L'incipit della settimana

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venerdì 27 agosto 2010

un gelato al cioccolato. Bianco.

Devastata dal caldo di agosto e affaticata per gli innumerevoli passi già lasciati dietro di sé, s'apprestava, priva di ogni forza, ad affrontare la sua ultima fatica: infiniti gradini ombreggiati da altrettanti panni stesi e flebili giochi di luce le indicavano il cammino. Era uno di quei giorni in cui l’irrequieto fresco dichiarava un assenteismo vorticoso; giorni in cui l’echeggiare del moto delle lancette ricorda l’umana lentezza di verme nella continuità del tempo spazio-fisico. Fino a quel momento aveva creduto di potersi permettere il lusso di rivivere con malinconia certe cose, evocare nell’ora propizia e nell’atmosfera adeguata determinate storie, e poi porvi la parola fine con la stessa tranquillità con cui schiacciava la cicca nel portacenere. Ora invece se ne stava rollando una.

Era la quarta mattina di seguito che, come un settimanale rito religioso in procinto di riconoscimento, si fermava su un incostante posto-sedere di design contemporaneo, dalla borsa estraeva la custodia gialla di un tabacco ingiallito e si godeva i cinque minuti dove il fumo, sospirato in pratiche atemporali, creava scenografie di piacevole solitudine e apparente appartenenza. In tali, quattro,mattine viveva nell’illusione di quei cinque minuti, ben consapevole che solo ed unicamente le illusioni hanno la forza di muovere i loro fedeli; le illusioni e non la verità. Ma cinque minuti su ventiquattr’ore le sembravano un buon compromesso. E poi le piaceva quel posto. Seduta in quieta posizione riusciva a respirare il delicato contrasto di quella pizzetta: i panni e i gradini negavano l’accesso all’esercito vile e ondeggiante, i nevrotici sassetti, appartenenti alla famiglia ghiaia, difendevano una non riproducibilità della pavimentazione, impensabili piante, dalle mascelle aperte e serrate, assorbivano il puzzo di piscio di ospiti notturni. E poi le piacevano loro: una coppia, lei pazza, lui anche, che ,con borse di neoacquisti (sempre le stesse), puntualmente taffiava una colazione a base del peggior succo della peggior fabbrica di succhi; due vagabondi che puntualmente disquisivano sul costo-qualità del mercato di vini in cartone; ed un ragazzo, si e no quindici anni, che puntualmente e diligentemente rincorreva deficit scolastici accumulati nel setoso freddo invernale. Insomma, le piacevano gli altri adepti alla religione settimanale in procinto di riconoscimento. Certo, questa realtà non costituiva nessuna garanzia per nessuno, né per lei né per loro; era sempre presente il rischio di trasformare tale realtà in concetto, quindi in convinzione, quindi in un inutile schema. Il fatto che lei si trovasse a sinistra del ragazzino studioso, e il ragazzino studioso di fronte al duo della succosa colazione faceva della realtà almeno tre realtà; quattro considerando anche i consumatori di goti. Nella staticità, nella fermezza dell’impegno dei compagni (si badi bene, in quattro giorni nemmeno una parola tra i quattro sistemi, formatosi dagl’occupanti delle panchine) però confluivano immagini dinamiche e fluttuanti, leggi di un giuoco dalle trame e dalle leggi apparentemente assurde. Non le importava più di essere un buon alfiere o una buona torre, di correre all’impazzata in diagonale o di arroccare affinché il re si salvi (quale re? Quale credo? Quale credo?), le importava solo avere la faccia da culo da pretendere ciò che voleva. Cosa che ancora oggi non riusciva a conquistare, strattonata da scelte rimandate e continue oscillazioni. In quel periodo di gelati, spesso, le saliva alla mente il ricordo di quando, piccino, suo fratello voleva e pretendeva il super gelato ‘magnum classic blanc’solo per consumare la parte di cioccolato bianco che avvolge la un po’ inutile panna (che puntualmente poi finiva nel rostro del goloso babbo) . Lei, piccina, indaffarato nel tentativo di divorare l’intero gelato, lo odiava. Lo odiava perché non era giusto. Lo odiava perché era uno spreco. C’erano a sua disposizione la cioccolata al latte, fondente, bianca verde gialla, galack kinder milka (in età puerile, direi le migliori!), con praline o al cocco. No. Lui voleva la cioccolata bianca del ‘magnum classic blanc’semplicemente perché era la cioccolata più buona, poco importava se era solo una minima parte di un qualcosa. Ed lei lo odiava; lo invidiava perché aveva la faccia da culo da pretendere ciò che voleva e basta.

1 commento:

  1. Sempre dalla serata di qualche giorno fa.
    gli archibugi maestosi prendono forma. Grazie mr pips per la prontezza di esecuzione.

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