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lunedì 25 ottobre 2010


La vita è bella..

anzi bellissima.

Questa proposizione abitava la testa della ninfea in modo dilatato. Seppur conoscesse un frammento del mondo, lei il suo universo lo teneva tra gli occhi. Ed era felice tra le acque termali, i colori del fondo, i suoi pesci come bambole. Era una ninfa: la proporzione più azzeccata della natura. Si muoveva attraverso un corpo sinuoso e leggero, le sue labbra ricalcavano colline, il suo naso uno scivolo stretto e allungato, gli occhi come gemme di cristallo.

Giocava con le orchidee galleggianti, dialogava con le piante, piroettava sull'erba, respirava la vita con lunghe boccate.

Amava l'atmosfera onirica e surreale del suo orizzonte. La ninfa sorrideva e rideva, tutti i giorni, tra il canto delle cicale e il riso delle rane. Non pensava alla morte.

Lei pensava che della vita non si poteva far nulla, se non amarla e tesserne le odi.

Era da poche stagioni che partecipava al mondo. Era giovane, bella.

Nessuna aspettativa da soddisfare, nessuna rabbia per sfortune, nessun rancore.

Lei viveva nell'azzurro e non aveva la percezione del tempo.

Ogni tanto alla sua fonte passavano gli uomini, lei, bimba, li temeva. Si innamoravano di lei e la negavano alla madre natura aggredendo i suoi morbidi seni con mani unte, senza bellezza.

Non capiva degli umani il loro modo di essere attaccati a passioni infernali.

Le capitava di rado di scrutare tra le alghe un vecchio appoggiarsi alla quercia, pochi metri dell'acqua. La pelle del vecchio era di cartapesta, un mappa riassuntiva di numerosi giorni vissuti.

Se ne stava li' per ore a brontolare spicchi di vita.

Un giorno la ninfa decise di sfidare la sua paura degli umani e si avvicinò fino a sentire i sibili del vecchio.

“La vita è brutta, anzi bruttissima”

incominciò il vecchio

“due guerre attraversate, tre matrimoni falliti, troppa fedeltà al dio denaro, troppi rimorsi di mancati abbracci con i figli, solitudine e malattia. Il mio corpo lo ha divorato il cancro. La mia anima l'ha rubata la vita. Se solo avessi il coraggio del suicidio, buttarmi tra le acque per non sentire più i rumori. Sono stanco.”

La ninfa non si capacitava di quell'immensa tristezza e così si avvicinò ai piedi del vecchio, emerse dall'acqua e si rivolse a lui.

“ Mi scusi signore mi sa spiegare cos'è la tristezza?

Vede io non lo so, sono sempre gaia alla ricerca dei raggi di sole. Voi umani invece avete sempre le facce tristi, accartocciate di lamenti, insoddisfazioni, guerre e odio. Perchè signore?”

Il vecchio si irritò per l'interruzione. Quando si è soli si finisce col negare la bellezza di ciò che non si può avere. Ma la bellezza della ninfa lo aveva stordito, la dolcezza della sua voce gli rimbalzava ancora dentro a suoi vecchi timpani. E così rispose:

“ Che puoi sapere tu giovane creatura? Che poco ti curi del malessere umano? Te ne stai tutto il giorno tra il flusso delle acque, fuori dagli ospedali e dalle fabbriche. Vivi di sole bacche e di sola contemplazione. E' facile essere felici quando si sta lontani dalla realtà.”

“Mi dica signore,” lo incalzò gentilmente la ninfa,

“..non è forse mio diritto preferire il sogno alla realtà?”

Il vecchio si alzò di scatto, decise che non sarebbe più tornato alla fonte.

La ninfa si arrese dinnanzi alla natura umana, e tornò a parlare alle piante, a contare le stelle e a studiare le geometrie delle nuvole.


2 commenti:

  1. bisogna leggerli dopo averli sentiti per capirli a pieno i racconti :D
    oltre a tutto il resto mi piace particolarmente come hai rappresentato il vecchio!

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  2. Utopiche atmosfere. Bucolici i personaggi. Distanza da un mondo scrittore di beceri messaggi e tentativo di recuperare ciò che è di primo, di felice, di bello?

    Considerazioni e commenti postabili anche sul racconto La Comune.
    In edicola con il prossimo numero del NewLife.

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