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lunedì 23 gennaio 2012

L'ultima foglia

Cade l'ultima foglia dall'ormai spoglio e rinsecchito albero che mi sovrasta con le sue enormi fronde. L'ultimo acceso colore d'autunno lascia il posto al grigiore d'inverno. Fisso la foglia che lenta si deposita sulla terra, insieme a quelle che già hanno subito la stessa sorte. Le venature dorate ne segnavano tutta la superficie bruna, quasi accartocciata su sé stessa, fredda, morta. Un debole raggio di luce si faceva spazio fra le nubi, colorando tutto di un tenue color rosso/arancione preannunciando l'imbrunire. Seduto sull'umida panchina che ormai aveva macchiato il datato impermeabile che indossavo, componevo nella mia mente il puzzle della mia vita ormai in conclusione. Con la punta del dito seguivo la lunga ruga che partiva da sotto al mento e finiva proprio sopra la tempia. È curioso come apprezzi ora le mie rughe, quando a quarant'anni già mi crucciavo della loro prima comparsa. Forse oggi mi ricordano gli attimi felici e quelli tristi, le giornate di sole e quelle di pioggia. Alcuni ricordi riaffiorano da quelle trincee sul mio volto dove il tempo ha svolto la sua guerra. La mia prima barba, con il rasoio di mio padre, mentre lui mi teneva la mano. La pelle pareva lacerarsi sotto quella lama affilatissima, doloroso punto di svolta del mio futuro, peluria destinata a crescere in eterno. “Sei un uomo ora”, mi disse, accarezzandomi il volto con un caldo asciugamano bagnato. Da quel giorno sempre più spesso mi trovai di fronte a quello specchio, impugnando saldamente un rasoio. La soglia del dolore di quel gesto si abbassava sensibilmente ogni anno di più. La pelle, per quanto tentiamo di proteggerla, rimane esposta alle intemperie che ne tolgono sensibilità, ma che la rinforzano. Guardando al tempo trascorso alle mie spalle, mi sembra che sia passato un battito di ciglia da quei momenti a questa panchina. Ho tentato quanto più possibile di mantenere aperti gli occhi, lacrimanti dalla fatica, ma alla fine il fisico ha ceduto, ho sbattuto le palpebre ed ero vecchio. Quante volte ho visto sorgere il sole o tramontare, lo faceva prima e continuerà a farlo senza di me. Ho sempre creduto nell'evidenza dei fatti, che palese si manifestava alla mia vista, mai ad un ingannevole dio onnipotente che prima si affatica alla creazione e poi si cela dalla vista del suo creato. Dove non poteva arrivare la logica deduttiva ci arrivava il buon senso. Alla mia dipartita, questo albero si rinfoltirà per poi spogliarsi nuovamente, come se la mia presenza non abbia mai fatto alcuna differenza per lui. Anche se tutto questo quindi non ha avuto molto senso, un po' mi dispiace di essere giunto al capolinea. Gli attimi felici con Laura, seppur effimeri e volatili come la nostra esistenza, sono proprio i momenti che mi piace ricordare, per sviare il pensiero che vorticoso nella mia mente grida che non abbiamo via di scampo. Chissà cosa penserà, quando l'abbandonerò a vagare alla ricerca di un'ultima disperata risposta, che puntualmente sarà che non esiste risposta. Quanto dolore proverà nel petto, quando apprenderà l'infelice notizia? Sebbene anche il cuore subisca le intemperie dei sentimenti, rimane all'interno, riparato, personale, e non sarà mai totalmente insensibile. Una lacrima sgorgherà dai suoi occhi, rimpiangendo il giorno in cui mi disse di no, respingendo il calore delle mie braccia. Se poi non piangerà, poco male, non sarò qui per subire questa crudeltà. Questa debole brezza di una serata appena iniziata mi sta penetrando nelle ossa, richiamando a galla tutti i dolori che sono sorti in vecchiaia. Tento di stiracchiarmi, passo una mano sugli occhi, stropicciandoli. Li riapro e sono ancora in quel bagno, con mio padre che mi toglie l'asciugamano dal volto. “Sei un uomo ora”. Ed effettivamente ora lo sono. La pelle si inspessirà e diventerà più dura del cuore. Oggi vedrò Laura, alla quale mi dichiarerò. Guardo fuori dalla finestra l'ultima foglia staccarsi da un ramo. È inverno. Ma non per me.

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