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lunedì 27 settembre 2010

IO

“Io sono giovane. Io sono bello. Io ho tutto..

Io sono il più grande sostenitore dell' egoscienza;

tutta colpa di Nietzsche che me la pose sul piatto negli anni liceali.

Il mio interesse sono Io, i miei movimenti, il mio serbatoio celeste.

Ho capito di dover indagare su di me quando all'esterno non ho visto nessuno specchio, nessuna similitudine molecolare.

E così parlo più volentieri con me che con la costellazione di pagliacci là fuori, a parte qualche rara occasione.

Sono narcisista: Boccadoro mi tediava.

Costruisco in continuazione la mia immagine, giro sempre attorno al mio ombelico.

Forgio pensieri circolari: tutti partono e ritornano al mio Io.

Sono un irritante presuntuoso: svaluto ogni improvvisazione esterna del bello.

Non commetterò lo stesso errore di Dorian Gray, imprigionato dalla sua bellezza, aspettando di distruggere la sua immagine.

Io sposo l' autosufficienza e comunico solo ogni tanto con la storia, con qualche biografia di anime elette.

Affino nel silenzio le mie spade, lucidandole ogni giorno, per colpire l'ignoranza esterna e volgare.

La psicoanalisi, Freud e i suoi seguaci mi grattano la fronte.

Ma ciò che dovevo scoprire di me è già stato scoperto, ora penso solo a quando la morte mi staccherà dal mio Io.

“Io” è il pronome personale che preferisco, il “Tu”, il “Noi”, sono solo connotazioni ipocrite che la grammatica scolastica mi ha imposto.

Solo Io sono il padrone del mio mondo, non voglio interferenze spicciole d'affetto né pulsioni perdenti d'amore.”

La dottoressa Agnese lavorava nell'ospedale psichiatrico di Sant'Antonio da ormai vent'anni; era abituata ai gridi satanici di quelle mura, alle bave nervose dei suoi pazienti, ai colpi di testa ripetuti sul tavolo.

Ma gli scritti che trovava scolpiti nel muro della stanza di quel ragazzo, le bruciavano i nervi.

Nessun caso da lei affrontato presentava margini così assoluti di isolamento.

Quel ragazzo ossuto e spigoloso non interagiva con lei in nessun modo, ma il suo ruolo di salvatrice di anime le era sempre riuscito bene. Non avrebbe fallito con il ragazzo, a costo di fare straordinari e di ricopiare meticolosamente in cartelle tutti gli sputi che le lasciava nel muro.

Il ragazzo era estremamente colto, sottolineava e strappava pagine di libri in continuazione, le nascondeva tra le lenzuola.

Non voleva ammettere nessun tipo di debolezza, di inclinazione caratteriale.

Se ne stava tutto il giorno a giocare a scacchi con il suo Io, non rivolgeva nessuna parola agli altri, rifiutava i psicofarmaci, negava colori e carezze.

Era di una bellezza ammaliante, un Apollo terreno che contrastava con i capelli unti, le bocche storte, le facce cadenti e le gobbe arcigne degli altri pazienti.

Ma la sua bellezza contrastava anche con il buio cenere della sua gabbia: la sua testa che balzava sopra ogni pensiero.

Ormai era più di un anno che lo aveva in cura. Tutte le tecniche che con gli altri pazienti prospettavano miglioramenti, con lui erano solo ripetuti buchi nell'acqua.

Durante le ore di seduta obbligatoria lo provocava con qualsiasi ingegno mentale, ma la psicoanalisi per il suo caso non dava risposte.

E così la seduta finiva con un soliloquio della dottoressa che accumulava rami secchi nella testa.

Solo una volta il ragazzo pronunciò una parola, lanciandola a velocità irruenta nella stanza, quasi per compassione per i teneri sforzi della dottoressa.

Era un'unica parola, senza orpelli e senza parafrasi: “Rivoluzione”.

Vomitò quella parola con un filo di voce, si alzò di scatto, ghignò saccente e girò le spalle, lasciando la dottoressa con quel solo unico elemento che le premeva sulle tempie.

Rivoluzione da cosa?

Per chi?

Ora?

Rivoluzione culturale? Psichica?

Rabbiosa?

Dopo il lancio di quella parola seguì il nulla, se non contorsioni di vuoti e di silenzi.

Erano passati due mesi e la dottoressa stava mollando, riconoscendo i limiti della sua missione. Chiuse la cartella clinica, erano le otto, doveva tornare a casa a baciare i piedini della figlia, a far riposare le sue domande, a bere del tè caldo.

Decise un ultimo tentativo, si precipitò decisa e a passo veloce nella stanza del ragazzo e urlò: “ Rivoluzione dall'Io?!”

Dopo pochi istanti vide il corpo neoclassico del ragazzo nude e molle appeso al soffitto, con il viso pendente e un lembo di lenzuolo girato attorno al collo.

Il suicidio della rivoluzione.

La dottoressa si chinò al suolo per il tremolio improvviso delle gambe.

E pianse.

Pianse per quell' inconciliazione sospesa dell' Io.

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