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lunedì 21 febbraio 2011

L'addio

Il canto del gallo di paglia. Lo aveva sentito distintamente nella sua testa.
E’ il segnale.
Fu il vecchio Lin che gli parlò per la prima volta del gallo di paglia. Marco gli aveva chiesto quando sarebbe stato il momento più opportuno per lasciare la Cina. “Quando nella tua testa sentirai cantare il Gallo di Paglia. Allora sarà il momento.”
Quindi era il momento.
Sarebbe tornato a casa. A Venezia.
Dopo 17 anni.
E’ l’alba, del suo ultimo giorno in Cina. Entro il tramonto sarebbe partito. Non c’è quindi tempo da perdere. Il tempo di lavarsi e prepararsi per la colazione con Kublai Khan. Forse troverà il tempo per scrivere una o due pagine sul suo diario. Prima di lasciare le sue stanze.
Ora si guarda allo specchio. E come se fosse la prima volta da 17 anni. Si vede diverso. “Mi riconosceranno a casa?” e poi “Non vale la pena scrivere per avvisare, arriverei comunque prima della mia lettera”.
Si infila i vestiti con cui è arrivato. 17 anni fa. Li sente scomodi e rigidi in confronto alle pregiate sete orientali che ormai era abituato ad indossare.
Scende per la colazione, come ogni giorno Kublai Khan lo sta attendendo.
Come ogni giorno lo accoglie con un sorriso.
Come ogni giorno.

“Kublai Khan”
“Buongiorno”
“Buongiorno”
“Kublai Khan, amico”
“Ti ascolto, parla”
“Entro il tramonto, carissimo, io sarò partito.”
Silenzio. Breve. Ma pur sempre silenzio.
“Capisco, torni alla tua amata Venezia”
“Si”
“Temevo questo momento. L’ho sempre temuto. Ogni mattina nascondevo la mia paura. Dietro un sorriso.”
“Non so che dirti, il tempo mi ha rapito, la magia di questo posto. L’odore. Di tutto. Lo senti?”
Un silenzio che vale un si, forse un no. Non importa.
“Il tempo non ci riguarda Marco.”
“Lo so. Il tempo non ci riguarda ormai, ne me, ne te. Ma l’uomo appartiene al tempo. E noi siamo uomini.”
“Noi siamo dei Marco. Per alcuni lo siamo. Ho sudditi che fanno sacrifici in mio onore. E gli dei? Anche loro hanno i loro dei. E così via.”
“Kublai, noi non siamo dei. I tuoi sudditi si nutrono di speranze e non ci sono divinità o misteri in grado di sfuggire al tempo. E’ impossibile. Ogni epoca rincorre la sua porzione di ignoto. I nostri antenati pregavano il dio fuoco. Noi i confini del mondo. Un latino diceva Il tempo libera l'uomo dagli affanni.”
Silenzio. Ancora.
“Tornerai?”
“Non credo”
“Che lo spirito di Gengis Khan ti accompagni allora.”
“Ti ringrazio”
Silenzio.
“Non proverò nemmeno a comprare la tua presenza qui. Anche se la desidero sopra ogni cosa, amico.”
“Mi conosci bene”
Silenzio. L’ennesimo. Gli occhi parlano. E non servono orecchie per sentire.
“Lascia solo che ti chieda una cosa uomo di poche parole.”
Silenzio, di Marco stavolta.
“Tu che hai fatto del viaggio la tua vocazione, dove sono i confini del mondo che tanto rincorri?”
“Non è dato saperlo.

Non è dato saperlo.
Almeno non ancora”

2 commenti:

  1. l'addio di due amici e la descrizione dei loro sentimenti in 2 fogli stampati....

    grande Pippo!

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  2. 'Che lo spirito di Gengis Khan ti accompagni allora.' questa è un po'azzardata per un post Calvino. ah ah
    Sicchè veramente coraggiosa come scelta, una conclusione per le città. Tra le altre cose è una conclusione non chiusa: dove sono i confini?
    up per le Pips!

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