L'incipit della settimana

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venerdì 2 settembre 2011

3. IN CORPUS DOMINAE

Ogni uomo che prega o profetizza a capo coperto, disonora il suo capo; 5al contrario, ogni donna che prega o profetizza a capo scoperto, disonora la sua testa, perché è come se fosse rasa.

[…] 7L'uomo, invece, non deve coprirsi la testa, perché è immagine e gloria di Dio; mentre la donna è gloria dell'uomo. 8Infatti, l'uomo non ebbe origine dalla donna, ma fu la donna ad esser tratta dall'uomo; 9né fu creato l'uomo per la donna, bensì la donna per l'uomo. 10Quindi la donna deve portare sul capo il segno della potestà per riguardo agli Angeli. (Dalla ''Prima Lettera ai Corinzi'')


C’è per caso qualche legge che mi proibisca di guardare una donna? Qualche legge divina ben esplicitata in un passo delle Sacre Scritture, forse in qualche paragrafo astruso che non è ancora permesso disgelare alla mia età acerba?

Il parroco mi rimprovera con uno sguardo truce sul momento, e dopo con una sonora sberlona nella sagrestia mentre ci spogliamo dei paramenti, se mi pizzica a sostare troppo a lungo su un particolare delle pie donne delle prime file.

Probabilmente non è bene ciò che faccio, dev’essere così visto che accompagna sempre la discesa implacabile delle cinque dita con un robusto invito alla decenza, seguito da sgradevoli epiteti. Ma io proprio non capisco. E come si fa a star lontano con lo sguardo da quei corpi penitenti che trasudano religiosità carnale nell’afa della chiesa.

No, non c’è niente di male in loro, se sono tanto pie da venire ogni domenica attraverso la campagna rovente, coi manicotti lunghi tirati sulle braccia a soffocarle e a proteggerle dalla volgarità di una pelle arsa dal sole, non ci dev’essere nulla di sbagliato nel rimirarne il pregare ansimante e madido che scolpisce le loro forme celate nei corpetti neri. Io me ne sto a sbirciare, voglio studiare ogni piccolo gesto del loro reverente porgersi a Dio inginocchiate a mani giunte, aggrappate ai rosari di legno, con quelle piccole biglie grezze che guizzano dalle fessure sottili delle dita bagnate, s’insinuano tra la loro carne bruna (le mani sì, non le si può difendere dal sole del lavoro nei campi), si sfilano lente ad una ad una al ritmo del mormorio corale come disvelando il segreto di un nido proibito.

L’agosto torrido entra dalla porta spalancata e pervade ogni cosa, l’aria, il respiro delle donne, il pulviscolo dei coni di luce che si fa compatto e pieno della polvere dei campi. Si posa su tutto e si mangia i colori della statua del Santo Domenico; entra nella testa fino a farla girare, ma le donne se ne stanno immobili sotto il loro velo nero calato sulla testa, neanche paiono accorgersene mentre gli uomini dietro sventolano i cappelli e arricciano sofferenti i baffi sporchi.

Regali come tante madonne dalla pelle lucente per il calore, gli occhi neri all’altare. Questa arsura fa loro le guance appena arrossate, e la pelle fremente. Si fa bruciante e imperlata nella fessura tra il naso e le labbra, e alla base del mento; quando cantano, una rugiada di sudore formatasi tra la peluria attorno alla bocca ne sottolinea i movimenti.

E il petto stretto dal busto ansima, le curve lucide dei seni decorate dall’insenatura delle scapole come un pendente scolpito. Una goccia talvolta scivola attorno al viso da sotto il pizzo del velo, scivola dal collo unendosi al sudore del petto e corre giù fra i seni. Lo seguo con lo sguardo e mi domando dove andrà a finire la sua corsa se il gesto rapido del fazzoletto bianco non lo arresterà tamponando il rigagnolo solleticante.

Se ne stanno lì con la loro ingombranza indugiante, che non capisco come Don Cesio possa non guardarle mai, quando coi loro occhi ricolmi di fede ne seguono addomesticate ogni movimento di voce, ondeggiando all’unisono le labbra umide per quest’agosto infernale. Le stesse labbra turgide che si aprono ubbidienti quando vengono a prendere la comunione e s’inginocchiano davanti al corpo del Cristo e ai piedi del parroco; la particola si alza nell’aria e scivola verso la loro bocca socchiusa, sfiorando i contorni di quella carne senza più peccati.

Come ignora la Santuzza?, sempre in prima fila con la mamma, quella che è la più pia di tutta Fanezzo da quando le è morto il marito, secondo mia madre. Coi suoi sedici anni se ne sta senza alzare mai lo sguardo da sotto il velo, che sembra una Santa distratta; ma anche se la nasconde lo scialle, talvolta nel pregare le scivola da una spalla, e il tempo che lo riprende quello che disvela toglie ogni dubbio che sia già donna.

E mentre scompongo nella mia bocca biascichi di parole in preghiera imparate a memoria, le guardo d'un solo colpo d'occhio, una schiera di angeli sotto all'aureola delle loro ali di velo a far della bellezza carnale il più gradito voto a Dio.


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