L'incipit della settimana

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lunedì 13 febbraio 2012

Un'amorevole ingenuità

Anna diceva di no, ma era evidente. Il suo sguardo spento comunicava chiaramente uno stato di disagio. Tutti noi sapevamo che il motivo era Stefano, ma lei cercava di nasconderlo dietro ad un sorrisetto stupito, accompagnato da risposte del tipo: “Pensi che mi interessi qualcosa?” e via dicendo. A me personalmente faceva molta pena, ma sapevo che le sarebbe passata.

Giorgio invece si vedeva da lontano un chilometro che si stava annoiando a morte. D’altronde gli invitati alla festa erano gente che non aveva mai visto prima, e che peraltro non aveva alcuna intenzione di conoscere. Era imbarazzante quando il festeggiato, Luca, lo raggiungeva al tavolo per chiedergli se si stesse divertendo. Giorgio, spalancando gli occhi e andando su e giù con la testa, riusciva a malapena a contraffare l’espressione di una convinta approvazione, per poi, dopo che Luca se n’era andato, rituffare gli occhi nel bicchiere, e sorseggiare lentamente la sua terza, quarta o quinta birra.

Carmine era ridicolo. Ad ogni festa beveva sempre più di tutti e con il suo accento meridionale si ostinava a blaterare: “Ma io nun sò ubbriaco, manco pe’ nniente!”. Malgrado tentasse di controllare i movimenti del corpo in uno sforzo di sincronizzazione degli arti, i risultati erano molto scarsi. Gli occhi li aveva velati, lo sguardo era ormai ebbro, il suo viso lasciava facilmente intuire il numero di Americani o Negroni che si era scolato fin lì.

Giulia, seduta al tavolo di legno con un amaro in mano, parlava distrattamente con alcune sue amiche, mentre con la coda dell’occhio studiava i movimenti di Filippo: appena lui si sarebbe alzato, lei avrebbe fatto lo stesso, fingendo un’espressione sorpresa al momento dell’incontro, che sarebbe avvenuto al tavolo del piccolo buffet. Mi accorgevo, in quegli istanti in cui la osservavo, di quanto è buffo sforzarsi di rendere casuale un incontro che al contrario si brama con tutto il cuore, come si fa spesso per far capire all’altro che in fondo, anche se non ci si fosse incontrati, la cosa non avrebbe avuto grande importanza. Nel frattempo, seguendo il copione dell’attrice che era, Giulia aveva sfiorato la mano di Filippo in prossimità di un piatto di tramezzini, e gli si era rivolta con un “Ma guarda chi si vede!”. Faceva molto ridere, Giulia, ma era tanto carina, nella sua recita venuta male.

Io ero appoggiato col sedere al muro, con del vino in una mano e una sigaretta accesa nell’altra. Rispondevo con entusiasmo a Luca che andava tutto bene, stirando la bocca in un sorriso innaturale, quando in realtà ero più annoiato di Giorgio, che almeno lui ormai era ubriaco.

Erano le dieci e venti e gli ultimi invitati erano appena arrivati.

Tutti a quella festa sembravamo concentrati nel nascondere agli altri informazioni che probabilmente ci avrebbero messi in imbarazzo. Dietro ad uno sguardo o a una risposta, ad una risata, a un movimento.
Tutto per celare segnali, pensieri, sentimenti da noi ritenuti inopportuni, chissà poi secondo quale criterio!
Ahinoi però, ogni nostro sforzo, seppur degno di un posto da protagonista in una qualsivoglia opera di Brecht, falliva abbastanza miseramente.

Del resto, bisogna ammettere che ha ragione quell’infausto incipit, che ci ricorda che la fuga di notizie (nel nostro caso la fuga dei segreti da noi custoditi) è il nostro grande guaio, anche se, nel contempo, questa stessa fuga ci rende così amorevolmente ingenui, che è difficile rinunciarvi.

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