L'incipit della settimana

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sabato 14 gennaio 2012

"Aveva fatto del sesso il suo pensiero fisso"

Marco stava seduto nelle ultime file dell’aula Castiglioni, al primo piano della facoltà di lettere di Bologna; attorno a lui, su piccole piattaforme in plastica che si aprivano a mò di banco sulle sedie in legno, erano disposte decine di pagine intonse appartenenti a block notes e a quaderni con spirale pronte ad essere separate dalla zona strappabile per venire intrappolate dagli anelli metallici di colorati raccoglitori. Penne biro e qualche matita stavano sparpagliate qua e là sui tavolini, una gomma esagonale Stabilo usata sin dagli anni del dopoguerra per cancellare l’inchiostro stava curiosamente roteando verso il vicino piede della cattedra.

Alcuni compagni di Marco stavano seduti, altri chiacchieravano e i loro discorsi non potevano che atterrire la buona propensione del nostro protagonista nell’allacciare adeguate relazioni sociali con i propri simili: ma che poteva importare ad uno come Marco quali fossero le abitudini alimentari dei chihuahua a pelo liscio di rampanti starlette della tv nostrana? Effettivamente, le due ragazze che stavano solitamente sedute alle postazioni centrali nella lunga fila di seggiole sagomate erano, anche per altri studenti del corso di poesia del novecento, troppo “altre” – forse ritenute alquanto “superficiali” ed addirittura “inutili” dallo snobismo che s’alzava perenne non appena le due aprivano bocca. Marco, nonostante questo, non riusciva a scambiare parola nemmeno con i restanti compagni di corso: non gli interessavano affatto i discorsi di quel gruppetto che si infervorava nel quotidiano confronto dedicato al disco del mese o al concerto più bello visto nel fine settimana. Altrettanto inutile per il personaggio di questo racconto era il discutere con il compagni di nozioni cinematografiche, tra l’altro non sopportava il piccolo circolo che si formava quotidianamente davanti alla porta d’ingresso dell’aula: accenti ferraresi e meridionali, talvolta intervallati da qualche provincialismo veneto, apportavano materiale utile a ricerche linguistiche lanciandosi in lunghi sproloqui su filmografie di registi e pellicole d’essai negate alle sale italiane; questioni che sembravano vitali vista l’infiammata partecipazione degli “aventi diritto” erano spesso accese da scontri sulle interpretazioni di film date dai diversi compilatori di dizionari cinematografici: e così Marco scoppiava spesso a ridere quando quelli si insultavano a causa delle divergenti vedute d’un Tarantino date dal Mereghetti o dal Morandini.

Probabilmente Marco non parlava coi compagni perché la sola amicizia che aveva e che preferiva mantenere era quella con la letteratura. Ciò che lui vedeva come un amore solido, e che continuava ad alimentare con continue attenzioni alla sua peritura fede, era vista dai genitori semplicemente come una relazione scomoda, e come spesso ragazze di cattiva impressione sono indicate come la peggiore delle scelte dei figli da parte di parenti che vedono nella femmina sconosciuta l’apocalisse – misteriose Giuditte pronte a fare delle teste dei figli sanguinolenti soprammobili accanto a volgari riproduzioni di borsette di Prada, ecco che la letteratura veniva additata dai familiari di Marco come la principale responsabile della volontaria esclusione dalla società del ragazzo. Ma, poiché prima di battere il fatidico martello nella storica trasmissione giudiziaria delle reti Mediaset, anche il leggendario giudice Santi Lichieri annunciava ai due litiganti (e per mezzo delle telecamere, anche alle nonne a casa intente a non bruciare il sugo nella vecchia padella) che la verità sta nel mezzo, e nessuna delle due parti la può possedere per intero, si può pensare che pure i genitori di Marco avessero ragione: non solo in passato il ragazzo aveva, a suon di urla e martellanti salti a talloni uniti contro il pavimento, tirannicamente obbligato la famiglia ad accettare alcune sue scelte fin troppo esuberanti nel nome dell’amata musa (egli infatti aveva personalmente firmato, per esempio, più di un contratto annuale a nome del padre con svariate catene di approvvigionamento di testi di narrativa solo con lo scopo di veder aumentare le ore di lettura non tanto sue, ma dei familiari…), ma si poteva presupporre che i due coniugi fossero preoccupati per le derive psichiche di Marco, che già da qualche tempo si era costruito – all’età di vent’anni compiuti – un amico immaginario a cui aveva dato il nome di Pier Vincenzo, richiamando alla memoria di ogni lettore ferrato di Montale, il grande critico Mengaldo.

Per tutta la vita Marco si era dedicato allo studio e alla lettura; nei primi anni dell’asilo decise di imparare l’alfabeto per poter decifrare i misteriosi biglietti che la madre appiccicava sul frigorifero di casa; alle elementari, quando gli altri bambini stentavano a rimanere concentrati sulle parole impresse nel testo ed erano costretti a tenere il segno col dito indice, Marco riusciva già a finire libri dedicati a ragazzini più grandi di lui: spesso la maestra lo vedeva, esile e alto meno di un metro, armeggiare con dizionari e vocabolari intento ad approfondire lacune terminologiche che nascevano da insoliti interrogativi lasciati aperti da oscure pagine. Alla fine delle medie, un grave lutto segnò l’adolescenza di Marco: gli amati nonni materni, che un giorno gli regalarono – illustrata e finemente rilegata – la bellissima opera omnia di Salgari edita da Skira, morirono di vecchiaia; il nipote, atterrito da quell’evento, si chiuse per tutta l’estate nella vasta biblioteca familiare e riuscì a costruire, anche grazie ai numerosi volumi del Club del Libro e di Mondolibri, una sua personalissima interpretazione al “Pessimismo cosmico” di Giacomo Leopardi. Divenne famoso; alla tenera età di quattordici anni per la verità non ancora compiuti, incendiato da un sentimento negativo verso la Natura, si cimentò in un commento allo Zibaldone: la vittoria in un concorso letterario istituito dal settimanale Topolino dedicato a giovani studenti delle scuole inferiori gli fece ritornare il sorriso; da quel momento Marco decise di dedicarsi anima e corpo alla Letteratura.

Gli anni del liceo trascorsero veloci; Marco rifiutò ogni tipo di amicizie e come Petrarca trovò conforto solo negli scrittori morti. Il latino e il greco gli fecero conoscere svariati personaggi con cui passare interi pomeriggi a chiacchierare, cercando di comprendere pensieri che ogni altro adolescente della sua età avrebbe definito “vetusti”. Il passare ore intere curvo sulla scrivania gli procurò una preoccupante flessione della colonna vertebrale; cominciò ad accusare problemi agli occhi: e come ogni buon giocatore che, davanti ad una slot machine in un bar di paese riesce a spendere il suo intero stipendio centesimo per centesimo, così Marco vedeva la sue diottrie sparire una per una dietro a lenti da vista sempre più spesse. Alla fine del liceo, dopo aver passato la prova finale con un elaborato incentrato sulla figura del poeta nella Venezia premoderna, decise di iscriversi senza dubbi alcuni alla facoltà di lettere di Bologna.

E così ora ritroviamo Marco seduto nelle ultime file dell’Aula Castiglioni. Si guarda intorno, minimizza i discorsi su cani, musica, cinema che sente arrivare da ogni parte dell’aula. Guarda i quaderni sui banchi, i cappotti a ridosso delle sedie, un giovane in prima fila che aspetta come lui l’arrivo del professore di poesia. Voci di sottofondo nel corridoio, gente che entra in classe. Due ragazze che si siedono nella fila davanti a lui. Entra anche il professore, appoggia la cartella sulla cattedra, raccoglie la gomma al suolo e saluta. Mentre sistema la propria giacca sull’appendiabiti, ecco entrare un ragazzo. Ansima, forse ha corso. Passo svelto, guarda verso Marco, si dirige verso di lui, gli chiede se il posto vicino al suo è libero. Marco risponde affermativamente, e il giovane dal montgomery marrone e dagli occhiali neri dalla montatura spessa gli si siede accanto. «Ciao, sono Nico» dice quello a Marco, che ricambia la presentazione. Nico apre lo zaino mentre il professore introduce l’argomento della giornata, ed estrae il suo quaderno, una matita a scatto e un foglio. «Guarda» dice a Marco, «questo è l’invito di alcuni miei amici a scrivere un racconto sulla base di un incipit. Loro sono di Verona, ma se ti va, puoi mandarlo via internet. Tieni pure il foglio, si sa mai!». Marco prende il foglio, gli da una letta veloce: un piccolo circolo letterario dal nome insolito, Atelier Discreto, esortava effettivamente a scrivere racconti aventi come incipit una frase scelta da uno dei partecipanti. Quale occasione per uno come Marco, che viveva per la letteratura! Avrebbe – pensava – scritto già il pomeriggio stesso, era pronto a prendere il treno fino a Verona la domenica seguente per andare a leggere il proprio elaborato. Ma quale sorpresa lo attendeva nell’incipit di quella settimana.. “Aveva fatto del sesso il suo pensiero fisso”… Marco, poverino, davanti a quel foglio datogli dallo sconosciuto compagno, si trovò forse per la prima volta nella sua vita stupefatto nel non saper cosa scrivere, nel non aver niente da dire, ignaro delle strane sinestesie provocate da quella parola che allitterava tre sensuali esse.

1 commento:

  1. mi piace che il finale si ricollega all'inizio, non del racconto ma della vita di Marco, dove lui si sforza di comprendere quello che non comprende, poi, quello che m'avevi detto di quello diventato poi un latin lover da una rotondità psicologica a questo personaggio descritto che non posso che dire che hai scritto un breve capolavoro:D

    la citazione esplicita biblica di Giuditta, la citazione implicita del re Salomone messa in faccia a Santi Licheri, morto, come gli amici di Marco.

    Il passo di Marco di entrare nell'esperienza reale dopo l'incipit impossibile, probabilmente è un nodo chiave dell'esistenza

    semplicemente grandioso!

    e fanno di Marco una persona da non incontrare.

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