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lunedì 13 settembre 2010

la lettera

"Ancora intorpidito dal sonno si diresse verso la porta di casa, curioso di sapere chi potesse essere a quell'ora del mattino..."

Aprì la porta e si trovò di fronte il solito pianerottolo un po’ vecchio con i muri scrostati, il tappeto con una faccina di cane sbiadita che diceva “benvenuto” ma non l’autore di quel fastidioso e quanto mai inappropriato toc toc. A carol non piaceva essere svegliato nel bel mezzo dei suoi sogni, soprattutto se riguardavano avventure amorose e quanto mai improbabili con uomini sconosciuti. E quella era stata una delle volte. Quindi con un fare più che svogliato si era alzato dal letto con i pantaloni mezzi calati, una canotta da uomo rude anche un po’ sporca di marmellata della sera precedente e aveva aperto quella maledetta porta. Mezzo rintronato stava per richiuderla non vedendo nulla al suo cospetto ma con la coda dell’occhio apparve una piccola minuscola lettera sul tappeto. La prese, era sporca e smunta come se qualcuno l’avesse rigirata fra le mani mille e mille volte prima di recapitarla. Si sedette sul tavolo, pose sul naso gli occhiali da lettura mentre il caffè saliva e aprì la lettera.

Domani, al parco in centrò alla città, terza panchina vicino alla fontana, ore 15. Domani potrai parlarle.

Per un momento non riuscì a collegare..chi? chi era? La testa gli doleva e cominciavano a girargli vorticosamente mille e mille pensieri per la mente tanto da fargli venire il capogiro, il suono del caffè lo ridestò.. troppo tardi totalmente bruciato. Non poteva essere pensò, dopo tutto questo tempo, non poteva essere.. come, chi?

Carol aveva trentasei anni, un artista, uno scultore, con poco successo ultimamente ma pur sempre un’artista, uno di quelli tipici che cadono in depressione di tanto in tanto fumano ad ogni ora del giorno, bevono the verde per compensare, drogati di se stessi e della caffeina, capelli lunghi arruffati con qualche striatura bianca, rughe sotto gli occhi più accennate del dovuto.. insomma uno stereotipo di se stesso. E come molti artisti era affascinante a tal punto da potersi permettere una donna per ogni notte e una solitudine fredda ogni mattina. La sua attenzione però,. Diciamo che non andava nella direzione usuale dell’amore ma bensì era rivolta ad uomini come lui. Solo una volta ancora piuttosto giovane e un po’ confuso era andato a letto con una donna, era stato strano, in quel momento aveva capito che non era fatto per quel modo di vivere, che agiva come un manichino a cui avevano dato una parte da recitare. Era stata una notte, ma a quanto pare era bastata eccome. L’aveva sentito che qualcosa era cambiato ma non pensava che questo cambiamento si fosse incarnato in un pargoletto che ora era una piccola donna. Lo aveva scoperto qualche tempo prima; all’inizio non voleva crederci. uno squillo di telefono l’unica donna della sua vita che fra le lacrime glielo aveva confessato, non poteva pensare che fosse vero, non poteva crederlo. Sì insomma, una volta sola, era proprio sfiga, ma questo non osò dirlo. Non sapeva cosa fare, così pensò che la cosa più naturale fosse parlarle, conoscerla, capire. La donna non sembrava convinta, non voleva turbare la ragazza. Ma promise di pensarci e .. e poi ecco la lettera. Maledizione. Domani è già domani si insomma se oggi è oggi domani è fra poche ore cominciò a farfugliare fra se e se.. cose le potrò dire? Quanta sofferenza deve aver provato? Mi crederà? Mi odierà?

L’autunno era già arrivato da qualche giorno, le foglie gialle stanche della lunga attesa si accasciavano sfinite sul terreno brullo, carol si affacciava alla finestra del suo atelier e cercava un perché fra le foglie, fra le fronde rade, fra le stradine, i passanti.. ma nulla. Non c’era un motivo, non c’era una spiegazione, un perché. Aveva una figlia. Una cazzutissima figlia con tutti i suoi problemi adolescenziali, i ragazzi, le mestruazioni, la vita sessuale, la dieta, le mode... basta! Doveva uscire, schiarirsi le idee.

Prese l’ombrello nero british e scavalcò l’uscio verso la liberazione della mente. Camminò per qualche migliaio di metri e poi ancora e ancora fino a sfiancare le sue gambe, fino a tentare di sfiancare la sua testa. Come avrebbe fatto ad affrontare tutto questo? Il giorno dopo arrivò con immensa velocità molta di più di quella che carol volesse. Alle 14.20 si incamminò con calma verso il parco, ogni strada sembrava troppo corta, ogni persona un’inquisizione, una domanda, il cielo carico di pioggia aspettava anch’esso il momento giusto. Arrivò vicino alla fontana, vicino alle tre panchine. E la vide. Una bellissima ragazzina, capelli mori e lunghi, lo sguardo profondo, le guance rosse per il vento, labbra carnose, un corpo acerbo ma slanciato alla futura bellezza, un vestito beige lungo fino al ginocchio, stretto in vita e un modo composto, quasi perfetto di sedersi. In attesa. In attesa. Il suo viso rivolto alla fontana, le mani contorte e infreddolite. A carol si strinse il cuore. Il passo stava per essere fatto. Ma improvvisamente si fermò. No non poteva, non poteva andare là e sconvolgerle la vita, non poteva dirle ciao sono io il tuo padre omosessuale, come stai? No, non avrebbe potuto. Lui non ce la faceva, era troppo fragile, non riusciva ad affrontare una responsabilità così, aveva già la sua vita, le sue responsabilità, le sue depressioni era una persona mediocre dopotutto non avrebbe mai potuto essere accettato da lei, non era abbastanza. Non le avrebbe dato quello che le serviva. No non posso sussurrò. Abbassò lo sguardo e tornò pian piano sui suoi passi. Era solo un semplice uomo non si poteva pretendere di più si disse. Una leggera pioggia cominciò a scendere. Un uomo sconfitto da se stesso si allontanava verso la sua casa e una ragazza inconsapevole aveva nuovamente perso un suo possibile futuro.

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