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lunedì 11 aprile 2011

@ Al Cavazz.

‘Par na bona pearà ghe vol pan vecio, la miola de bò, brodo bon e che la pipa almanco do ore’.

Era lì, incisa in caratteri polverosi sulla parete calcarea dell’umida grotta nei pressi della zona di Al Cavazz, bella ineludibile inequivocabile:

‘Par na bona pearà ghe vol pan vecio, la miola de bò, brodo bon e che la pipa almanco do ore’.

Erano stati mesi di duro e faticoso lavoro, tutti i giorni dal sorgere del sole alla sua scomparsa, ed ora ecco il segno, la dimostrazione, l’oro che trova il suo setaccio. Conscio della scoperta sensazionale Abdel Aziz, mollò gli strumenti e corse immediatamente dalla professoressa Basma, che stava su un tavolo da campeggio a studiare monitor afosi.

-Professoressa Basma! Venga! E’ incredibile…forse ci siamo!- ansimò correndo il giovane ricercatore Abdel.

Abdel prese la mano della professoressa, forse una delle mani più esperte nel campo dell’archeologia specializzata in Venetismo.

Trascinata di fronte al reperto rupestre l’illustre studiosa ebbe quasi un mancamento: anni di studi, rincorse di fatica, convinzione e tenacia avevano portato al sigillo celebrativo probabili e emozionanti edizioni. La scoperta era sensazionale. Ovvio dovuti studi e doverose analisi avrebbero stabilito l’effettiva validità e potenziale di tale reperto, ma le premesse non potevano parlare lingua più positiva.

La teoria, ad oggi ancora molto precaria, che la parte settentrionale della penisola Al Italiz fosse abitata da un popolo semibarbaro chiamato ‘i veneti’ incontrava la prima pietra miliare. Le credenze della professoressa Basma avrebbero suggellato un matrimonio con la storia.

E così fu. Il team specializzato della professoressa operò ancora nelle grotte di Al Cavazz portando alla luce elementi e componenti per la ricostruzione dei modus vivendi dei cosidetti Veneti. Seguirono innumerevoli analisi di laboratori specializzati, prove e controprove. Poi i dibattiti, le consulte e infine il libro della professoressa Basma: Ei butei del Veneto. Il lavoro della studiosa traduceva l’alfabeto veneto in tutte le sue particolarità, dai toni alla fonetica. La stele di roseta erano i cosidetti ‘consigli del Tony’: infatti oltre al citato ‘Par na bona pearà ghe vol pan vecio, la miola de bò, brodo bon e che la pipa almanco do ore’, nella grotta si susseguì l’incontro di frasi e aforismi firmati da un tale Tony, probabilmente uno dei capitribù più in vista del popolo barbaro. Aforismi erano del tipo:

‘Galina vecia fa bom brodo’

‘Gheto la ciave’

‘Va ia’

E altri ancora.

Le spiegazioni e le lucidazioni, poi, passavano dall’alfabeto ad una breve ricostruzione storica del vissuto del popolo veneto.

La professoressa, nella sua biblica opera, pose però incomprensioni su un graffito ritrovato: si scervellava, si chiedeva, si interrogava sul perchè, sul significato della rappresentazione trovata nelle grotte di Al Cavazz. C’era un mare. Nel mare una barca piena piena di persone, dalla parte destra facce smunte, guerra, disperazione. Dall’altra camicie verdi e fucili.

3 commenti:

  1. "la stele de roseta"

    hahah grande G.!!!

    questo racconto terminato in extremis è estremo!

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  2. Convinto che in un futuro il popolo veneto (se non addirittura italiano) verrà trattato come caso di studio, il tuo racconto non è fantascienza bensì preveggenza!

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  3. woow benito 10+ per questo racconto...il finale mi è piaciuto moltissimo!

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