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lunedì 12 marzo 2012

Un giglio appassito


La fronte corrugata di David lasciò trasudare una goccia salata, che, cadendo, andò a macchiare l'inchiostro dei fogli confusamente sparpagliati sulla sua scrivania. Il sudore che pian piano veniva assorbito dalla porosità della carta lo fece destare dalla profondità del suo complicato ragionamento. Guardò fuori dalla finestra, dove le prime luci dell'alba iniziavano a filtrare dalle ingiallite persiane. Estrasse dal taschino un piccolo orologio, eredità del vecchio padre defunto. Era giorno, di nuovo. Si alzò dalla sedia guardando ancora un attimo ciò che aveva scritto, poi passò una mano fra i capelli scompigliati dalla nottata in bianco. Andò al lavello, ci versò un po' d'acqua dentro, e con due mani si sciacquò la faccia stropicciandosi gli occhi. Si spolverò accuratamente le spalle, prese degli appunti ed uscì di casa. La città si presentava ancora come un disordinato scenario postbellico, macerie erano ancora in mezzo alla strada e nel tragitto per l'università non era difficile trovare qualche frammento rugginoso di bomba. Di quella guerra finita due anni prima più nulla interessava a David, che era soldato di un'altra guerra ormai. La crisi dei fondamenti della matematica. La bomba era arrivata dal Galles, vent'anni prima, da un giovane filosofo chiamato Bertrand Russell. Quel paradosso, che ancora oggi interrogava ed interessava i matematici di tutto il mondo diede l'impressione che il periodo d'oro della logica e della matematica erano ormai tragicamente finiti. Dall'idea di scienziato che, sopra le parti, era l'unico prescelto a capire e spiegare le complessità del mondo, si era passati alla confusione nella quale la madre di tutte le scienze era rimasta screditata. David aveva gli occhi fissi, si muoveva come un automa, mentre nella sua mente un mare di antinomie lo impensieriva. Una volta giunto di fronte alla facciata dell'Università di Gottinga si fermò, volse lo sguardo verso l'alto e la guardò interamente. Quanti secoli di storia erano passati fra quei bassorilievi, quanti colleghi lo avevano preceduto fra i colonnati del chiostro. Ancora il fascino di Gauss e Riemann non erano svaniti, nell'aria aleggiavano i loro pensieri rivoluzionari, le loro ipotesi, i loro teoremi. Qualche vecchio professore ormai segnato cerebralmente dall'età avanzata, diceva di averci lavorato insieme, di averli visti fissare quella facciata così come faceva David in quel momento. Sistemò la cravatta e si addentrò nell'atrio dell'edificio che portava al chiostro attraverso una porta di vetro laterale. Arrivato lì si sedette su una panchina mentre studenti e professori gli passavano a fianco intenti a raggiungere le proprie aule. David non si curò di loro, estrasse nuovamente i suoi appunti e si mise a fissarli, ritornando subito nella concentrazione più assoluta. Qualsiasi cosa avrebbe potuto succedergli davanti, non l'avrebbe disturbato. Dopo pochi minuti, una mano gli si appoggiò sulla spalla mentre una voce di donna lo chiamava.
“Professore? Mi dispiace disturbarla ma eravamo d'accordo di trovarci qui alle 8.00”
David, per un momento si indispettì. Chi aveva avuto l'insolenza di toccarlo disturbandolo dal suo pensiero? Alzò lo sguardo velocemente fino ad incrociare quello della ragazza, che lo guardava timidamente. Subito si intirizzì sulla panchina, sistemando goffamente i fogli che aveva raccolto dalle ginocchia.
“Buon... buongiorno carissima Linda” 
disse con voce sommessa. Prese il cumulo disordinato di carta e lo spinse all'interno della borsa di pelle marrone estraendone un piccolo fiore appassito.
“Questo l'ho colto per lei” 
le disse, porgendoglielo. Il bel giglio che aveva colto la sera prima era ormai morto, aveva i colori spenti, come se fosse rimasto tutta la notte in quella borsa.
“Ieri questo fiore era come lei: fresco, profumato, bellissimo. Oggi assomiglia più a me: rinsecchito, spento. Mi dispiace non averlo tenuto al fresco, ma il fatto che sia vecchio spero non lo renda meno affascinante.”
David era una persona molto intelligente, dall'ineffabile arte di pensiero ed oratoria, ormai prossimo ai sessant'anni d'età. Linda era una giovane dottoranda in matematica. Aveva la pelle candida e pulita, due occhi grandi e profondi. I suoi capelli, non troppo lunghi, venivano giù come una cascata, leggermente mossi e con un risvolto verso l'alto in fondo. Quando si avvicinava alle persone un dolce profumo inebriava le narici degli astanti, che ne rimanevano visibilmente colpiti. Anche lei era molto intelligente, bene sapeva reggere una discussione con il vecchio professore. Alla vista di quel fiore appassito la ragazza spalancò gli occhi e prese a pensare profondamente. Era visibilmente imbarazzata da quel gesto.

Nel mentre David, che aveva colto la fissità nello sguardo di Linda si disse fra sé e sé:
“Perché non è tutto semplice come la matematica! Certo, ci vuole un po' per impararla e introiettarla ma poi la si padroneggia da maestri. Con cose semplici si costruiscono cose via via sempre più complesse, è questo il bello. Bastano poche regole per fare tutto. Assiomatizzare la vita, ecco cosa servirebbe.”
La ragazza si schiarì la voce con un colpo di tosse e disse:
“Caro professore, non ho capito perfettamente quali siano le sue intenzioni, e sebbene sia una persona affascinante e intelligente forse ha frainteso i miei comportamenti. Il mio interesse per lei è puramente accademico. Sto per fidanzarmi con un letterato, le nostre famiglie sono già informate. Guardi, non ne abbia a male, spero che voglia ancora dedicarmi il suo tempo.” 
Si alzò, sollevando leggermente un lembo della lunga gonna in segno di riverenza.

David aveva ancora gli occhi fissi. Quella parola, “assiomatizzare”, l'aveva bloccato. Tirò fuori gli appunti e li dispose per terra di fronte a sé, sull'erba. Si alzò per poi abbassarsi in tensione sulle ginocchia, guardando il proprio lavoro. Quella era la risposta, il modo di uscire dalla crisi. Formalizzare tutto. Assiomatizzare tutta la matematica a poche regole che sarebbero poi servite per dedurre tutte le altre.

Alcuni anni dopo David venne a sapere che Linda aveva lasciato il dottorato in matematica per scrivere poesie. Questa notizia lo fece sorridere, pensando al giglio che aveva lasciato marcire nella sua borsa prima di disfarsene, come se quel fiore rappresentasse il lento degradarsi dei suoi sentimenti per lei. Disse:
“Non sono sorpreso. Non aveva abbastanza immaginazione per diventare un matematico”.

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