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lunedì 24 ottobre 2011

Lunedì 24

Cin Cin

Dopo aver sputato a terra, con le mani nelle tasche, alzò lo sguardo.

Non c’era nulla, anzi… c’era il nulla. Forse la frustrazione che lo consumava da mesi s’era portata via tutto. C’era solo buio, una piattaforma nera, una lastra scura, una tenebra spalmata su tutte le dimensioni e in tutte le direzioni. Gli trema il labbro, diventa viola, si gonfia e si crepa. Ma perché? Dov’è il taglio? Com’è successo? E perché tutto è sparito e non si vede più nulla? Gli si gelano i gomiti, che strano, proprio loro, i gomiti, freddissimi, blu ghiaccio. Anche le ginocchia. Si spaccheranno?

Il terrore se lo mangia a morsi, il disgraziato. Un liquido rosso scuro sta riempiendo il suo corpo, ormai diventato una strana scultura di vetro. Il fluido sale piano piano, è all’altezza delle cosce, e lui, che vorrebbe indagarne la natura e scoprirne gli odori e i sapori, prova a piegarsi invano, scoprendo di essere impossibilitato alla mobilità e inebetito dall’adrenalina e dalla paura.

Il suo corpo trasparente è ormai quasi interamente riempito del rubino mistero. Giunge ora sopra il mento. Con piacere, riesce almeno a muovere la lingua e sfiorare appena il liquido che sta per sfondargli la faccia. Finalmente scopre di cosa si tratta. È vino rosso! E buono anche! Questo è un vino importante, farà più di 14 gradi!!

Trema, in preda al panico, stranamente eccitato, per la prima volta dopo tanto tempo. Riflette in un attimo breve e intenso; lucido e vitreo, capisce.

“Sono diventato un decanter! O lo sono sempre stato e solo ora l’ho capito!! Che stile, che onore!! Eh si, dev’essere proprio così - pensava la scultura di vetro – mi sono lasciato prendere un attimo dal panico, tutto qua…”. Era chiaro in effetti. Tutti gli oggetti erano così familiari adesso. Cugine tazzine, amiche posate, amanti calici. Il vino stava per rubargli l’aria e riempirgli il cranio della sua totale presenza. Febbricitante di gioia, impazzito per l’incontenibile euforia della scoperta, pazzo d’amor proprio, il disgraziato salutava la realtà come l’aveva conosciuta fino a quel momento. Cavalcando esuberante gli ultimi attimi di vita umana, pensava a quanto piacere avrebbe recato a chi si fosse servito di lui.

Quanta utilità, finalmente. Questo ha un senso. Un fine specifico. “Servo a questo, a dare ossigeno al vino che contengo...”.

Delirante come un miracolato, iniziò allora a soffiare, senza inalare più aria nuova, così che il vino fosse pronto per la degustazione, e soffiò fino alla fine, soffiò finchè potè.

2 commenti:

  1. che visione triste... avrei preferito che proprio non si sacrificasse. enzo mi è piaciuto. ma la prossima volta raccontiamo una storia di fiorellini felici al sole?? he eh

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