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lunedì 24 gennaio 2011

Jahid

‘Dicembre: ricordi mencile per la pulire scala più tredicesima, euro 18’. L’alluce che sa di oliva orientale pigiava con forza il post-it giallo in modo che facesse adesione sul legno di una anonima casella postale. Un riso gli si disegnava sulle labbra: Jahid si divertiva a prendere per il culo le persone. Errori voluti, messaggi criptati, vile e umile denaro: eterno bambino adolescente non era mai stato attirato dal gioco degl’aquiloni, mentre il nascondino era il suo incensurato diletto.

-Buon-Buongiorno signora Rossi.

- Buongiorno Jahid! Tutto bene?

- Si si cignora.

Jahind si mascherava, si divertiva, si celava. Immigrato, fingeva di essere goffo nella parola come nell’intelletto , lui che, oltre ad essere ambidestro, sapeva tutte le lingue parlate nella porzione dell’universo. Dopo aver predisposto il passaggio alla sicurezza della signora Rossi, fu attirato dal profumo della nobile stupidità umana. Ci pensò e ci rise. Riordinò scopa, moccio e detersivi nel sottoscala di quella palazzina anni ’70 e uscì imbracciando il suo casco integrale targato da fiamme arancioni e da draghi rossi amanti d’ignoti. Mantenendo stabile i 35 km orari del due ruote che aveva chiesto in prestito al suo cugino di questa vita, pensava a che tipo di non virtù avrebbe indossato durante la pulizia delle scale degl’ altri due stabili: gl’errori grammaticali lo divertivano un bel po’, ma gl’aveva già impiegati in via Ettore Fagiuoli; accarezzava l’idea di scambiare i zerbini dei vari appartamenti o di mettere del collante sui campanelli. Poiché però il lavoro in tali palazzine era stato arrangiato recentemente non aveva voglia di rischiare di perdere ciò con estremi tentativi lussuriosi del divertimento. Avrebbe inventato una storia. Si; una storia di quelle belle, di quelle talmente toccanti che la signora Carmela non avrebbe esitato a riempire il secchio del moccio con le sue lacrime. Agl’orecchi della signora Carmela, che dopo tutto erano gl’orecchi dell’intero condominio, descrisse di come le formiche della foresta di Mukunda siano la causa di violenti cambiamenti climatici in quelle aree.

Alle due del pomeriggio Jahid era già di ritorno a casa. Per fortuna che in questa vita aveva deciso di non sposarsi e di non avere figli, la paga di lavascale poteva permettergli solo un bilocale in zona industriale. Inserì le chiavi nella toppa, entrò nello sazio abitativo accendendo la luce. Mentre con disinvoltura si disimpacciava del giubbotto invernale, con lo sguardo abitudinario passò in rassegna la moltitudine di monitor che occupavano la totalità di una delle due stanze. Dominava sui vari monitor etichettati gestione guerre, management delle catastrofi, regolazione della temperatura, andamento delle economie, uno schermo enorme nel quale milioni e milioni (per esattezza quasi 6 miliardi) di lucette rosse si muovevano in modi più o meno repentini all’interno di grafismi terreni: con automatismi del genio quotidiano, premendo su qualche ‘da solo lui conosciuto’ tasto, eliminò qua e là qualche lucetta rossa e né inserì altre di verdi che in pochi attimi sarebbero diventate gialle, poi arancioni e infine rosse pur loro. Arricciò il naso: era decisamente troppo, troppo incasinato. Bisognava mettere un po’ in ordine questo mondo di schizzati: Jahid decise che avrebbe aspettato i 18 euro della tredicesima, prima di causare una catastrofe ordinatoria.

3 commenti:

  1. L'attesa dei 18 euro è la chiave di (s)volta di questo racconto.

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  2. bhe il finale è un capolavoro, eliminare le luci rosse, inserirne di verdi, ma vedere che diventano subito rosse...

    denuncia morale Giovanno!

    grande!

    come diceva quel saggio ferroviere che aspettava di tornare a casa così cucinava la mugliera:
    "l'è na val che brusa!"

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