impazzendo. Mi accovaccio per terra. Vorrei urlare. Sento i piedi affondare nella polvere. Quella polvere che mi perseguita. I fondali polverosi, i baffi polverosi, le biciclette polverose. E’ la mia risposta? Lo è. Li al suolo, sotto i miei piedi. La polvere. Potrei raccoglierla ma mi scivolerebbe via tra le dita o rapita dal vento.

Mi alzo, mi rimetto il Berretto. Tolgo la polvere dai jeans e dal mio cappotto corto. Tutto con una certa cura.
Ma sì.
Alla fine…
Che importa.

Ma si. Dai.

Sono andati a fare l’aperitivo.

Quegli stronzi.

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