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martedì 16 novembre 2010

otto e venti

Uscì di casa alla solita ora. Non sapeva pero che da li a venti minuti sarebbe morto.

Indossava dei vecchi jeans strappati sul retro, e non esprimeva nessun giudizio sulla morte.

Aveva da poco acceso un sigaretta con il mozzicone dell'altra, e pensava alle donne di Tolstoy.

Aveva le braccia lunghe, sproporzionate rispetto al busto e le faceva ondeggiare seguendo il ritmo del passo.

Erano le otto di una mattina senza colore.

Prestava poca attenzione al risveglio, cercava di prolungare l'amaca onirica.

Era alto, e fino. Tutto proteso verso il cielo.

Lesse l'ora e accelerò il passo.

Otto e cinque. Due isolati, la salita e l'arrivo.

Otto e sette. L'aria punge, riempie il polmone e rilascia il fumo.

Otto e dieci. Accende l'mp3, paolo conte ma nessuna giarrettiera rosa all'orizzonte.

Otto e tredici. Sguardo basso tra le linee del granito e l'aritmetica della cenere.

Otto e quindici. Nessun pensiero raccolto. Velocità accelerata solo fisica.

Otto e diciassette. Il mondo è monocromatico, tendente all'ocra.

Otto e venti. Lo stridulo acuto dei freni non blocca l'impatto brutale di un auto sulle sue anche.

Era alto, e fino. E ora tutto proteso verso il suolo.

La morte arriva con l'eleganza propria di che è invitato ad un occasione speciale.

Allarga le braccia e si china sul corpo del ragazzo.

Caronte è in ritardo e spetta a lei capitanare il traghetto.

La morte entra in una galleria di tristezza. Distende il viso pieno di ruggine e si prepara agli insulti del ragazzo.

“ e dunque sei tu vecchia lamiera, la morte che tanto gli uomini temono?” incalzò l'anima del ragazzo.

“non posseggo un volto, ma solo le immagini e il piumaggio che mi vengono assegnati” risponde la morte clinando il viso alla luce.

“ perchè sei arrivata ora? Quando il mio corpo era libero da rantoli malati?”

“ io seguo i comandi di un padrone privo delle conoscenze della fisica molecolare.”

“ dove mi porti?”

“ dove tu pensi di essere assegnato?”

“ vorresti dirmi che dovrò fare un bilancio delle buone azioni e delle malefatte?”

“no il giudice sommo non sono io. Io sono solo la più tagliente nemica dell'uomo.” risponde amareggiata la morte.

“già.. perchè arrivi senza essere chiamata? Strozzi ruscelli di vita, germini nel dolore degli uomini, giochi a dadi con i destini, e ti incarni in azioni brutali. Perchè neghi l'eternità dei movimenti?”.

La morte si aspettava la rabbia del ragazzo , ondeggiò, si aggrappò al silenzio e dopo alcuni minuti rispose: “ Ricevo imprecazioni in ogni istante, vengo aggredita e temuta, sono graffiata di illusioni tagliate. Sono il boia più arido d'amore. L'asfissia dei sentimenti. La miopia della pietà. Eppure io non sono altro che sorella della vita. Io solo accompagno, riassegno nuovi ruoli alle anime, e le posiziono nelle loro percezioni spirituali.”

Il ragazzo prova tenerezza per quella vecchia, ricurva sulle sue inconsistenze. Avanza di qualche passo e le bacia il volto.

Il ragazzo: “ dai, andiamo.”

La morte riemerge da se stessa e piange di un caldo dolore, trattenedo assetata l'orlo di quel breve tocco.


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