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lunedì 30 agosto 2010

IL CEDRO DEL LIBANO

Devastata dal caldo di agosto e affaticata per gli innumerevoli passi già lasciati dietro di sè si apprestava, priva di ogni forza, ad affrontare la sua ultima fatica: infiniti gradini ombreggiati da altrettanti panni stesi e flebili giochi di luce le indicavano il cammino.
Finalmente era giunta all'ultimo, sudato, scalino. Qualche passo ancora e sarebbe arrivata a destinazione. La mano abbronzata apre la porta che è sempre aperta, da sempre. Nina entra in casa, tra le fresche mura in cui è cresciuta, immediatamente dimentica il caldo e la fatica di pochi istanti prima. Non ha bisogno di cercare a lungo con lo sguardo, questo si posa subito sulle due figure sedute in cucina. Come sempre, a quest'ora, suo padre e sua madre siedono in cucina, attorno al bel tavolo di legno, nel più spontaneo dei riti domestici. Rito semplice, quanto necessario. La madre prepara un tè molto forte, molto aromatico, il padre legge il giornale e commenta ad alta voce i fatti del giorno. E divertente: ogni giorno allo stesso modo il cinquantenne padre di Nina si avvilisce leggendo le ultime notizie, afferma che qualche anno prima tutto andava meglio e da vent'anni conclude l'invettiva dichiarando: "Da domani non comprerò più il giornale". E, il giorno successivo, lo scenario si ripete. Questa caratteristica di suo padre ha sempre fatto sorridere Nina e, anche stavolta, le sue labbra si allargano in un delicato sorriso infantile. Mentre il padre continua nella sua quotidiana, borbottata critica al "mondo che va a rotoli", la donna dagli occhi neri, grandi, bellissimi, stampa sulla guancia destra della ragazza appena arrivata un bacio materno. Anche quel bacio ha lo stesso calore da vent'anni, da quando è nata non cambia mai. Questo momento, il ritorno a casa, il ripetersi di movimenti e situazioni familiari avvolge Nina di una sensazione insolita, nuova, mai provata. Mai prima d'ora aveva apprezzato così intensamente, così fisicamente, la presenza delle cose semplici, quotidiane.
Il giornale di suo padre, il quotidiano An-nahar, la risveglia dal torpore di quel calore emotivo e le ricorda le coordinate spazio-temporali. Siamo a Beirut, Libano, oggi è il 26 agosto 2005. In prima pagina le solite cose: un incidente stradale, una rapina, uno sciopero. Nessun sentore di guerra.

Apre gli occhi.
C'e freddo.
La panchina metallica su cui appoggia pesantemente il proprio corpo è ciò che di più simile ad un letto ha trovato poche ore prima. O forse molte ore prima, forse giorni. Non ricorda.
La prima immagine di questo suo nuovo giorno buio è il fiume di gente avvolta nei cappotti e nelle sciarpe che cammina freneticamente e si appresta ad iniziare una nuova, stimolante, energica, piena, soddisfacente, fottuta giornata di lavoro. La mente annebbiata indugia per qualche minuto, confonde ciò che gli occhi stanno proiettando nel suo cervello in tempo reale con le immagini realistiche che le scorrevano davanti pochi istanti prima.
"Cosa succede?"
" Dove sono mia madre, mio padre?"
" Dov'è il gigantesco cedro del libano stampato sulla bandiera che occupa l'intero muro della cucina?"
Lo sguardo per caso si posa sul grande orologio digitale che domina la sala d'aspetto della stazione dei treni di Ginevra, Svizzera. I caratteri rossi come il diavolo affermano inequivocabili: è il 23 novembre 2008, sono le 7:13 del mattina. La mente finalmente realizza: era solo un sogno.
Un sogno terribilmente simile ad un ricordo.
Un sogno-ricordo lontano anni luce.
Nulla è come sembra.

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