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domenica 5 settembre 2010

senza titolo. che è un titolo.

Purtroppo tutto finisce. Nonostante tutto, nonostante noi. Tutto finisce. L’infinito, contrario di finito, trova conferme solo nei dizionari matematico-religioso; l’infinito, contrario di finito, instaura solo legami magici con la realtà (o quanto meno con quella che i più chiamano realtà): gl’infiniti punti esistenti nel segmento AB, stanno come il coniglio bianco sta nel cilindro del fattucchiere; la voce di una vita infinita appartiene a vorticose trance fideistiche, a pennuti sciamani o a otomanti rivoluzionarie. La parola fine invece è assettata, rincorre solletica rimanda e infine (per l’appunto), come un boia, decapita tutto. Provate a pensare, banalmente, ad una storia d’amore, ad un contratto di lavoro o al cono di gelato solitario rimasto orfano delle, già mangiate, palline o alla finale del mondiale che imperterrita ambisce alla continua suspance ma che dopo novanta minuti, dopo i supplementari, dopo i rigori, finisce in un veloce triplice fischio. Insomma il destino di ciò che appartiene all’essenza del tangibile quotidiano concreto è legato al cappio della parola fine. Tutto. Tutto. Tutto tranne lei: la luce rossa del semaforo all’altezza del ventisettesimo albero, in corrispondenza del civico 5 di via Postumia.La luce rossa che dichiarò guerra alla tirannia di abdicare in costanze cicliche a favore di un scialbo verde (tanto scialbo che i trafficanti di via Postumia avevano avanzato solleciti per il rinforzo delle verdi luci). Io fui l’ultimo essere umano che vide il verde del semaforo di via Postumia.

Al solito l’invernale pedalata mattutina rispondeva solo al moto meccanico di gambe ancora vogliose di piumoni caldi, al solito l’invernale mia essenza mattutina era testimoniata dall’incontro dell’aria fredda con il mio respirare caldo, al solito, con la puntualità di un disonesto esattore, inforcavo il sellino di una graziella cestinata anni 80 e mi dirigevo alla postazione informatizzata, garante di novecento euro mensili. Con alito misto caffèmentadeldentifricio salutavo Tiziano, il panettiere, dissipavo, cercando di ridurre gli sprechi modificando la mia geometria per massimizzare la condizione di non fatica, tutta l’energia potenziale che il leggero dislivello m’offriva, poi una curva a sinistra, poi viale alberato di via Postumia. Alzavo lo sguardo. Vedevo duecento metri, ventisette alberi d’arredo urbano di fronte a me: la distanza tra il modesto lavoratore ciclato e la luce verde del semaforo. Niente tra me e lui, tra lui e me; né macchine rumorose né motorini imbizzarriti né cani cercatori di siti adatti alle cacche mattiniere. Nel vuoto d’asfalto i muscoli degl’arti inferiori disinnescano il commando automatico e la pedalata si fa leggermente più vivace. Vivacità subito fermata dallo scoccare impietoso della luce gialla: mancavano almeno centocinquanta metri, il freddo e la sciarpa non mi garantivano si e no i dodici all’ora, il semaforo giallo durava in media quattro secondi: non c’è l’avrei mai fatta. Così ripiegavo in una seduta coccolata dal giaccone, osservavo la nascita della luce rossa e mi accomodavo, diligentemente, in attesa appena al di là della linea bianca dello stop.

Non so cosa successe poi. Le condizioni di uomoappenasvegliato non reggevano la registrazione dei moti e delle azioni del mio intorno. So solo che la linea bianca chinava al suo cospetto me ed altri 4 ciclomotori, sei automobili e un autobus di linea. So solo che mi resi conto che avrei potuto recitare a memoria il programma della sagra del gnocco fritto di Grandese e che avrei potuto disegnare ad occhi chiusi il paladino scudato padano, seppur di certo io non sia per il partito dei bigotti. Addirittura mi sentivo invitato al matrimonio di Luigi e Lucia, sconosciuti che diventavano sposi proprio quel giorno.

La luce rossa dominava ormani da più di sette minuti (erano già passate due tracce sull’i-pod). Il colpo di stato era stato messo in atto. Il potere rosso dominava sul tempo, sugl’auto mezzi, sulle bici, sullo spazio chiamato via Postumia, sul giallo e sul verde.

Al che girai la bici e ritornai a letto.

Ogni riferimento e luogo è puramente casuale. Anche perché chi cazzo mai si ferma con la bici ad un semaforo rosso??

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