L'incipit della settimana

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sabato 11 febbraio 2012

ERA Di MARZO, D'APRILE, O NON SO

(...su di un incipit un po' datato... spero non sia un problema! Buona lettura.)



Un giorno di ordinaria follia inizia sempre, ve lo posso garantire, con un qualsiasi sbadiglio. E di solito si trascina lento nella luce stanca e insofferente del mattino. Ed è già passato, già non ci si ricorda che qualche dettaglio superfluo: ci si addormenta ancora una volta pensando "a domani!"

Come la storia d'amore di due ragazzi inizia veramente solo molte settimane dopo l'epilogo, cosi un giorno di ordinaria follia diventa tale in un momento distante, e grazie a un appiglio esteriore, un'esclamazione, un fischio, un silenzio prolungato. E la storia d'amore, che ci volete fare?, è per forza di cose unica solida base di un giorno di ordinaria follia.

Il ragazzo pensa sempre a Lei, o a qualcosa che riguarda Lei senza volerLa riguardare: perché Lei è in ogni cosa: la parete bianca ne è la prova più convincente, ma anche il possente albero squassato dal vento ricorda al ragazzo che Lei è nel mondo: ma il ragazzo è uno stoico figlio di puttana, quindi non si da per vinto e continua a recitare a memoria poesie filosofiche, e sistema la propria personale metafisica come fosse un archivista stipendiato da qualche ministero. Niente da fare, il ragazzo maledice le sue passioni e continua a sbadigliare stentoreo, fosse stato un amante della logica i suoi dilemmi sarebbero tanto diversi ora da essere identici a quelli che già sono. Vedere una persona nella corteccia di un albero, nei suoi folti rami spettinati di foglie ribelli, sradica qualsivoglia sistema metafisico, e il ragazzo è per principio un asistematico, un'amara punta di fatalismo e un socratico decostruirsi per costruirsi caratterizzano la sua spina dorsale: fragile ma robusta, esile ma resistente: il ragazzo si lascia andare alla formulazione facile di vani ossimori, un modo come un altro di passare il tempo senza prendere sul serio l'eventualità di lasciarsi andare a una sbronza da paura. E di paura ce n'è tanta. E comunque un primo mezzo litro di quello rosso forte se n'è andato, irrecuperabile nei meandri di un esofago verticale. Tra l'altro il ragazzo passeggia da sembrare allegro, visita certi locali conosciuti come sempre gli stessi e gli capita di fermarsi ad espletare la pratica inutile, talvolta irritante, del chiacchiericcio. Sarà strano che Bacco gli infonda veemenza declamatoria e certo fascino maudit? Del resto chi barcollando prima del tramonto parla di Reiner Maria Rilke e gorgheggia l'infinito Leopardi desta sempre una qualche attenzione. E il tramonto sorprende il ragazzo in atteggiamento almeno apparentemente edonico a un tavolo di legno, ma: indovinate cosa scrutano i suoi occhi nel cambio di colori, nel trapasso, ordinario e straordinario, tra la luce e il buio. Questo è un vero compito da lettori: serve attenzione, sensibilità e il giusto grado di intuizione. Scommetto che il gioco è fatto! L'edonismo del ragazzo, quella bottiglia offertagli da un improvvisato Dioniso, quel fumante tabacco tra le labbra sorridenti, addirittura quella qualsiasi ragazza ammiccante che con un ginocchio (mirabile visione: nudo!) gli sfiora uno a caso dei ginocchi, non traggano in inganno: la sua mente è ancora impegnata nell'ordinare fogli svolazzanti nel vento e flash-back di rara malinconia: sappiatelo: la storia finita deve ancora incominciare, lo si era già detto su, da qualche parte! E la storia finita incomincia minuto dopo minuto e ancora e ancora, e il possente albero ha il viso di Lei e il ragazzo vorrebbe soltanto, o almeno cosi crede, forse già maltrattato dai fumi dell'alcool, affondare in qualcosa di più superfluo: la stupidità per sconfiggere il dolore, quanti avranno teorizzato tale terapia? E' così che dopo circa un'ora (si fa per dire, tempo al tempo, la goccia ora nell'oceano vita può assumere significati stravaganti) la qualsiasi ragazza dalle nude ginocchia stringe la mano del ragazzo e ride, e anche lui ride anche se non sa di cosa, né si interessa di capirlo: e lei ripete casa mia casa mia! e lui annuisce, o qualcosa del genere, annuisce e inciampa e si rialza, mentre lei dice che bello averti conosciuto e a lui non importa niente, perché è giunta la follia e lui lo saprà solo chissà tra quanto tempo, in un moto di fastidio e tristezza, ma ora non può che fingere senza saperlo e le immagini improvvise di Lei, come botte in testa, faranno male domani, domani faranno peggio, e il possente albero avrà foglie d'oro e sangue, e lui in ginocchio bacia le nude ginocchia e morde i polpacci anch'essi nudi e lei ride con una mano tra i suoi capelli, meno male che ti ho incontrato oggi, meno male che sei cosi perfetto oggi, e il ragazzo non ha più occhi né orecchie, solo denti e lingua e organi turgidi pronti a esplodere e non è più stoico né materialista, è solo un perfetto idiota che s'immerge nella sua idiozia come un perfetto idiota, e scusate ma la tautologia è nata spontanea. E cosi se ne va a finire il giorno di ordinaria follia, e di ordinario in questo giorno ci si trova soltanto la solita folle follia: la consapevolezza che non si scappa da e verso nessun luogo, perché non si può. E buonanotte, o buongiorno, vi siete mai resi conto che si tratta sempre di un eufemismo? Allora addio.

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