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martedì 22 marzo 2011

Tu quoque, leo, fili mi!

Assorto nella contemplazione dei giochi Cesare trotterellava le mani sulla balaustra travertina della tribuna. Ancora le guerre puniche in atto. Ormai Cesare non le tollerava più: Cartago sarebbe stata distrutta, le navi dei Cartaginesi messe a ferro e fuoco. Il massacro goliardico lo tediava: sempre episodi riciclati, nessun gladiatore che si eleggeva tra quella massa di schiavi, le lotte vestivano di anonime reiterazioni e il sangue, agl’occhi dell’imperatore, era sempre dello stesso, identico colore. Rosso mortale. Cesare voleva dipingersi con le sfumature dell’immortalità, voleva modellare l’impero con fattezze eterne.

D’impulso prese la sua decisione.

Lasciò al mortale divertimento i senatori che assistevano ubriachi e striscianti l’epilogo del popolo di Asdrubale, scese di corsa i gradini dell’anfiteatro e piombò nelle gallerie, il vero spettacolo dell’arena.

-Preparate un leone. Per me. Finite le guerre puniche vado in scena io.

Indugio e esitazione furono assorbiti dal volto glorioso di Cesare. Determinato l’imperatore si preparava al duello con l’esistenza effimera. Sistemò la tunica di lino e l’armatura di bronzo, cinturone e gladio. Si fermò dietro l’arcata monumentale disposta sull’asse maggiore dell’area ellittica, aspettando che il sangue fosse almeno parzialmente assorbito dalla sabbia.

Silenzio. Spariscono le differenze di classe, schiavi, patrizi e plebei tutti paritetici, tutti uguali, immutabili e costanti nello sbigottimento all’ingresso di Cesare. Lo smarrimento del pubblico era direttamente proporzionale al godimento dell’imperatore. Quanto bello era prendere per il culo storia e istituzioni. Fece segno di azionare il rudimentale montacarichi e ecco il leone, con il suo dimorfismo sessuale, la criniera del re della natura. L’uomo dell’ impero e la natura del regno ora si fronteggiavano, si studiavano, preparavano le armi all’attacco. Spada contro zanne e artigli; l’intelligenza non era un elemento di distinzione, la tensione all’immortalità nemmeno.

Il leone ruggiva, Cesare pensava e s’avvicinava cercando il contatto, impavido alle urla della fierezza dell’animale. Il godimento dell’uomo affondò il colpo cercando di penetrare la corporatura orgogliosa e possente. La mossa conferì semplicemente un leggera ferita sul fianco del leone, che prese nel mentre Cesare e aaaaaaaarrrrrrrr…

GAME OVER

Luca scagliò il joystick della play sul tappeto. Porca puttana. Era la settima volta che si fermava proprio lì, nel duello con il leone. Decisamente stizzito corse distratto verso il frigorifero , prese il cartone del latte riposto negl’appositi spazi sull’anta e ne bevve un lungo sorso. Maledizione. Luca non riusciva a cambiare la storia nemmeno in un videogioco. Che tristezza di fatti e che tristezza di vita, vivere d’impotenza astorica nel mondo reale e virtuale.Cesare soccombe. Che siano i coltelli degl’idi di marzo o meno, poco importa. Cesare soccombe.

3 commenti:

  1. Aggiunta un frasetta al finale.
    Rinuncia ad una conclusione pippovespasiana per rincorrere una morale fedriana.

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  2. LA MACCHINA DEL TEMPO!
    2050 anni di salto ci hai fatto fa'...

    ammazza se la parte storica è bestselleriana Mr G.
    ....

    la parte contemporanea invece è profondissima!

    ci fai fare prima un salto in lungo, poi un tuffo in un pozzo....
    avessi un cappello addosso ora, me lo leverei:D

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  3. Il pippovespismo è una corrente meravigliosa ma che va utilizzata con parsimonia...eccezion fatta per il fondatore del movimento!

    Ave cesare!

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