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sabato 25 settembre 2010

I pentiti

Ancora intorpidita dal sonno si diresse verso la porta di casa, curiosa di sapere chi potesse essere a quell'ora del mattino. Aprì la pesante porta scura. Un uomo. Baffetti curati, abbigliamento decisamente demodè, quasi ridicolo, un profilo austero ostinatamente rigido. Le ci volle un pò prima di capire dove fosse, chi era lei e chi era l'uomo che le stava davanti, silenzioso come una statua. Dopotutto, si era appena svegliata. Fissò nel vuoto per una manciata di secondi quando, all'improvviso, ecco che spalancò gli occhi e non riuscì a credere a ciò che stava vedendo:l'uomo davanti a lei era proprio lui, era Josip Djugashvili, per amici e nemici, semplicemente, Stalin. L'uomo non modificò la sua espressione nemmeno per un istante, non mostrò alcun movimento muscolare simile ad un sorriso ma, con assoluta spontaneità, entrò in casa. Andò spedito verso la poltrona più comoda del salotto, si sedette e, sempre in silenzio, aspettò. La ragazza, completamente impietrita, pensò come prima cosa da darsi un pizzicotto sulle coscie calde di letto, ma non riuscì a fare altro che raggiungere l'angolo del suo salotto dove sedeva nientepopodimeno che Stalin e prese posto, muovendosi come un automa, sulla poltrona scomoda di fronte al grande dittatore. Senza nessuna presentazione, o tantomeno spiegazione, l'uomo baffuto cominciò a raccontare alla ragazza di tutto il male che aveva fatto. Parlava allo stesso modo in cui si parla ad un prete in un confessionale, parlava e si pentiva. Finito l'elenco di atrocità piccole e grandi, inedite e conosciute, com'era arrivato, se ne andò. La ragazza rimase per un minuto, o forse un'ora, o forse tutto il giorno, incollata alla poltrona, con la bocca asciutta. Era completamente shockata. Mai a nessuno era successa una cosa del genere. Cercando di convincersi della propria sanità mentale, tentò con mille sforzi di passare il resto della giornata pensando il meno possibile all'accaduto. Il giorno dopo, alla stessa ora del mattino,lo stesso trillo del campanello. Senza accendere il cervello si trascinò, scalza, verso l'uscio e aprì. Un uomo in abiti romani, un peplo bianco lungo fino ai piedi e una stupida corona d'alloro in testa. "Oh Gesù", pensò, "è Nerone". Con la stessa dinamica del giorno prima il personaggio entrò con passo sicuro nella dimora della povera ragazza, a quel punto completamente sbalordita, e si sedette. Allo stesso modo, l'antico romano cominciò a scorrere verbalmente le porcherie che aveva commesso, dimostrando pentimento. La ragazza non fiatava. E così successe per i dì a venire. Un giorno aprì la porta a Napoleone, il giorno successivo sedeva sulla sua poltrona preferita il generale Custer, un'altra volta si trovò ad ascoltare i peccati di Al Capone. Tutti i personaggi nominati nei libri di storia stavano passando da casa sua. La ragazza, dopo la terza o quarta visita bizzarra, smise anche di domendarsi se fosse impazzita, o se fosse un sogno, o se fosse morta e finita in uno specie di psichedelico aldilà. Oramai accettava questa particolarissima routine e, giorno dopo giorno, cominciò a guardare a quelle persone sempre più come a esseri umani e meno come personaggi da manuale di storia. Nel suo silenzioso ascolto comprendeva come ogni essere umano sia in realtà diabolico, perchè potenzialmente capace di azioni diaboliche. Capì come ogni uomo o donna sviluppi atteggiamenti e intenzioni negative. Ognuno nel suo piccolo è distruttivo, solo che in alcuni esseri umani la combinazione di fattori negativi, interni, esterni, lunari, divini, casuali, sfocia nella distruzione estrema e compulsiva di qualcosa, di intere masse di uomini, ad esempio. La ragazza, nel suo silenzioso ascolto, accoglieva in sè la storia intera, una storia disperatamente umana.

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