L'incipit della settimana

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domenica 4 settembre 2011

4.

– Maledizione! Lo sapevo che mi avresti seguito. Adesso sali in macchina e non fiatare! –

Accompagnò la frase con un cenno della testa e lui saltò su accoccolandosi sul sedile del passeggero.

L’uomo alla guida si allungò sboffonchiando e tirò la portiera di destra facendola sbattere, poi via, partì sgommando lungo la statale buia.

– Che diavolo ti passa per la testa? Tu non ci puoi venire con me, riesci a capirlo? –

Gli lanciò un’occhiata cattiva.

– No, non ti conviene proprio seguirmi brutta bestiaccia. Ma che ti parlo a fare, poi? –

Sul sedile il bastardino mezza taglia ansimava con la lingua di fuori, gettato esausto contro lo schienale e le zampe posteriori accartocciate per tenersi in equilibrio in quella strana posizione. Il petto peloso tamburellava ritmicamente frapponendo i movimenti del respiro ai battiti del cuore.

– Come cazzo hai fatto a spezzarla? – disse l’uomo lasciando cadere l’occhio sull’estremità sfibrata della corda con cui aveva legato l’animale in una pompa di benzina chiusa, alcuni chilometri prima.

L’aveva visto solo molto dopo quando aveva imboccato una zona vagamente abitata, l’illuminazione smorta gli aveva permesso di notare la sagoma che zompava a tutta birra seguendo la sua machina. Di colpo aveva accelerato per sbarazzarsene, poi un pensiero improvviso gli aveva scatenato un moto di preoccupazione, assai inspiegabile vista la situazione in cui si trovava. Si era preoccupato che là, in mezzo alla strada si perdesse e qualcuno lo tirasse sotto con l’auto, e quel pensiero era bastato a riaprirgli una fessura di coscienza e si era lasciato commuovere da quel gesto di fedeltà. Che coglione di cane.

– Ti avevo detto di restare là, brutto stronzo. La mattina ti trovavano, e ti avrebbero riportato a casa. – Pausa. – Però sei proprio ci tieni. Tanto cosa vuoi, tu neanche capisci cosa succede… –

Scoppiò in una risata isterica. Una risata piena di dolore. Si passò una mano sulla bocca come a togliere i pensieri che vi erano rimasti impigliati, e imboccò la tangenziale.

I primi fari di altri esseri viventi comparvero davanti a lui. Il piede sull’acceleratore, e il tachimetro cominciò a salire.

– Stiamo andando. – bisbigliò lentamente.

I suoi occhi fissi si accorgevano a malapena della presenza della strada al di là del vetro, il passaggio ticchettante dei lampioni scandiva di luce arancione un’espressione scura e totalmente assente.

– Dovresti essere a casa. Domani lei sarà triste se non ti troverà. – cominciò a dire, un po’ tra sé e un po’ al bizzarro compagno di viaggio.

– Sua madre non può vederli i cani, non gliene comprerà mai un altro… Se non ci fossi stato io, a insistere che è un bene che i bambini crescano con un animale. Adesso…sentirà la tua mancanza. – il tono si fece malinconico.

Silenzio, e poi di soprassalto con tono energico – Ah, brava bestiaccia…! Alla tua età, hai fatto proprio una bella corsa…però non hai scelto la macchina giusta a cui chiedere un passaggio, eh… È tutto uno schifo.

– Sai, tutti ti dicono che le cose cambiano, si aggiustano, ma io non ce la faccio a restare, no proprio non ce la faccio a restare a guardare questo schifo, gli occhi degli altri a giudicare il fallimento che hai creato, checcazzo!, no io… Non ce la faccio a guardare ancora quegli occhi benpensanti, sai ti fanno credere d’essere solidali e invece ti stanno già bisbigliando la loro riprovazione e il disgusto, come se quella massa di merda fosse superiore! Io no, non ci resto, non mi faccio giudicare da questa feccia. Non sopporto che mi guardino così. È meglio che non mi vedano più, è meglio che sparisca.

– Non è facile sai, adesso…non è neanche più essere un uomo. Gli sguardi…Non li reggo più, ne sento i pensieri, le parole che si insinuano, dopo quello che è successo non…Sì, è meglio così. È meglio non incontrare tutti quegli sguardi luridi e delusi… Cancellarli, sì...farli sparire. –

Il piede sprofondò nell’acceleratore, e la macchina sfuggì via come un puledro lanciato in folle corsa, il volante che non si teneva quasi più.

A sinistra, un po’ più a sinistra fino a trovarsi nella corsia opposta. Due bagliori in lontananza.

L’uomo teneva fisso lo sguardo davanti a sé, la mascella serrata e lo scandire dei riflessi dei lampioni che martellavano a intervalli sempre più ravvicinati il suo viso in ombra. C’erano solo quei due bagliori man mano più grandi e che ora si nascondevano dietro una curva.


Il cane aveva ripreso a respirare tranquillamente. Le due luci ricomparvero enormi all’angolo della curva, l’uomo le fissò con occhi sbarrati come quelli di un animale in trappola mentre venivano verso di lui.

Il cane fece solo un guaito quando andò a sbattere sul freno a mano per la virata improvvisa. Neppure aveva percepito l’incombenza della morte…A proposito di sesto senso animale. La macchina era tornata nella corsia di marcia.

L’uomo si passò una mano sulla fronte sudata, respirando pesante come un toro. Non spostò lo sguardo, gli occhi fissi sulla zona d’ombra oltre il cono di luce dei fari.

Nei minuti di silenzio irreale che seguirono la macchina imboccò una statale. – C’è un nulla che fa quasi freddo, in queste campagne. – se ne uscì con una voce sorprendentemente limpida.

– Preferirei che non si sentisse più niente a quel punto…non freddo, non buio. Niente. Come quei sonni che sembrano un battito di ciglia, senza sogni né pensieri. Magari avesse ragione Socrate. Già, solo…un peso a cui abbandonarsi. –

Lo disse con una voce greve. Gli occhi si fecero pulsanti e cominciarono a naufragare in quel buio brulicante.

– Che altro c’è da fare? Io non posso restare, non così capisci? Non sono neanche più un uomo. Non ce la faccio a guardare quello schifo che getteranno, e la mia vita fatta a pezzi, è meglio così, non sapere più niente. Forse staranno meglio tutti. …Io NO, non ci resto a guardare. Non voglio rispondere a nessuna domanda. Non…non si è più neppure un uomo a quel punto, capisci? Quando si distrugge in questo modo tutto quello che hai attorno a te, il rispetto della gente, la tua autorità…senza il rispetto che cosa ti resta? Mi sono sfuggiti, mi sono sfuggiti tutti. Le cose…le cose non funzionano, no, io…io non ho più il controllo di nulla, che cazzo di uomo… Io sono un uomo cazzo, NON…non starò lì a guardarli sputare sulla mia faccia. Sono un uomo…come un uomo si vive, e allora muoio anche da uomo. –

Un bivio frontale lo distrasse dai suoi pensieri. Uno sbotto di voce tinto d’ironia fece vibrare il suo tono fermo. – Chissà cosa dirà domani mattina.

– Le racconteranno sicuramente qualcosa, chissà quante…CAZZATE dovrà sentire. Chissà cosa le spiegheranno della vita. Come le spiegheranno tutto questo. Vedi stupida bestia, dovresti essere giù da questa macchina così domani torneresti a casa. Le riporteranno a casa qualcosa. Lei ti adora… E invece no, guarda te. – sorrise tra sé – Bravo idiota, a me sei rimasto accanto..! –

La macchina procedeva in una sorta di limbo terreno, privo di esseri viventi.

– Le dirà che sono un vigliacco, che me ne sono andato così. Che sono scappato. Magari…finirà anche per crederci. E forse si domanderà per tutta la vita se mi sono fermato a guardarla un’ultima volta, prima di andarmene nella notte. Dio, magari se lo domanderà senza trovare mai una risposta..! –

Il silenzio ricadde nell’abitacolo. L’insegna di un paese.

– Guarda. Pensa che qui ci siamo venuti da morosi, non ci devo essere più ripassato da allora. Tornavamo da un viaggio in Toscana e avevamo sbagliato qualcosa nel fare tutte quelle strade provinciali. Mi ricordo, sì, la trattoria e la chiesetta. C’era anche una leggenda, ma chi se la ricorda più… Le piaceva quando le raccontavo le storie e spiegavo le cose come se venissero dai libri. Come alla piccola. –

Silenzio. – È… – Pausa.

– È…che non ce la si fa a rinunciarci, sai? Io non voglio pensare di non essere più tutto questo. Ho perso il controllo, dovevo stare più attento…adesso è successo, e allora…come si torna indietro? Non si può, non ce la si fa a tornare indietro, io non ce la faccio a pensare agli sguardi…

– Non posso immaginare la delusione nei loro, di occhi. La vergogna. No, non voglio restare da solo. Non posso. –


La macchina prese una strada più grande, e sbucò in una rotonda. Le indicazioni portavano nei paesi limitrofi, a destra tornavano verso casa. A sinistra, l’autostrada.

1 commento:

  1. Era ora :)

    mi piace l'idea, non è che sia un suicida, è un aspirante suicida... il cane lo disturba, quando guardo il mio di cane penso sempre che sia l'esempio della sicura esistenza dell'affetto sincero, evviva i cani!

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